A cura di Andrea Petta
Nel 1817 Belzoni sta risalendo il Nilo verso Ybsambul, come veniva chiamata Abu Simbel. Lasciata l’Isola Elefantina, Belzoni sbarca a Philae, perla del Nilo, l’isola sacra a Iside, dove varie dinastie avevano costruito e ricostruito i loro templi,
Un magnifico obelisco di circa sette metri d’altezza e in ottime condizioni giace a terra. Essendo vicino al fiume, non sarebbe difficile portarselo via, pensa Belzoni. Ma per ora ha altro da fare, e riparte per Abu Simbel. L’obelisco era stato notato da William Bankes, uno dei più ricchi viaggiatori del Nilo, che ne aveva dissotterrato la base mettendo in luce le iscrizioni. Uomo colto e snob, aveva capito che uno dei cartigli portava il nome di Cleopatra e lo riteneva adattissimo alla sua casa nel Dorset. Il peregrinare di William Bankes, deputato alla Camera dei Comuni, era in parte dovuto al grave scandalo che lo perseguitava: era infatti stato arrestato in un vespasiano nei pressi di Westminster assieme a un soldato della guardia reale. Il reato prevedeva la pena capitale (dopo vari processi che avevano deliziato i giornali dell’epoca, Bankes nel 1841 fu effettivamente condannato a morte), e anche se tale condanna non veniva eseguita spesso per ricchi e nobili, Bankes aveva pensato che stare il più lontano possibile dall’Inghilterra avrebbe giovato grandemente alla sua salute.
William Bankes ritratto negli anni in Egitto Uno dei libri dedicati all’eccentrico snob inglese. L’obelisco è sbagliato, ma non importa…
Nei suoi viaggi collezionò oggetti per adornare una casa nel Dorset, nella quale non avrebbe mai più potuto metter piede (oggi è affidata al National Trust e aperta al pubblico).E un anno prima dell’arrivo di Belzoni in Egitto quell’obelisco aveva attratto l’attenzione anche di Drovetti, il console francese che abbiamo già “incrociato”.
Mentre Belzoni lavora ad Abu Simbel, Drovetti manda un certo Lebolo, uno dei suoi agenti, a convincere l’Aga locale a cedergli l’obelisco. Lebolo ha sentito parlare del trucco di Belzoni ad Abu Simbel (“Un mio lontano parente…”) ed usa lo stesso trucco: finge di saper leggere i geroglifici dell’obelisco ed afferma che sia stato scolpito da degli antenati di Drovetti – quindi, proprietà del console francese. Roba da matti.
L’Aga tentenna, dà ragione a Lebolo che ne dà notizia a Drovetti. Ma Belzoni, di ritorno da Abu Simbel, si mette in mezzo. Dona all’Aga il suo orologio, fornisce altri bakshish ai capivillaggio. E l’obelisco è suo. Sull’imbarcadero costruito in fretta e furia per caricarlo su una chiatta il peso dell’obelisco causa lo spostamento di alcune pietre, e cade nelle acque del Nilo. “Devo confessare che per qualche minuto rimasi di sasso. La prima cosa che mi venne in testa fu la perdita di un tal pezzo di antiquariato; il secondo era come sarebbero stati felici i nostri oppositori” scrive Belzoni,In effetti, che Belzoni sia riuscito a caricare l’obelisco ha del miracoloso. Con l’aiuto di corde improvvisate e qualche tronco di palma solleva dall’acqua l’obelisco, che inizia così il suo viaggio alla volta di Kingstone Lacy, nel Dorset, dove nel 1829 (dopo una lunga sosta a Londra) verrà issato in un nuovo sito inaugurato dal duca di Wellington. Né Bankes né Belzoni purtroppo lo vedranno nella sua attuale sede.

Drovetti non la prende molto bene. Probabilmente aveva già comunicato a Parigi che l’obelisco era suo. Dover trasmettere che invece è finito nelle mani degli odiati inglese è un rospo troppo grosso da digerire. Quando vede l’obelisco arrivare al Cairo, viene alle mani con Belzoni. Ci va di mezzo anche il console inglese Salt. Si parla di una sfida a duello, poi gli animi si calmano un po’.Prima era stata una gara, anche leale, ed un’amicizia tra Drovetti e Belzoni. Di lì in avanti diventerà guerra. Forse anche per quello Belzoni, dopo il rientro in Inghilterra, rivolgerà altrove la sua fame di avventure.
L’obelisco, invece, lo rivedremo. O meglio, rivedremo le sue iscrizioni – che in Francia ci finiranno sul serio, e saranno molto più importanti delle stravaganze di uno snob inglese.

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