A cura di Andrea Petta
Un uomo nudo danza nella Grande Piramide (Flinders Petrie)
Nel 1880 un bizzarro europeo fa la sua comparsa nella zona delle piramidi di Giza. Dopo una breve esplorazione trova una tomba abbandonata, che qualcuno prima di lui aveva provvisto di una porta, forse per utilizzarla come deposito. Comunica al suo portabagagli che si propone di vivere in quel sepolcro; il giorno dopo vi si è già installato. Un letto, qualche mobile di quarta mano. Un lume brilla su di una cassa, e nell’angolo si accende un fuoco.
Flinders Petrie è arrivato a casa.
Il suo nome completo è William Matthew Flinders, ma per tutti era Flinders. Per noi, semplicemente il papà dell’archeologia moderna.


Figlio di un ingegnere elettrico e nipote di un grande viaggiatore (il nonno materno era a bordo del “Bounty”, nientemeno!), Flinders non ha mai visto una scuola. Nato nel 1853, educato dal padre, impara francese, latino e greco ma soprattutto il rigore e l’ordine della Marina inglese. Si narra che ad otto anni sia rimasto sconvolto dal disordine degli scavi in una villa romana sull’Isola di Wight, costruendo le basi del rigore archeologico. Gli regalano un volume sui primi scavi effettuati in Egitto, e lui inizia a sognare le piramidi, con cui ossessiona amici e vicini. Flinders si fa le ossa a Stonehenge, poi visita finalmente la piana di Giza (come abbiamo visto, vivendo in una tomba abbandonata) per verificare le teorie di John Taylor e Charles Piazzi Smith sulle piramidi (costruite dal biblico Noè secondo Taylor e da Melchisedec secondo Piazzi Smith) smontandole entrambe a realizzando un lavoro sistematico sulla Piana di Giza.




Flinders non è del tutto in bolla, diremmo oggi; di notte si aggira senza vestiti sulla piana e spesso entra nella camera sepolcrale della Grande Piramide, danzandovi nudo. Molto spesso partecipa anche agli scavi completamente nudo, poi per cena si veste di tutto punto in pieno stile vittoriano. Sulla sua mente si raccontano moltissimi aneddoti. SI dice che conoscesse la distanza esatta tra il suo occhio e la punta del dito e quindi potesse misurare le distanze con grande precisione senza l’uso di un metro. Visualizzava nella sua testa un regolo calcolatore per eseguire i calcoli a mente. Disegnava schizzi dei reperti trovati con entrambe le mani contemporaneamente per non perdere tempo. Eccentrico, strambo, sicuramente un grande “ordinatore”.
Mentre è sulla Piana di Giza, Flinders si accorge che intorno a lui si muove un piccolo universo di ladri, predoni, saccheggiatori più o meno legalizzati.
“Questa terra brucia come una casa in fiamme, tanto è veloce la distruzione”.
Diventa ossessionato dalla catalogazione, dal salvataggio dei reperti. Per primo, impone una tecnica di scavo sistematica dall’alto verso il basso (oggi sembra ovvio, ma al tempo si andava dritto al “bersaglio” con tanti saluti a cosa c’era intorno) dando la dovuta importanza alla stratificazione di rocce e reperti. Rientrato una prima volta in Inghilterra, Petrie conosce Amelia Edwards, la figlia di un banchiere con la passione dei viaggi e dell’archeologia che dopo due anni di permanenza in Egitto ha creato l’Egypt Exploration Fund. Amelia lo sovvenziona per i suoi futuri scavi, nominandolo anche docente di egittologia presso l’University College di Londra.


Tornato in Egitto nel 1884, Flinders impone un rigido metodo scientifico alle sue scoperte, e diventa il padre dell’egittologia moderna. Costruisce cronologie basate sulla “evoluzione” delle singole tecniche, ed è un passo avanti da gigante per l’archeologia in generale. Scrive 90 volumi sulle sue spedizioni, tutti dettagliatissimi. I suoi “Dieci Anni di Scavi in Egitto” rappresentano una sorta di manuale; la sua “Storia d’Egitto” è la prima cronologia organica moderna. Si appassiona ad ogni argomento: sono ancora suoi i trattati sulla conservazione e il restauro delle ceramiche.
È il primo a scavare ad Amarna, la Akhetaton del passato breve ed intenso di Akhenaton. Assistito da un giovane Howard Carter trova le cosiddette “Tavolette di Amarna”, 382 tavolette in argilla recuperate fino ad ora scritte in cuneiforme e con cui siamo riusciti a scoprire i rapporti dell’Egitto di Akhenaton con babilonia, gli Assiri, i Mitanni, gli Ittiti, la Palestina e Cipro.Trova la cosiddetta “Stele di Merenptah”, dove per la prima volta viene nominato “Israele”. Trova Tanis, nel Delta del Nilo, e pone le basi per il lavoro di Montet che molto tempo dopo riuscì a portare alla luce il tesoro di Psusannes I. Esplora la Piramide di Amenhemet III e scopre il Labirinto di Meride poco lontano.



Ed ammira il “talento”: quando entra nella piramide di Amenhemet III e trova traccia di antichi predoni rimane ammirato dalla loro tenacia e dal loro ingegno. Perché i ladri erano entrati dal passaggio principale, inopinatamente sul lato sud – e non nord come nelle altre piramidi – e lui aveva dovuto invece scavare attraverso i mattoni per violare la tomba.







Petrie terminerà il suo viaggio in Palestina, dove scaverà per 16 anni prima di morire a Gerusalemme nel 1942. Curiosamente, decide di donare la sua testa alla facoltà di chirurgia del Royal College di Londra. In realtà Petrie sostenne il concetto di razza e di evoluzione sottolineando le differenze antropomorfiche tra le diverse popolazioni, un concetto di eugenetica troppo pericolosamente vicino a certe idee naziste dell’epoca, e il suo dono del cranio alla scienza era per dimostrare tali differenze. Per un ironico e macabro scherzo del destino per chi aveva sviluppato la catalogazione dei reperti in maniera maniacale, il contenitore con la sua testa conservata in formalina perde l’etichetta e per anni rimarrà una testa sconosciuta nelle cantine della facoltà. Verrà riconosciuto solo nel 1989 grazie ad una cicatrice sopra l’occhio destro ed ai suoi occhi, rimasti di un blu brillante.

A Flinders Petrie manca forse il “botto”, il grande ritrovamento che finisce su tutti i giornali e che appassiona il grande pubblico, ma il suo talento di descrittore e conservatore influenzò tutti i suoi “discepoli”, primo fra tutti quell’Howard Carter che non si sarebbe dato per vinto così facilmente nella Valle dei Re.