Prof. Damiano

IL NOME DI HORUS

TESTO DEL PROF. MAURIZIO DAMIANO

© testi, piante, disegni e foto: Archivio CRE/Maurizio Damiano.

È Il primo nome, che esiste già in epoca predinastica, con la “Dinastia 0” (all’incirca fra il 3400 e il 3185 a.C.), che precede la 1a dinastia. Vediamo innanzitutto perché viene detto “Nome di Horus”; il dio solare, in forma di falco, appare in alto, sopra il nome, che è inscritto nel serekh (poi vedremo cos’è quest’ultimo). Perché dunque il falco divino? Si deve fare riferimento alla mitologia religiosa di Heliopolis, in cui il creatore è il dio Atum, che fu padre di Shu e Tefnut i quali a loro volta ebbero il dio Geb (la Terra, al maschile in egiziano antico) e Nut, il Cielo (al femminile); essi ebbero quattro figli: Osiris, Isis, Seth e Nephthys. Da Isis e Osiris nacque Horus. Vediamo dunque chi era Horus: tutti gli appassionati lo sanno, ma qualche parola per chi si accosta all’Egittologia per la pima volta potrebbe essere utile.

Il nome di Horus del re Djet, l’Horus “Serpente”, della 1a dinastia (© e foto archivio CRE/M. Damiano); Louvre.

Horus fu una delle principali divinità d’Egitto; inizialmente visto come il cielo intero, fu poi assimilato al sole, di cui è una delle principali forme. Il suo nome, che in egizio è Hor, significava “Il Lontano”, alludendo all’astro diurno. Ben presto la sua immagine di disco solare che si libra nel cielo fu assimilata a quella del falco, ma aveva anche l’aspetto di uomo ieracocefalo (a testa di falco); ma, com’è uso dell’antico Egitto, poteva avere molte altre forme. Sin dall’epoca predinastica Horus fu assimilato anche al re, che ne era allo stesso tempo l’erede terreno e l’incarnazione. Horus è associato al mito di Osiris divenendo figlio di questi e di Isis, vendicatore del padre e antagonista di Seth, lo zio assassino. Da questi cicli mitologici scaturirono molte forme di Horus che però si possono riassumere in due categorie principali: quella di Horus fanciullo e quella del dio giunto a piena maturità. Inoltre, sempre negli stessi cicli mitologici, Horus rientra nei miti lunari (di cui Osiris era una delle principali manifestazioni), poiché il sole e la luna erano gli occhi del cielo. Inizialmente Horus, dio del Basso Egitto, si contrapponeva a Seth, rappresentante dell’Alto Egitto; poi Horus fu visto come sovrano di tutto l’Egitto mentre Seth divenne il dio del deserto, delle oasi e dei popoli barbarici. Il tempio più importante dedicato a Horus era quello di Edfu (Behedet), ove egli era venerato come disco solare alato e come falco, dio guerriero che difende il sole contro i suoi nemici. Nella Bassa Epoca proliferarono amuleti e bronzetti dei vari aspetti di Horus.

Horus ebbe molte forme, suggerite dalle fasi giornaliere del sole o dagli aspetti del mito. Qui citeremo solamente quali siano le forme più note, rinviando ad esse per i particolari. Generalmente esse presentano il dio come uomo ieracocefalo, col capo sormontato da un grande disco solare a sua volta circondato dal serpente reale, l’uraeus. Le forme in cui poteva apparire Horus sono quella del falco, e quelle dei seguenti dei: Harakhty, Harmakhis, Haroeris, Harpocrates, Harsiesi, Harsomtus, Hornedjitef, Hurun; vi erano poi connessioni religiose e sincretismi con altri dei solari quali Ra, Atum, Aton.

A questo punto vediamo il perché del rapporto fra Horus e la regalità. Cominciamo col dire che l’umanità fu creata dal demiurgo (che a seconda delle scuole teologiche poteva avere il nome e l’aspetto di varie divinità, tutte forme del Divino Universale, il Creatore: Atum, Ptah, Neith, Amon, ecc.); nella mitologia di Heliopolis egli (Atum) assegnò il regno terreno al figlio Geb, che era dio e re, ma anche la Terra stessa. Ma anche Geb passò il potere al figlio Osiris, che a sua volta lo passò a suo figlio Horus. Con quest’ultimo dio finisce il regno degli dèi e Horus passa il potere agli uomini, al faraone, che è Horus in terra. Ci torneremo, ma prima vediamo alcuni punti.

Per i millenni della loro storia gli Egizi non dimenticarono questo fondamento della loro religione che non solo legittimava il potere temporale e spirituale del faraone (ma la distinzione fra temporale e spirituale è creazione moderna, nell’antichità era un tutt’uno), ma soprattutto era l’incarico etico: l’accento non era mai su potere e privilegi ma – in una società etica – sui precisi doveri del faraone, custode dell’umanità per incarico divino. Tutto ciò era in un documento che non ci è pervenuto ma di cui esistono più che cenni in letteratura: esistono le rappresentazioni: si tratta del “Testamento di Geb”. Esso doveva essere custodito negli archivi templari del Palazzo, là dove erano custoditi tutti i documenti e gli strumenti delle importanti cerimonie regali come l’incoronazione, la festa giubilare (Heb-Sed), le corone, le vesti sacre, ecc.

Il “Testamento di Geb”. Triade di Menkaure, Museo del Cairo (© e foto archivio CRE/M. Damiano).

Noi lo “vediamo” in molte statue regali in cui il sovrano tiene in mano i mekes (“contenitore per documenti”), detti anche imy.t per (lett. “che è nella casa”), con i rotoli di papiro del Testamento di Geb, e con gli atti legittimi dell’accesso al trono d’Egitto e i titoli di proprietà su Ta Mery (“Terra Amata”, l’Egitto).Questo testamento, con tutti gli obblighi e i doveri passerà dunque a Osiris, a Horus e quindi ai faraoni. Ma Horus, l’ultimo dio a regnare in terra, sarà sempre il garante del rispetto dei doveri regali, e l’Horus in terra, il faraone, non potrà mai venir meno al proprio dovere.

Adesso possiamo capire molto meglio il perché del primo nome/titolo: il faraone è Horus in terra.

Attenzione, però! Molto spesso ciò dà adito a un equivoco enorme: “il faraone è un dio”, “monumenti elevati alla propria vanagloria”, ecc. Tipici esempi di proiezione di mentalità odierna, occidentale, in un mondo ed epoche che nulla hanno a che vedere con le situazioni e mentalità odierne. Ciò accade quando si conosce poco quel mondo, la profondità del pensiero etico, e si crede di sapere cogliendo da notiziole in rete.

No, gli Egizi hanno lasciato documenti ben precisi che ci sono pervenuti: addirittura istruzioni etiche per gli allievi, o per i visir e persino per gli stessi faraoni.

No, il faraone NON è un dio! Gli Egizi separavano scientemente la funzione regale dal personaggio umano. Il faraone era uomo; divina era la funzione regale. Il faraone diveniva dio solo con la morte; e il dio si incarnava in lui quando esercitava la funzione. Un’idea filtrata nel mondo del Cristianesimo gnostico d’Egitto (soprattutto alessandrino) e da lì nell’infallibilità dei papi, divenuta infine dogma promulgato nel 1870 da Pio IX (Concilio Vaticano I); ovviamente non si tratta di infallibilità perpetua, ma solo quando parla ex cathedra; ci volle un secolo perché la questione fosse poi contestata da Hans Küng, che divenne il capofila della teologia del dissenso. Ma qui divaghiamo. Ciò che voglio sottolineare è che l’idea della divisione di “momenti ispirati da Dio” e essenza dell’essere umano (faraone, papa) non è estranea nemmeno ai nostri giorni.

Horus passa l’incarico divino e protegge il faraone Khafre (© e foto archivio CRE/M. Damiano). Museo del Cairo.
Un falco egiziano, la poiana comune (Buteo buteo Linnaeus, 1758); è una delle 39 specie di falconidi presenti in Egitto. A destra, alcune delle forme del falco di Horus: come disco solare alato e come scarabeo alato (da Dendera, soffitto del portale orientale) (© e foto archivio CRE/M. Damiano).

Il faraone uomo dunque presta l’involucro mortale a Horus per i momenti del culto e della funzione, e dunque nel primo nome reale il faraone, in quanto tale, è “L’Horus-Tal-dei-Tali”.

L’Horus di Edfu, raffigurato più spesso come disco solare alato e presente all’ingresso dei templi, sui portali, può anche essere raffigurato come falco ai lati degli ingressi, come in questo caso, nel tempio di Edfu (© e foto archivio CRE/M. Damiano).

Vediamo ora cosa si trova al di sotto della figura di Horus, falco mostrato di profilo: il rapace è appollaiato sul serekh. Questo vocabolo egizio designa la particolare cornice rettangolare che conteneva il primo nome del faraone, nella titolatura, e precede di vari secoli il cartiglio. Sin dall’epoca protodinastica i nomi dei “Seguaci di Horus”, i re della “Dinastia 0”, venivano già iscritti nel serekh. Quando la titolatura fu più sviluppata (già dalla 1a dinastia) e poi completata (dalla 4a dinastia) il nome nel serekh fu definitivamente designato come nome di Horus, poiché da sempre esso era sormontato dal falco di questo dio. Cosa rappresenta il serek? Generalmente si legge “facciata di palazzo”. Questa definizione semplicistica è in parte errata, poiché in realtà solo una parte del serekh è “facciata” e non solo “di Palazzo”.

Due esempi di immagini piane di Horus, ancora con i colori originali: come falco, sul serekh (qui si vede solo la parte superiore) e come uomo ieracocefalo; da Abydos, tempio di Sethy I (© e foto archivio CRE/M. Damiano).
Il falco della titolatura nel tesoro di Hetepheres (IV dinastia) (© e foto archivio CRE/M. Damiano); Museo del Cairo.

La parte inferiore del rettangolo infatti rappresenta la facciata “anche” del Palazzo reale, come pure dei templi arcaici, vista in prospetto, mentre lo spazio posteriore, ossia il rettangolo in cui era iscritto il nome, ne era la veduta in pianta. Quindi, nella magia religiosa dei geroglifici e della figurazione egizia, il nome (“ren”), che era l’essenza del faraone, era realmente protetto dalle mura del Palazzo. Val la pena sottolineare l’aspetto del serekh, ossia l’aspetto della facciata del Palazzo reale ma non solo; esso era anche l’aspetto delle mura che proteggevano i templi e le città: in quanto tale per estensione divenne simbolo di protezione. Così, oltre che nel serekh, lo troviamo come motivo protettivo nella zoccolatura delle tombe, sulle pareti di sarcofagi, nelle fase porte o come motivo della facciata di tempio arcaico che appare sino all’Epoca Romana.

Un inciso: la particolare struttura a rientranze e nicchie è identica a quella dei palazzi e templi della Mesopotamia coeva, evidente segno degli scambi culturali nei due sensi sin dalla preistoria; ma un indizio della direzione in fluì questa informazione può forse esser fornito da qualcosa che notai circa 40 anni fa: è ancor più interessante il fatto che, ancor oggi, un disegno molto simile alla facciata del palazzo reale egizio (o dei templi arcaici) si riscontra nelle facciate dei palazzi dei capi dogon, in Africa Occidentale; questo parallelismo fra strutture dalla stessa funzione, dalle parti opposte dell’Africa e a distanza di millenni, non può essere casuale: si tratta in realtà di un retaggio del comune substrato culturale delle popolazioni preistoriche dell’ambiente saharo-nilotico; alla fine del periodo umido neolitico, quando le popolazioni furono costrette a rifugiarsi presso i corsi d’acqua superstiti, incalzati dalla crescente aridità del Sahara, i vari gruppi si sparsero in aree lontanissime, ma mantennero l’aspetto (che doveva essere simbolico e caratteristico dei palazzi del potere) del palazzo di comando; ciò è un indizio dell’antichissima origine africana del motivo a facciata di palazzo, poi passato alla Mesopotamia.

Uno dei primi esempi di mura a rientranze (o a nicchie): una grande mastaba reale (© e disegno archivio CRE/M. Damiano).
Altro esempio del muro a rientranze: il muro di cinta del complesso di Djoser, a Sakkara (© e foto archivio CRE/M. Damiano).
Il muro a nicchie come motivo protettivo: qui lo vediamo in alcune tombe della necropoli di Meir, a protezione della sala funeraria e a “contenimento” dei nemici dell’Egitto (© e foto archivio CRE/M. Damiano).
Lo stesso motivo protettivo intorno a un sarcofago (disegno da Prisse d’Avennes).
Lo stesso motivo a nicchie, questa volta come facciata di tempio arcaico, nel mammisi di Augusto, a Dendera, e nella parte interna delle mura perimetrali del tempio di Horus a Edfu; questa raffigurazione è esattamente al centro, allineata con il naos (© e foto archivio CRE/M. Damiano).

Bene, a questo punto abbiamo un po’ di chiarezza sul primo nome: il faraone, incaricato da Horus a regnare in terra secondo i dettami del testamento di Geb, è il veicolo carnale di Horus. Il suo nome incarna anche il Palazzo reale, e infatti, dal Nuovo Regno, il faraone, che è definito sino ad allora “hem”, servo, sarà designato anche come “per-ao”, “Grande Casa”, da cui Phar-aos, faraone, ossia appunto il palazzo reale (come oggi potremmo dire: “è stato dichiarato dal Quirinale, dalla Casa Bianca, dal Vaticano”. Il nome sarà dunque incarnazione di Horus, del Palazzo, e dal Palazzo stesso protetto, dietro la sua facciata, entro le sue mura: il serekh, appunto, dominato da Horus come falco.

Un ultimo inciso: nella 2a dinastia si ha un breve periodo in cui appaiono il nome di Seth, portato da Peribsen, e quello di Horus e Seth, portato da Khasekhemuy, entrambi sostituiti a quello di Horus.

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