IL COLOSSO DI MEMNONE CHE DÀ VOCE ALLE MATRONE ROMANE

LA STATUA CHE CANTA

L’abitudine di lasciare sui monumenti o sui muri la propria firma, una frase o un disegno a futura memoria affonda le sue radici nell’antichità: oggi ci si indigna con i “graffitari” moderni che imbrattano pareti o monumenti, ma le tracce lasciate dagli antichi sono veramente interessanti e spesso ci offrono testimonianze preziose di un mondo ormai scomparso.

Un esempio significativo è offerto dal colosso di Memnone settentrionale, una delle due statue in arenaria silicea (detta anche ortoquarzite) che sorgono a Kom el-Heitan, sulla riva occidentale del Nilo di fronte a Luxor, e che in origine adornavano la facciata del Tempio di Milioni di Anni di Amenhotep III.

I colossi di Memnone
Foto di Diego Delso, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=122615270

Questa statua fu oggetto di ammirazione fin nell’antichità: le sue gambe sono interamente ricoperte dalle firme e dagli scritti incisi dai turisti greci e romani che si erano recati in Egitto proprio per vederlo e per sentire il suono che emetteva al sorgere del sole.

L’interesse per il colosso continuò anche ad opera di viaggiatori e intellettuali europei del XVII, XVIII e XIX secolo, che lasciarono a loro volta una firma a testimonianza del proprio passaggio; tuttavia, a differenza degli antichi predecessori, che visitavano l’Egitto con ammirata deferenza, essi vi si recavano molto spesso per la brama di fare incetta di manufatti da rivendere in patria.

Il primo a raccontare della misteriosa “statua che canta” manifestando un certo scetticismo sul fenomeno fu lo storico e geografo greco Strabone, il quale la citò nella sua opera intitolata Geographica dopo aver visitato l’Egitto nel 25 a. C. al seguito del prefetto della provincia Elio Gallo:

La facciata del tempio di Milioni di Anni di Amenhotep III, con i due colossi come dovevano apparire quando il monumento era al suo massimo splendore. Opera di Jean Paul Golvin – da internet

Anche il geografo greco del II secolo Pausania ha descritto il suono emesso dalla statua:

Lo strano fenomeno aveva cominciato a manifestarsi due anni prima, dopo che un terremoto aveva fatto crollare la parte superiore del colosso, lasciando quella inferiore fessurata; da quel momento quasi ogni alba, di solito verso le 7.00 e poi talvolta fino alle 9.00 del mattino, quando veniva riscaldato dai raggi solari, esso produceva un suono particolare.

Ricostruzione dell’Amenophium, il Tempio di Milioni di Anni di Amenhotep III, ad opera di Jean Paul Golvin – da Internet

Alcuni commentatori antichi attribuirono il fenomeno ad un miracolo dei sacerdoti locali o ad un marchingegno realizzato da Erone di Alessandria alla fine del I’ secolo d. C., ma probabilmente derivava dall’evaporazione della rugiada che si raccoglieva nelle crepe della roccia.

Il sito divenne meta di molti viaggiatori antichi, soprattutto Greci e in seguito Romani, i quali ritenevano che le due statue raffigurassero l’eroe omerico Memnone, re di Persia e d’Etiopia e nipote di Priamo, ucciso da Achille durante la guerra di Troia, e sostenevano poeticamente che il canto mattutino della statua fosse il saluto dell’eroe a sua madre Eos, dea dell’Alba, o il lamento di costei per la morte del giovane.

Pare che il suggestivo canto sia cessato alla fine del II o III secolo d.C., in seguito al restauro disposto dall’imperatore romano Settimio Severo o, secondo altri, da Zenobia, regina di Palmira, che ripristinarono la parte mancante della statua con blocchi di pietra.

L’aspetto attuale dell’area dove una volta sorgeva il tempio funerario di Amenhotep III; in primo piano i colossi di Memnone. Foto a questo link: https://www.facebook.com/photo/?fbid=4413840688713302&set=a.1273864129377656

LE FIRME LASCIATE DAGLI ANTICHI VISITATORI

Coloro che lasciarono la loro firma sul colosso di solito si limitarono a registrare l’ora in cui avevano udito il suono; erano per lo più funzionari statali o militari (tra i quali otto prefetti d’Egitto), ma anche personaggi molto eminenti, tra i quali gli imperatori Adriano e Settimio Severo, sofisti, poeti e poetesse; dalle fonti documentali risulta che li vide anche Germanico, nipote e figlio adottivo di Augusto.

I colossi di Memnone, dipinto del pittore polacco Adam Styka (1890 – 1959), oggi in una collezione privata.

Grazie al paziente lavoro di Andrè ed Etienne Bernand, edito nel 1960, sono state individuate, trascritte e tradotte 107 iscrizioni, tutte in greco od in latino salvo una in egizio ed una bilingue; 39 testi sono in versi e 23 hanno anche una data.

Il testo di Andrè Bernand ed Etienne Bernand, edito nel 1960, grazie al quale possiamo disporre di un elenco completo delle iscrizioni sul colosso.
Da Meretsgerbook

Stupiscono le tecniche di realizzazione delle medesime, che non sono “graffiti” approssimativi o disegni scarabocchiati a carboncino o con un pennello, ma testi incisi sulla pietra anche ad altezze notevoli, le cui lettere molto eleganti seguono perfettamente i canoni dell’epigrafia monumentale.

Questo ha indotto a ritenere che in loco vi fossero scultori specializzati (che i romani chiamavano “lapicidi”) con impalcature ed attrezzi professionali, pronti a scrivere sulla statua i testi dettati dai turisti o frasi standard che ne ricordassero la visita, così garantendo nel tempo il ricordo del loro passaggio e la loro reverenza nei confronti di Memnone.

E’ sorprendente che 24 scritte comprese fra il 72 e il 170 d.C. riportino anche nomi femminili, spesso associati a quelli dei rispettivi illustri coniugi: Minicia Rustica con Lucio Giunio Calvino, prefetto del deserto di Berenice sotto Vespasiano; Fulvia con Lucio Funisulano Carisio, stratega (governatore) di Hermonthites e Latopolites sotto Adriano; Arsinoe con Artemidoro figlio di Tolomeo, scriba reale di Hermonthites e Latopolites sotto Adriano; Asidonia Galla con Iulius Fidus Aquila, epistratego della Tebaide sotto Adriano; Rufilla Longina con Mario Gemello, centurione sotto Antonino Pio; Mecenazia Pia con Tito Elvio Lucano, prefetto dell’ala Apriana sotto Marco Aurelio; Tusidia Ionide con Giulio (?) Catu(l)lino, epistratego della Tebaide sotto, forse, Antonino Pio.

Tale circostanza è indicativa del fatto che le mogli di coloro che venivano inviati a governare le provincie o a ricoprirvi compiti di rilievo seguivano spesso i loro coniugi per offrire loro conforto ed un contributo al loro lavoro, quanto meno in termini di rappresentanza.

Spesso tuttavia queste matrone si intromettevano indebitamente nelle questioni di governo, tanto che per evitare questi eccessi alcuni senatori dell’ala più conservatrice cercarono inutilmente di ottenere che ai funzionari fosse vietato di portare con sé le famiglie.

LE TRACCE LASCIATE DALLA PRIMA SIGNORA DELLA PROVINCIA D’EGITTO E DALLE POETESSE DAMONE E CECILIA TREBULLA

Vi sono inoltre scritte attribuite direttamente a donne di famiglie illustri, coniugate ad altissimi funzionari altrettanto importanti: tra loro si distinguono la clarissima Funisolana Vetulla ed in epoca successiva le poetesse Cecilia Trebulla, Damone e Giulia Balbilla, probabilmente facenti parte della corte di Adriano ed amiche personali dell’imperatrice Sabina, tanto che l’accompagnarono nel suo viaggio nel vicino Oriente ed in Egitto quando vi si recò con l’augusto coniuge.

Funisolana Vetulla era sorella o figlia del proconsul provinciae Africae L. Funisulano Vettoniano e sposò l’eques Caio Tettio Africano Cassiano Prisco, prefetto d’Egitto sotto Domiziano; ella fu una nobildonna fiera e potente in ragione del suo ruolo di First Lady della Provincia d’Egitto, autonoma al punto da viaggiare da sola, da presentarsi tre volte al cospetto di Memnone fino a che non ne sentì la voce e da arrogarsi il privilegio di immortalare l’evento facendo scolpire sulla statua un testo in prima persona:

Anche delle poetesse si sa poco in quanto a Roma non c’era l’abitudine di pubblicare le opere scritte dalle donne, per cui i loro versi ci sono pervenuti solo occasionalmente: basti pensare che sul solo colosso di Memnone si trova iscritto ben il 6% della produzione poetica femminile romana.

Di Cecilia Trebulla abbiamo solo i tre epigrammi ivi scolpiti in tre differenti occasioni, che ci inducono a ritenere che fosse un’aristocratica colta perché poteva permettersi di viaggiare, che conosceva il greco e che sapeva comporre versi.

Damone (o Demo), era probabilmente una cortigiana di Adriano di origine greca (il suo nome era piuttosto diffuso nel mondo ellenistico ed era utilizzato per la dea Demetra); null’altro si sa di lei, avendo lasciato un solo epigramma in greco letterario risalente più o meno al 196 d. C. (questo in base alla collocazione dello stesso tra altri graffiti coevi), atto a testimoniare solo il suo notevole grado di cultura e il suo elevato status sociale.

“Salve, o figlio dell’Aurora: con benevolenza infatti emettesti un suono per me, o Memnone, grazie alle Muse, che si curano di me, Damo, amante della poesia; compiacendoti, la mia lira canterà, o (essere) puro, la (tua) beneaugurante potenza”.

L’immagine, in positivo ed in impronta per meglio consentirne la lettura, è tratta dal citato testo di Andrè ed Etienne Bernand, edito nel 1960 ed oggi messo in vendita da Meretsegerbook e riporta un testo in greco di Cecilia Trebulla, il cui nome appare sulla prima riga dell’epigramma (Kaikilia Treboulla).

GLI EPIGRAMMI DI GIULIA BALBILLA

Le quattro liriche fatte incidere sul colosso da Giulia Balbilla (la sua unica produzione conosciuta), sono scritte nel dialetto letterario eolico usato da Saffo più di sette secoli prima (arricchito con qualche omerismo) e furono preparate certamente con largo anticipo perchè la loro finalità principale era rendere omaggio imperituro non solo alla coppia imperiale ma anche a se stessa.

Il primo epigramma di Giulia Balbilla, il cui nome scritto in greco è visibile in alto, al centro della riga più vicina al margine

Il primo epigramma celebra la visita dell’imperatore al quale Memnone fece udire la sua voce; il secondo ricorda la visita di Balbilla e dell’imperatrice Vibia Sabina; il terzo riferisce del silenzio di Memnone al cospetto di Adriano; il quarto documenta l’esperienza personale della poetessa, che udì il suono prodotto dalla statua.

Ve li propongo di seguito, secondo la traduzione di Amalia Margherita Cirio, omerista ed esperta di letteratura greca, autrice di una monografia su questi epigrammi meglio citata tra le fonti.

Primo epigramma: 

Data: 20 novembre 130 d.C.

Secondo epigramma: 

Terzo epigramma: 

Quarto epigramma: 


FONTI DI TUTTI I POST SULL’ARGOMENTO