Autentici falsi

SULLE TRACCE DI FLINDERS PETRIE

Testa di Akhenaton o Nefertiti – XVIII DINASTIA
Gesso, h 12 cm
MET New York – On view at The Met Fifth Avenue in Gallery 122
Nr. Inventario 21.9.19

Nel 1891 l’eccentrico archeologo William Matthew Flinders Petrie, considerato il padre dell’ archeologia moderna, cominciò a scavare ad Amarna . Fu raggiunto a gennaio del 1892 da un giovane disegnatore diciassettenne molto dotato, un ragazzo raccomandato dal Barone William Amherst, appassionato collezionista di antichità egizie e

sostenitore dell’Egypt Exploration Fund, associazione filantropica fondata nel 1882 da Amelia Edwars. Questo ragazzo diventerà in seguito il più famoso archeologo di tutti i tempi: Howard Carter.

La campagna di scavi di Petrie ad Amarna ebbe luogo nel 1891 e 1892.

Petrie era un archeologo estremamente meticoloso che registrava minuziosamente sui suoi giornali di scavo tutte le sue scoperte e gli avvenimenti della giornata.

La campagna di scavi si rivelò ricca e fruttuosa e nel 1921, Sotheby’s organizzò a Londra un’asta, la cosiddetta “Amherst sale“.

Il Metropolitan Museum di New York acquistò all’asta, tra gli altri oggetti,la piccola scultura di cui vi voglio parlare oggi.

La piccola testa in gesso, raffigurante, secondo il museo Akhenaton o Nefertiti, ha uno stile che lascia perplessi: la forma degli occhi tonda, anziché allungata, il piccolo naso alla francese, decisamente inusuale, l’esecuzione piuttosto scadente e incerta per una testa regale, a mio parere molto distante dalle maestria esecutiva delle sculture a noi pervenute. Che si tratti di una testa regale è indubbio: sulla fronte è presente infatti la fascia d’oro che veniva posta sotto la corona.

Secondo il MET la testa, h. solo 12 cm, fu acquistata nel 1921 all’asta della collezione Amherst, proveniente dagli scavi di Petrie ad Amarna nel 1891-1892 e acquisita da Amherst e Petrie nella suddivisione dei ritrovamenti, secondo le regole dell’epoca.

I documenti dell’asta riportano la voce seguente che sembrerebbe corrispondere alla testa del MET:

A fianco del numero del lotto è riportato con scritta a mano il nome « Mace ».

Il documento dell’asta con la descrizione del lotto 855

Arthur Cruttenden Mace fu curatore al MET fino al 1922, quando raggiunse Carter nella Valle dei Re per lo scavo della tomba di Tut.

É indubbio, quindi, che la testa fu acquistata a quell’asta da Mace.

I documenti dell’asta , e così pure il sito del museo, indicano che la scultura fu trovata da Petrie nei « laboratori degli scultori in città ».

Nel « Petrie Journal 1891 to 1892 » tuttavia, non si trova una descrizione che corrisponda a questa testa.

Nel giornale degli scavi Petrie parla di un calco del volto di Akhenaton da morto(il CG 753 conservato al Cairo), di un bassorilievo a dimensione naturale della testa di Akhenaton e di un ritratto di Nefertiti.

Non ci sono accenni alla scoperta di un laboratorio di scultori né a questa testa in gesso.

È probabile che Petrie individuò e cominciò a scavare l’area del laboratorio di Tuthmose senza rendersene conto. La provenienza indicata da Sotheby’s nel catalogo d’asta “dai laboratori degli scultori in città” non può quindi derivare da Petrie.

Conclusioni:

La letteratura sulla testa del MET è scarsa. Essa rappresenta certamente una figura regale non identificata. I lineamenti farebbero pensare ad una figura femminile piuttosto che ad Akhenaton, ma sono lontani dai ritratti di Nefertiti.

La testa fu sicuramente acquistata da Mace, curatore del MET, in un’asta di Sotheby’s a Londra nel 1921.

L’effettiva provenienza dagli scavi di Petrie nella campagna di Amarna del 1891-1892 non sembrerebbe documentata, dato che Petrie non ne fa cenno nel giornale degli scavi.

La testa presenta delle incertezze stilistiche anomale.

Sembrerebbe da escludere la mano di scultori dell’entourage regale come Tuthmose. Se originale, si potrebbe pensare alla prova non particolarmente riuscita di un allievo inesperto.

In attesa e sperando di scoprirne di più, ritengo che questa testa sia da inserire nella lista dei reperti “dubbi”.

Patrizia Burlini

Fonti:

Crediti foto:

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