Di Patrizia Burlini e Nico Pollone

Premessa:
Qui siamo di fronte a un “finto” falso. Qui si tratta di un oggetto non falsificato per trarne profitto, ma integrato nelle sue parti mancanti per illustrate le sue complete caratteristiche. E’ una prassi usata nell’archeologia (vedi ad es. la ricostruzione dei vasi), che di volta in volta è accettata, con qualche osservazione, dagli studiosi.

Al museo Egizio di Torino vi è una statua frammentaria (Suppl. 19482) di un famoso funzionario detto Neshor, di nome Psamtek-Menekhib, risalente alla XXVI dinastia. Nel suo carattere di reperto, così come nei suoi dettagli, la statua è un esempio calzante delle tendenze artistiche del periodo. Originariamente si pensava fosse scolpita in basalto, materiale prediletto per la scultura del Tardo Periodo, un’ispezione più accurata rivela che si tratta di granodiorite, tipica delle sculture del tardo periodo, Il busto è modellato con grande attenzione a certi dettagli anatomici.
Le sue dimensioni, allo stato attuale, sono: statua intera: h 42 cm, l 32 cm, p 20,5 cm (26 cm compreso il volto moderno);
Frammento sinistro: h 42 cm; l 19 cm; p 20,5 cm;
Frammento destro: h 23,5 cm; l 13 cm; p 17 cm;
Pilastro posteriore, metà destra: h 26,5 cm; l 10 cm; p 3 cm
Pilastro posteriore, metà sinistra: h 13 cm; l 9 cm; p 3 cm;
Larghezza delle colonne geroglifiche: 3 cm;
Volto: h 25,5 cm; l 15 cm; p (al naso) 5,5 cm;
Orecchie: h 6,5 cm; l 4 cm.

I testi
L’iscrizione geroglifica conservata sul pilastro posteriore è disposta in sei colonne verticali sul retro e una colonna sul lato sinistro e una sul lato destro. Tutte e otto le colonne sono incomplete e la giunzione tra la terza e la quarta colonna della della terza e della quarta colonna del pilastro posteriore è stata danneggiata dalla scissione della statua in due frammenti. Alcune parole e brani presentano tuttora difficoltà di traduzione e problemi epigrafici.
L’aspetto filologico si affronterà se gli esperti del gruppo riterranno opportuno esaminarlo.
Le vicissitudini:
Dogana italiana e arrivo a Torino. La decisione di presentare la scultura alle autorità di frontiera è stata presa per legittimare la sua esportazione. Quando il proprietario ha portato la statua all’Ufficio Italiano dei Beni Culturali, la statua è stata identificata come un’antichità significativa che necessitava però di un esame da parte di un egittologo esperto.
Poiché gli uffici doganali veneziani non disponevano di uno specialista in antichità egiziane nel loro personale, contattarono Anna Maria Roveri Donadoni, al momento direttrice del Museo Egizio di Torino, chiedendo la sua competenza. Fu lei a riconoscere per prima l’importanza della scultura e decise di acquisirla al museo, approfittando della prerogativa di acquisto concessa dal governo italiano. Venne dato incarico a Elisa Fiore Marochetti di recuperare la statua di Neshor dagli uffici doganali veneziani. È così che il busto entrò nella collezione del Museo Egizio. Tuttavia, non fu esposto nelle gallerie, ma rimase nei magazzini del museo. È stato riscoperto in una cassa di legno sigillata, da Matteo Lombardi nel 2010, durante una sessione di inventario. La cassa in cui era conservata non riportava alcun riferimento, la scultura è stata registrata e le è stato attribuito il numero d’inventario, S. 19482. Nel 2011, tutti i dati disponibili per la scultura sono stati da Elisa Fiore Marochetti riuniti in un documento di tre pagine che analizza come l’opera sia arrivata al museo e fornisce alcune informazioni generali, come provenienza geografica, una breve descrizione, la datazione e lo stato di conservazione, A questa sezione, viene aggiunta una nota specifica: “Due frammenti longitudinali frammenti longitudinali uniti da stuccature moderne. La faccia
Il volto potrebbe essere stato scolpito riutilizzando la parte del busto, che in origine era composto da tre frammenti. Nessun esame geologico di queste informazioni è stato finora effettuato dal Museo Egizio per verificare questa ipotesi. Anche se le dimensioni del terzo frammento ora mancante, fossero state sufficienti a scolpire il volto moderno, questa teoria rimarrebbe comunque discutibile. Il restauro sarebbe stato riconoscibile come tale anche dai non specialisti. L’aggiunta del del nuovo volto difficilmente avrebbe compensato la perdita del terzo frammento che recava una parte dell’iscrizione geroglifica.
Conclusione
Questo post oltre dare informazione, ha inoltre sollevato la questione del restauro delle antichità per motivi estetici, anche a costo di diminuire il valore scientifico di un oggetto. Se la conclusione è corretta, il restauro è avvenuto mentre la scultura si trovava presso i proprietari del del negozio del Cairo. Queste modifiche riflettono il mutato atteggiamento dei commercianti di antichità verso gli oggetti antiquariato nei confronti degli oggetti durante gli anni Settanta.
Il rapporto tra i commercianti e gli oggetti fu trasformato in modo decisivo quando i potenziali clienti non erano più prestigiosi collezionisti privati o istituzioni, desiderose di raccogliere antichità autentiche e significative, ma acquirenti moderni di antichità, portati a questo collezionismo, dal recente sviluppo del turismo.
Nico Pollone
Bibliografia:
- ‘Protecting the Temple of God’. On the Self-Presentation of Neshor His Mendes Statue – Hussein Bassir
- Banebdjed: seigneur de Mendès Corpus – Leslie Hyacinthe
- The Long Journey of Neshor from Cairo to Turin – Maxence Garde, Matteo Lombardi