Di Patrizia Burlini e Nico Pollone

Albert C. Barnes fu un collezionista americano che fondò nel 1922 la Barnes foundation a Philadelphia, un museo che ospita 4000 opere, tra cui molti dipinti impressionisti e non solo. Grande esperto di arte moderna e contemporanea, Barnes tuttavia non lo era altrettanto nell’arte antica e acquistò molti pezzi che solo recentemente si sta scoprendo essere falsi.
È il caso di questa Hathor in forma di vacca sacra in vetro blu (A68) con un disco solare tra le corna e una figura umana che succhia il latte. Rappresentazioni simili sono abbastanza frequenti nell’Antico Egitto e la figura umana di solito rappresenta un faraone.
La statuetta fu acquistata da Barnes a Parigi nel 1923 presso il commerciante Georges Manolakos.


Era etichettata come “vacca sacra”, datata al 2000 a. C. e fu acquistata per 3.000 franchi, una cifra importante per l’epoca. Manokolas non fornì informazioni sulla provenienza.
Il curatore Carl Walsh ha studiato a fondo la statuetta deducendo che si tratti di un falso.
Innanzitutto, il materiale (vetro) è molto insolito: statuette simili furono realizzate in faïence o pietra, ma non in vetro, nel corso dell’intera storia egizia. Il vetro era una tecnologia relativamente recente, utilizzata a partire dal Nuovo Regno (1550-1069 a.C) per produrre piccoli oggetti di lusso.
La statuetta mostra inoltre tecniche di lavorazione moderne. Si nota che è stata realizzata da uno stampo composto da due metà (tecnica mai riscontrata nell’Antico Egitto) e che il vetro è stato sottoposto ad un raffreddamento repentino (anche questa tecnica mai utilizzata).

La fattura dell’oggetto devia dai canoni dell’arte egizia: la vacca è piuttosto tozza e non presenta le proporzioni corrette, né gli occhi stilizzati, né le corna sottili e curve che si riscontrano nelle rappresentazioni di Hathor. La figura del sovrano è abbozzata e non presenta i simboli regali.
Inoltre, rappresentazioni di Hathor che allatta il sovrano sono molto rare e non esistono statuette del genere, il che è comprensibile dato che si trattava di immagini regali che erano custodite in luoghi sacri all’interno dei templi.
Afferma Carl Walsh :
“Il falsario che ha realizzato questa statuetta si è probabilmente ispirato ad un rilievo autentico, ad una scena dipinta o ad una statuetta/amuleto di una vacca Hathor. Ciò non sorprende, poiché questo motivo divenne piuttosto popolare nel XIX e all’inizio del XX secolo grazie alla produzione di calchi in gesso, fotografie e riproduzioni dipinte dei rilievi di Deir el-Bahri. Ciò fece sì che il motivo venisse incorporato negli stili revival egiziani dell’epoca. Il colore della statuetta imita probabilmente il famoso “blu egiziano” della faience, un materiale che gli egiziani usavano per imitare i blu vibranti dei lapislazzuli e del turchese. Sfruttando materiali e colori egiziani, il falsario ha fatto apparire la statuetta autentica.”
Nonostante sia stata riconosciuta come falsa, la statuetta resta in esposizione e le motivazioni per questa scelta sono, a mio parere, interessanti e meritano di essere condivise perché offrono spunti di riflessione:
“Alla Barnes Foundation, tuttavia, non possiamo rimuovere alcun oggetto dalla collezione, nemmeno i falsi. Perché? Perché questi oggetti sono stati posizionati con cura negli ensemble di Albert Barnes, o esposizioni didattiche, rendendoli documenti storici che riflettono la sua visione e la sua filosofia didattica. L’intento di Barnes nell’acquisire le antichità era quello di permettere ai visitatori e agli studenti di trovare connessioni nelle tecniche e nelle arti plastiche (colore, linea, illuminazione e spazio) che gli artisti usavano per esprimersi, sia nel tempo che attraverso diverse tradizioni culturali. Queste antichità hanno ancora valore in quanto rappresentano non solo elementi dell’arte egizia, ma anche la percezione storica dell’arte egizia in Europa e in Nord America durante il XIX e il XX secolo. Alcuni dei falsi egizi della collezione presentano persino influenze evidenti degli stili del revival egizio e dell’art déco, che illustrano come l’arte egizia nella cultura popolare abbia influenzato la percezione della gente su ciò che era autentico e ciò che era falso.”