“COSE (ANCORA PIÙ) MERAVIGLIOSE”

IL CIRCO IN EGITTO

GIOVAN BATTISTA BELZONI

Belzoni come apparirà nel frontespizio del suo libro “Narrative of the Operations and Recent Discoveries Within the Pyramids, Temples, Tombs and Excavations in Egypt and Nubia” che pubblicherà nel 1820

Giambatta dal seminario al “giovane Memnone”

Quando Napoleone invade l’Italia nel 1796, un diciottenne padovano grande e grosso, probabilmente spaventato all’idea di essere arruolato nell’esercito napoleonico, decide di seguire il suo spirito avventuroso e inizia a viaggiare in Europa.

All’anagrafe padovana risulta Giambatta Antonio Bolzòn, è “un barbiere, figlio di barbieri”. È andato a Roma dove ha studiato idraulica, poi è entrato in seminario per diventare frate cappuccino forse a seguito di una delusione amorosa (tale Angelica Catelani diventata poi cantante lirica; ah, le donne…) e all’arrivo di Napoleone, scappa. Vive di espedienti, un po’ imbroglione ed un po’ imbonitore. Per motivi che non sappiamo, va proprio a Parigi dove per un periodo vende immagini sacre, pare ancora vestito da frate. Torna a Padova, poi va ad Amsterdam e in Germania incontra un gruppo di saltimbanchi dove si esibisce un uomo forzuto nel numero della piramide umana, quasi un destino. Il tragitto europeo di Giambatta appare un po’ strano, ma pare coincida stranamente con le esibizioni liriche di Angelina Catalani…

Il giovanotto rimane folgorato dalla vita del circo e si improvvisa a sua volta “uomo forzuto” – d’altra parte è alto quasi due metri e pesa un centinaio di chili – mettendo su con suo fratello un piccolo spettacolino itinerante. A Londra viene ingaggiato dal Sadler’s Wells Theatre come “Golia italiano” e poi “Sansone Patagonico” esibendosi a sua volta nel numero della piramide umana.

Il Sadler’s Wells Theater in una locandina del primo ‘800. Fu qui che il giovane Bolzon divenne famoso nella Londra dell’epoca. La cosa in qualche modo lo danneggiò al suo ritorno dall’Egitto perché molte persone con cui venne in contatto lo ricordavano come saltimbanco e non degno di fiducia.
In effetti, i rappresentanti del British Museum non erano propensi a dare eccessivo credito al “Golia Italiano”, alias “Sansone Patagonico” come qui illustrato…
La prima piramide di Belzoni fu…lui stesso, spesso con dei volontari che sceglieva dal pubblico, come vediamo in questa locandina.

Cambia il suo nome in Giovan Battista Belzoni perché suona più italiano ed esotico rispetto a Bolzòn, che a Londra viene sempre anglicizzato in “Bòlson”. Arrotonda vendendo giocattoli ad acqua di sua invenzione; nel frattempo conosce Sarah Bane o Bannes, una ragazza molto emancipata per i suoi tempi e che diventerà sua moglie. Con lei dopo qualche anno si sposta verso il Portogallo, poi a Malta ed infine, nel 1815, ad Alessandria d’Egitto.

E a Londra sposa Sarah Banne o Bannes (la grafia non è certa). Nei carteggi non appare esattamente un amore romantico, ma piuttosto un affetto con enorme rispetto reciproco

È riuscito a strappare l’invito a presentare al viceré Mohammad Ali un congegno idraulico per l’irrigazione (una “machina” di cui null’altro sappiamo) ma la dimostrazione davanti al viceré non è convincente. Naturalmente nelle sue memorie scrive che non è colpa sua, ma che “fui fornito di legno cattivo, e di ferro altrettanto cattivo”.

Il Cairo nel 1815, disegno originale di Henry Salt che, come abbiamo visto anche con la Sfinge, era un bravo disegnatore

Il giovanotto di Padova è sul lastrico, ma per una fortunata coincidenza incontra il console inglese Henry Salt (ricordate? Quello che finanzierà il primo disseppellimento della Sfinge) che affida all’uomo forzuto l’incarico di risalire il Nilo e recuperare a Tebe una testa in granito di Ramses II (all’epoca nota come “il Giovane Memnone”) del peso di sette tonnellate e di trasportarla al Cairo per spedirla in Inghilterra.

Henry Salt nel 1815, appena prima di trasferirsi in Egitto

E Giobatta, o meglio Giovan Battista Belzoni, da saltimbanco si trasforma nel primo archeologo importante nella storia delle scoperte egizie.

Con un sistema di rulli di legno, che lui stesso ci tramanda in un disegno, riesce nell’intento di trasportare il busto di Ramses fino ad Alessandria, da dove proseguirà per il British Museum (dove tuttora risiede). Il successo in questa impresa gli vale un importante contratto con Salt.

La prima impresa di Belzoni: il recupero del “Giovane Memnone” nel disegno dello stesso Belzoni. Magari involontariamente, ma ricorda in maniera impressionante le ricostruzioni del trasporto di blocchi, colossi ed obelischi all’epoca dei Faraoni
Il Giovane Memnone, alias Usermaatra Setepenre Ramses Meriamon, accoglie tuttora i visitatori della Sala Egizia del British Museum. Perenne memento di un’era di pionieri, magari non sempre “legali” ma che attraversavano un mondo allora sconosciuto

Dal 1816 al 1819 viaggia per tutto l’Egitto, finanziato dal console inglese in una sorta di “corsa” alle antichità egizie. È convinto da Salt di lavorare direttamente per la Corona Inglese, in realtà non è proprio così e lo imparerà a sue spese.

La sua carriera di archeologo non è proprio tranquilla, si racconta che assalito dai beduini ne abbia afferrato uno per le caviglie ed usato come clava per allontanare gli altri. È un periodo senza regole, in cui moltissimi reperti lasciano l’Egitto in modo più o meno legale, molto spesso senza che le autorità locali se ne interessino minimamente. In più si aggiunge una rivalità tra francesi ed inglesi che influenzerà la vita di tutti gli archeologi dell’epoca. I francesi hanno perso la guerra, e sono a stento tollerati sul Nilo, ma sono stati i primi ad affrontare scientificamente l’Egitto e credono di vantare una sorta di primogenitura. Gli inglesi hanno vinto, ma la loro supponenza ed il loro superiority complex li rende odiosi ed odiati dal mondo arabo, che non vede l’ora di spillare i loro soldi.

Ed in mezzo ci finisce lui, Belzoni, e sarà la sua gioia e la sua croce.

Cosa se ne fa il tuo Re di una pietra?

Belzoni non è un francese, eppure utilizza sistemi simili per “registrare” ciò che fa. Non è un inglese, eppure lo appoggiano perché ottiene risultati. Forse non è neanche più italiano, ma la creatività rimane un suo tratto distintivo. E poi è un imbonitore nato, e gli verrà utilissimo. Capisce la mentalità dei nativi. Dove gli altri europei seguono le regole e la burocrazia, lui usa il “bakshish”, la piccola somma in regalo, per prendere scorciatoie. Noi oggi la considereremmo “corruzione”, all’epoca un’usanza imprescindibile.

A cominciare dal recupero del “Giovane Memnone” mette sempre in risalto il fatto che non cerca tesori, oro o gioielli, ma sculture “da mandare al Re, in Inghilterra”. Una cosa tanto strana da far dire al viceré Mohammad Ali: “Ma cosa se ne fa il tuo Re di una pietra?” sottintendendo una certa stupidità dei suoi interlocutori.  Ma almeno Belzoni riesce a scivolare tra gli ostacoli.

Visita una prima volta la Valle dei Re (all’epoca “Valle delle Porte”) per “raccogliere” un regalo di Drovetti nella magnifica tomba di Ramses III (che vedremo separatamente) e si accorge che le guide assoldate sul posto gli hanno tenuta nascosta un’altra entrata alla tomba – lo scopre perdendosi dopo che un suo collaboratore è caduto in uno dei pozzi della tomba – da cui rafforzerà la sua diffidenza nei confronti degli arabi, che definisce con termini irripetibili nei suoi scritti.

Ma il suo “vero” progetto è un altro. Nel 1813 Johann Ludwig Burckhardt, un esploratore svizzero, mentre ammirava il Tempio Minore di Abu Simbel, quello dedicato a Nefertari e che era già accessibile, è praticamente inciampato nelle teste dei quattro colossi di Ramses II del Tempio Maggiore che emergono a fatica dalla sabbia. Burckhardt è attonito davanti alle dimensioni delle statue e di quello che ci può essere sotto la sabbia, ma è un’impresa troppo grande per lui.

Johann Ludwig Burckhardt. È famoso soprattutto per aver scoperto la città di Petra, la capitale dei Nabatei, in Giordania

Ci ha provato Costantino Drovetti a liberarle, ma è stato allegramente truffato dal capovillaggio locale e alleggerito di 300 piastre, una piccola fortuna per l’epoca. È una sfida irresistibile per Giambatta, che parte quindi per “Ybsambul”, dove arriva nel settembre 1816.

Abu Simbel è il capolavoro dell’imbonitore Belzoni. Prima inganna il capovillaggio locale dicendo che è “alla ricerca dei suoi lontani antenati, per capire se provenissero proprio da lì” per non destare sospetti di saccheggio (la barba e l’abbigliamento arabo lo aiutano), poi truffa clamorosamente i lavoranti sul valore della paga che gli sta offrendo. Si è infatti messo d’accordo con il capitano della nave che lo ha accompagnato, ormeggiata nei pressi, che garantisce ai locali un “cambio” piastre/mais molto favorevole. Peccato che salperà molto prima che l’inganno venga scoperto…

Abu Simbel, operai al lavoro per liberare l’ingresso del Tempio Maggiore

Non contento, promette di dividere a metà l’oro trovato sotto la sabbia, ma le “pietre” sarebbero state tutte per gli inglesi. In meno di due settimane libera le quattro statue colossali e ne “firma” una come testimonianza di dove è arrivato. Non sarà l’ultima volta.

La “firma” di Belzoni ad Abu Simbel. Guardiamola bene, ci “servirà” più avanti

La strada è aperta, ma servirà una seconda “missione” di Belzoni per penetrare finalmente nel Tempio Maggiore. Il 1° agosto 1817, dopo una sorta di sciopero degli operai e l’abbandono dei lavori per il ramadan, un piccolo manipolo di europei capitanati dal padovano entra nel tempio. Belzoni nota le scene di battaglia ritratte; sono riferite a Kadesh ma, non potendo leggere i geroglifici, Belzoni scambia gli Ittiti per Etiopi.  

Forse Belzoni non sarà stato il miglior disegnatore mai stato in Egitto, però i suoi disegni sono evocativi di situazioni, emozioni, scoperte. Qui il Tempio Maggiore finalmente liberato dalla sabbia.

Un archeologo moderno, di fronte ad una scoperta simile, camminerebbe sul Nilo per la gioia. Ma per un cacciatore di tesori come Belzoni la delusione è cocente: la spedizione riporta a valle solo due sfingi a testa di falco ed un paio di statue.

Forse il pezzo più interessante del magro bottino di Belzoni ad Abu Simbel è la statua policroma del viceré di Kush Paser, inginocchiato davanti ad un altare su cui spicca una testa di ariete. Sempre al British Museum, EA1376. Foto: © British Museum

Di oro non se ne parla, gioielli nemmeno. Il colpo potrebbe essere fatale per l’esploratore, che invece si ricongiunge con Sarah, che lo aspettava a Philae, e riparte per la Valle dei Re.

La “riscoperta” dell’Antico Egitto sta per fare un altro, colossale balzo in avanti.

LA “TOMBA DI PSAMMIS”

La tomba di Seti I, oggi

Completata l’impresa di accedere al Tempio Maggiore di Abu Simbel, Belzoni “punta” la Valle dei Re (all’epoca ancora “Valle delle Porte”) per rifarsi del magro bottino racimolato fino a quel momento.

Torna quindi nella Valle e organizza delle vere e proprie squadre di lavoro molto più moderne della sua epoca. Osserva attentamente il terreno e cerca “delle anomalie”, come faranno tanti suoi colleghi nei decenni a venire. Il successo sarà straordinario.

Dal 9 al 18 ottobre 1817 trova ben quattro ingressi in pochi giorni, due nello stesso giorno e penetra in diverse tombe, almeno sette od otto (c’è un po’ di confusione tra alcune di esse mancando la traduzione dei geroglifici).

La posizione delle tombe scoperte od esplorate da Belzoni nel 1817, tavola di Belzoni

Chiama una tomba il “Mausoleo di Hapi” intesa come divinità della fertilità perché vi aveva trovato la mummia di un toro. Era invece la Tomba di Ramses I, il fondatore della XIX Dinastia

Il 16 ottobre punta la sua attenzione su sito che apparentemente non dovrebbe promettere nulla di buono, uno strato argilloso soggetto ad allagamenti. Lo definirà “un giorno fortunato… probabilmente uno dei migliori della mia vita”. Il 17 trovano una pietra tagliata dall’uomo, il 18 entrano nella tomba di Seti I, una delle più belle della Valle.

Alla scoperta della tomba di Psammis, Belzoni guida i suoi uomini

Belzoni (che, senza uno Champollion a correggerlo, pensa di essere entrato nella tomba di “Psammis”, Psammetico I) scrive della sua gioia penetrando “primo fra tutti in un monumento ch’era perduto per gli uomini, e che da me veniva allora ritrovato così ben conservato che si sarebbe potuto credere fosse stato finito poco prima della nostra entrata”.

L’interno della tomba di “Psammis”, disegno originale di Belzoni
Una “ricostruzione” della tomba di Seti I basata sui disegni di Belzoni
La sala sepolcrale di Seti I, disegno originale di Belzoni
Seti I al cospetto di Osiride, disegno originale di Belzoni
Nekhbet, disegno di Belzoni

Hathor con Seti I, disegno di Belzoni (a sinistra) e il rilievo originale, oggi al Louvre (N 124; B 7; Champollion n°1)

Una curiosità: qualche “incertezza” nella copia delle decorazioni della tomba da parte di Belzoni…

Il sarcofago in alabastro traslucido, tanto sottile da vedere la luce di un lume in trasparenza, sarà oggetto di lunghe dispute in Inghilterra che vedremo a parte, perché merita un discorso separato. Il suo coperchio è a pezzi, frantumato dagli antichi tombaroli. Il British Museum ne ospita alcuni frammenti, altri hanno viaggiato con la vasca del sarcofago, molti sono andati perduti per sempre, purtroppo.

L’interno del sarcofago in alabastro di Seti I. Ne riparleremo più avanti
Il frammento più grande del coperchio del sarcofago di Seti I al British Museum (EA29948) con l’ala di una delle dee protettrici della salma del faraone. Foto Osama Shukir Muhammed Ami

Nel frattempo la moglie Sarah, tanto per non annoiarsi, si traveste da uomo e visita Gerusalemme e la sua moschea, forse la prima donna nella storia a farlo. Se l’avessero scoperta sarebbe stata messa a morte senza esitazione. Bel peperino anche lei.

Giambatta, messo in allarme da certe voci su Henry Salt e da una lettera nel frattempo pervenutagli, pensa bene di rendere immediatamente pubblica la scoperta della tomba.

Belzoni ha infatti un grande merito: scrive – e disegna – più che può. Arriverà a pubblicare un volume sui suoi viaggi (compreso un capitolo scritto dalla moglie sugli usi delle donne in Egitto) che, tradotto anche in francese e in italiano avrà un enorme successo e che avrà un grande impatto sugli archeologi delle generazioni future, compreso un certo Howard Carter. Il volume è figlio dell’epoca: oggi verrebbe definito impreciso e razzista (“mai fidarsi di un arabo” ricorre abbastanza spesso e, riferendosi ai templi di Karnak e Luxor: “è una vergogna che tali edifici siano abitati dagli sporchi Arabi e dalle loro vacche”) ma è affascinante perché Belzoni è sinceramente colpito dalla civiltà che si presenta davanti a lui e altrettanto sinceramente disgustato degli “eredi” di quella civiltà.

Ma il tempo delle pubblicazioni è ancora lontano; in quel momento conta la gara, la competizione per i reperti più belli. E la corsa sta per tornare sulla Piana di Giza, proprio dietro alla Sfinge..

Violare la piramide di Chefren

Belzoni vedeva l’Europa come la salvezza dei reperti che scopriva (“la statua sembrava sorridermi al pensiero di andare in Europa” aveva scritto del busto di Ramses) un obiettivo da raggiungere a qualsiasi costo, anche distruggendone altri, considerati arbitrariamente meno importanti. È un’epoca di antiquari, più che di archeologi. E i danni furono notevoli.

Danni ne fa anche Belzoni, e tanti. Per prelevare il busto di Ramses, Belzoni non si è minimamente preoccupato di abbattere due colonne del Ramesseum che sbarrano la strada ai suoi rulli di legno, gli è caduto un obelisco nel Nilo (ma è riuscito a ripescarlo), ha usato l’ariete per entrare nelle tombe ma almeno non ha utilizzato la dinamite per entrare nella piramide di Chefren (come faranno gli inglesi con quella di Micerino-

Confessa candidamente di essersi addormentato sopra alcune mummie e di averle distrutte con il suo peso. Ma conta la corsa, arrivare primi.

E nel novembre del 1817 Belzoni, ormai già in rotta con Salt, torna al Cairo, dove trova una nuova corsa che lo aspetta. Per migliaia di anni, infatti, sull’onda di quanto aveva scritto Erodoto, la piramide di Chefren era stata creduta priva di camere o corridoi interni – una sorta di sasso pieno nel deserto. Salt e Caviglia, per giunta, ci si erano spaccati la testa per quattro mesi sulla facciata nord senza cavare un ragno dal buco.

Belzoni studia per qualche giorno la piramide di Chefren, studia anche l’ingresso di quella di Cheope e, convinto di poterci almeno provare, riparte con gli inganni. Ottiene i permessi per “qualche piccolo rilievo intorno alla piramide”, promette agli operai una percentuale sulle visite dei turisti e inizia a scavare. Trova il tempio funerario di Chefren e per primo ipotizza che piramide, tempio e Sfinge siano una sorta di struttura unica, costruiti contemporaneamente.

Il primo tentativo va “quasi” a vuoto; trovano uno dei cunicoli usati dai tombaroli per entrare nel corridoio principale, ma il cunicolo è impraticabile. Belzoni, allora, si arma di corda per misurare l’ingresso della piramide di Cheope, lavora di proporzioni e indica su quella di Chefren dove scavare esattamente. Bingo.

Belzoni entra nella Piramide di Chefren nel disegno da lui stesso preparato

Trovato l’ingresso, Belzoni percorre 37 metri di corridoio ma si scontra con un macigno posto dagli antichi costruttori a bloccare l’accesso. Rimuoverlo costa un mese di lavoro, ma finalmente il 2 marzo 1818 il padovano pensa di entrare per primo dopo millenni nella camera sepolcrale. O meglio, per secondo o terzo, perché prima bisogna allargare il passaggio, vista la mole dell’ex uomo forzuto del circo…

Nei cunicoli della Piramide

Ma poco importa; Erodoto è stato smentito. Anni dopo, venne per questo onorato in Inghilterra con una medaglia commemorativa, che riproduce però la piramide sbagliata. Beata ignoranza, in ogni epoca.

Finalmente l’ingresso nella camera sepolcrale della Piramide, sempre nei disegni dello stesso Belzoni
La camera sepolcrale come appare oggi

Dopo lo sgomento per non aver visto un sarcofago, lo trova praticamente incassato nel pavimento di pietra, dove numerosi fori testimoniano i tentativi di antichi predoni di trovare un tesoro nascosto.

Il sarcofago in granito incassato nel pavimento della camera sepolcrale

Tra le scritte indecifrabili sui muri della camera sepolcrale, una in arabo indica che tale Mohammed Ahmed vi era giunto nel XII secolo.

Un’altra cocente delusione per Belzoni, che lascia una scritta enorme nella camera, quasi a voler cancellare tutti i suoi “predecessori”. E, per giunta, nessun reperto. Solo un mucchietto di ossa nel sarcofago, di dubbia provenienza. Belzoni vorrebbe riprovare con la piramide di Micerino; indovina dov’è l’apertura ma il suo tempo a Giza è scaduto. È arrivato Salt al Cairo, ed inizia il tempo dei litigi.

Per non lasciare dubbi su chi fosse entrato “per primo” nella Piramide di Chefren

Il console francese Drovetti, geloso delle sue scoperte ed ormai suo nemico, cerca addirittura di distruggere alcuni reperti inviati da Belzoni al Cairo.

Tra i pirati, solo un pirata può sopravvivere. Non andrà altrettanto bene in Europa.

Il ritorno a Londra

Belzoni era sinceramente convinto di lavorare per il British Museum, e di conseguenza per il governo britannico. Dopo tre lunghi e fruttuosissimi anni, scopre invece di essere sempre stato alle dipendenze di Salt, e non la prende benissimo.

Eppure Salt aveva avvisato Belzoni. Così scrive nel 1817 a Beechey, un funzionario del consolato inglese assegnato al seguito di Belzoni, subito dopo l’apertura della tomba di Sethi I: “Dovete essere avvertiti del fatto che né lei né il signor Belzoni siete attualmente ingaggiati in missioni ufficiali; al contrario, siete due viaggiatori che stanno mettendo assieme una collezione ed avete diritto alla copertura che spetta a qualsiasi cittadino britannico […] io sostengo tutte le spese e colleziono a titolo personale, anche voi potete essere considerate persone che agiscono a quel titolo”. Belzoni non sa o fa finta di non sapere? Forse non lo sapremo mai.

Belzoni litiga una prima volta in Egitto, anche perché scopre che Drovetti e Salt si sono finalmente alleati per spartirsi i principali siti di Tebe e Luxor.

Senza un nuovo contratto con Salt, parte alla volta del Mar Rosso dove scopre l’ubicazione della città di Berenice, importante porto in epoca romana, e tenta di trovare l’oasi di Siwa, la sede dell’oracolo di Amon di Alessandro Magno – mancandola di un niente.

Terminati i denari, torna a Londra dove si iniziano a sistemare i tesori che ha inviato.

È rimasto l’imbonitore di sempre: sfoggia la sua lunga barba, l’abbigliamento orientaleggiante; viene definito dai racconti dell’epoca “il più arabo degli europei” e fa di tutto per propagandare le sue scoperte.

Dona anche due statue di Sekhmet, la dea leonessa assetata di sangue, a Padova dove, anche sotto l’impero austro-ungarico si ricordano di essere italiani e ci mettono nove mesi a sdoganarle con tanto di perizie e controperizie sul valore effettivo. Viene chiamato a stimarle anche un cavapietre, che le valuta “cinquanta lire l’una” perché “è pietra assai comune”. Ma non è finita: l’analisi archeologica viene affidata ad un numismatico, tale Meneghelli, che di Egitto non sa nulla, mette insieme la figura umana e la testa di leonessa e dichiara che si tratti di Iside nelle forme zodiacali di Leone e Vergine. A posto così.

Le due statue di Sekhmet a Padova: valore 50 lire l’una…

Venezia non è da meno: rifiuta l’acquisto di tre mummie egizie, praticamente già concluso, perché “Le mummie d’Egitto non sono un articolo assolutamente richiesto per gabinetti di Storia naturale delle università (…) ma si conservano in alcuni dei medesimi piuttosto per ornamento”.

Mentre inizia una lunga vicenda legale legata al sarcofago in alabastro di Seti I, Belzoni si inventa la prima mostra egizia della storia al Bullock’s Museum, proprietà di un altro eccentrico lord affascinato dall’Antico Egitto.

Il Bullock’s Museum, dove venne allestita l’Egyptian Hall di Belzoni nel 1821

Ricostruisce due sale della tomba di Seti, aggiunge alcuni reperti, tra cui due mummie, un diorama della tomba completa e uno in sezione della piramide di Chefren con tutte le sale ed i corridoi interni, e prepara un catalogo della mostra stessa con ben 45 illustrazioni. Una “exhibition” che non ha nulla da invidiare a quelle moderne, che portano in giro per il mondo, ad esempio, le copie dei reperti di Tutankhamon o di Ramses, e lontana anni luce dalla fredda esposizione dei musei convenzionali.

La mostra sulla tomba di Sethi I al Bullock’s Museum in un’illustrazione dell’epoca.

La mostra ha un successo enorme (duemila persone il giorno dell’inaugurazione!), tanto da essere replicata con ancora più successo a Parigi – dove la traduzione e le illustrazioni per il catalogo vengono fatte da tale “L. Hubert”, al secolo (pare) Jean Francois Champollion…

Ma in Patria le polemiche divampano. Henry Salt ha stilato un vero e proprio listino prezzi dei reperti egizi, di cui rivendica la proprietà. Belzoni non vuole cedere il sarcofago in alabastro per meno di 4,000 sterline, gliene offrono la metà e Salt ne rivendica la proprietà. In attesa di dirimere la questione, il sarcofago viene portato a Villa Soane, dimora di un eccentrico lord (che ha pagato duemila sterline direttamente a Salt), dove rimarrà fino ad oggi in condizioni di conservazione disastrose.

Belzoni si rifà mettendo all’asta gli oggetti della mostra; il solo diorama della tomba gli frutta quasi 500 sterline, uno sproposito per l’epoca.

Pubblica i resoconti dei suoi viaggi: un altro successo editoriale, tradotto subito in francese (sembra sempre con l’aiuto di “L. Hubert”) ma quasi clandestino in Italia. Un’altra delusione, di cui emergono tracce dalla sua corrispondenza con i familiari rimasti a Padova. Sarah ne scrive un capitolo aggiunto, in cui descrive la vita delle donne in Egitto come “sottomessa e molto lontana dalle abitudini europee”.

Una delle illustrazioni originali dei racconti di viaggio di Belzoni, raffigurante il “Panorama delle rovine del Grande Tempio di Carnac, scoperto da G. Belzoni”. Quasi tutte le illustrazioni erano di Alessandro Ricci, un medico “prestato” all’egittologia che accompagnerà anche Champollion e Rosellini qualche anno dopo

Eterno viaggiatore, Belzoni morirà alla fine del 1823 in viaggio verso il Niger, probabilmente di dissenteria, mentre andava a caccia di nuove scoperte verso la mitica Timbuktu.

La raccolta era cominciata, ora bisognava conservare e comprendere.

L’ultima firma di Belzoni

Mr. and Mrs. Belzoni

Dopo la morte di Belzoni la moglie Sarah è persa. Senza Giobatta vive in miseria; la notizia si sparge e viene prima fatta una petizione per assicurarle una piccola pensione (che avrà successo ma solo dopo molti anni, il nome di Belzoni risuona ancora a Londra ma non più come prima), poi una raccolta fondi.

Linsey Baxter nei panni di Sarah Belzoni in un docu-film della BBC

Si organizza una cena di beneficenza a suo favore a casa dello stesso Sir Soane. E qui succede qualcosa di strano.

Sulla parte superiore del sarcofago in alabastro di Seti I, ancora oggi è infatti possibile leggere la scritta “DIS.ED BY G. BELZONI” (“discovered by G. Belzoni”, scoperto da G. Belzoni).

La scritta sul sarcofago con la “N” rovesciata

Niente di straordinario, come abbiamo visto aveva “firmato” molte scoperte.

Però…

Però quando il sarcofago viene proposto al British Museum e poi acquistato da Soane, della scritta non c’è menzione.

Certo, potrebbe essere una svista, però…

Però qui la “N” è rovesciata, è sbagliata.

Impensabile l’abbia scritta lui, però…

Però a Philae c’è un’altra N rovesciata, nella “firma” di sua moglie Sarah Bane sul muro del tempio di Philae.

E quindi?

È estremamente probabile che Sarah, dopo la morte del marito, abbia approfittato di un momento di solitudine a casa Soane (forse proprio durante quella cena organizzata per raccogliere dei fondi per lei) per eternare anche su quell’oggetto i meriti del marito, che tanto aveva combattuto per trovarlo, estrarlo e portarlo in Inghilterra per poi vederselo portar via sulla base di cavilli legali.

Mi piace immaginarla in quella sala, illuminata dalle candele che dovevano fare scena, mentre incide con il primo oggetto appuntito trovato il suo marchio, il marchio di suo marito, “Mr. B”, come amava chiamarlo.

Una rivendicazione? Un atto d’amore?

Un eterno ricordo 

Dedicato a tutti i legami così forti da infrangere il tempo

La nota descrittiva del sarcofago al Soane Museum. Cari Inglesi, scrivete pure “there is no known reason for this”, io una ragione meravigliosa riesco a vederla.
Sarah e Giovanni nel fumetto dedicato a Belzoni dalla Bonelli
Sarah Bannes Belzoni a 80 anni
La tomba di Sarah al Mont à L’Abbé Old Cemetery di St Helier, Bailiwick of Jersey 

Riferimenti

  • Webster D, Giovanni Belzoni: Strongman Archaeologist, 1990
  • Belzoni GB, Narrative of the recent discoveries in Egypt and Nubia, 1835
  • De Andrade-Eggers, Discovering Ancient Egypt In Modernity: The Contribution Of An Antiquarian, Giovanni Belzoni. Herodoto, 2016
  • Zatterin M. Il gigante del Nilo, 2002
  • Sevadio G, L’italiano più famoso del mondo, Bompiani 2018

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