Di Andrea Petta
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Si tratta della parte superiore di una statua colossale di Ramses II inizialmente posta, insieme alla sua gemella, davanti al Ramesseum. La parte inferiore della statua è rimasta in Egitto.
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La base del “Giovane Memnone” ancora davanti al Ramesseum e una ricostruzione digitale della statua originale
Fu chiamato “il giovane Memnone” in onore del mitico re di persia e dell’Etiopia, figlio di Titone e di Eos, ucciso da Achille durante la guerra di Troia e che secondo Omero nell’Odissea fu “il più bello tra tutti i guerrieri che presero parte alla guerra di Troia”.
Fu quindi, in pratica, la prima opera egizia considerata “artistica” dagli inglesi, tanto da accostarla all’arte greca.
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Ha la caratteristica di essere in granito di due tonalità (grigio e rosa); lo scultore ha sfruttato questa peculiarità scolpendo il viso nella parte più rosata per esaltarlo maggiormente.
Il sovrano indossa il classico nemes; l’ureo che adornava la fronte è andato perduto quasi del tutto. Da notare che gli ampi occhi a mandorla, in contrasto con l’iconografia classica egizia, sono leggermente inclinati verso il basso, come il Faraone divinizzato guardasse dall’alto i semplici mortali.
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L’iscrizione verticale sul retro del busto riporta i nomi ed i titoli del Faraone ed una parte della dedica ad Amon-Ra.
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Le dimensioni sono impressionanti: è alto 2,66 metri e supera di poco i due metri in larghezza all’altezza delle spalle. Il suo peso supera le sette tonnellate e, come abbiamo visto, la sua difficoltà di trasporto si trasformò per Belzoni nell’opportunità della sua vita. Il foro nella spalla destra della statua, infatti, sarebbe frutto del tentativo fallito da parte dei francesi di rimuovere la statua prima di Belzoni.
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Tra le leggende metropolitane che accompagnano questa statua, sarebbe stata la fonte di ispirazione del poeta inglese Shelley per scrivere il sonetto “Ozymandias”:
«Incontrai un viandante di una terra dell’antichità,
Che diceva: “Due enormi gambe di pietra stroncate
Stanno imponenti nel deserto… Nella sabbia, non lungi di là,
Mezzo viso sprofondato e sfranto, e la sua fronte,
E le rugose labbra, e il sogghigno di fredda autorità,
Tramandano che lo scultore di ben conoscere quelle passioni rivelava,
Che ancor sopravvivono, stampate senza vita su queste pietre,
Alla mano che le plasmava, e al sentimento che le alimentava:
E sul piedistallo, queste parole cesellate:
«Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re.
Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!»
Null’altro rimane. Intorno alle rovine
Di quel rudere colossale, spoglie e sterminate,
Le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine»
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Riferimenti
- Webster D, Giovanni Belzoni: Strongman Archaeologist, 1990
- Belzoni GB, Narrative of the recent discoveries in Egypt and Nubia, 1835
- De Andrade-Eggers, Discovering Ancient Egypt In Modernity: The Contribution Of An Antiquarian, Giovanni Belzoni. Herodoto, 2016
- Zatterin M. Il gigante del Nilo, 2002
- Sevadio G, L’italiano più famoso del mondo, Bompiani 2018
Foto: © British Museum, Londra – Wikipedia