Di Luisa Bovitutti

Accompagnati da Monalisa e dal nostro fido autista dedichiamo l’intera giornata alla visita del sito di Dahshur, che di solito non fa parte degli itinerari proposti dai Tour operators ma che merita una visita a passo lento, per immergersi nel silenzio e nella solitudine del deserto, camminare sulla sabbia, cercare ciottoli di selce o di alabastro forse scalpellati dagli antichi frequentatori della necropoli o cocci di ceramica, miseri resti di sontuosi corredi tombali trafugati da antichissimi ladri.
Insieme alla mia famiglia ci ero già stata vent’anni orsono, ed ero rimasta impressionata dalla magica atmosfera del luogo, che mi ha indotta a tornarci nuovamente; non ne sono rimasta delusa, ed anzi, questa volta ho potuto visitare anche l’interno della piramide a doppia pendenza e della sua piccola piramide satellite che in passato erano chiuse al pubblico e trattenermi a chiacchierare con una delle guardie addette alla sorveglianza del luogo, che trascorrono la loro giornata lavorativa sotto il sole feroce, intrappolati in una divisa con pantaloni e basco di panno caldissimo e con pesanti scarpe nere con i lacci, dalle spesse suole di gomma.

Il sito si trova a circa 45 km. a sud ovest del Cairo, di fronte ai resti dell’antica città di Menfi, subito dopo le necropoli di Abusir (ora purtroppo chiusa per lavori in corso) e di Sakkara.
Il pur breve viaggio è una piacevole esperienza: abbandonata la fatiscente periferia del Cairo, percorriamo una strada asfaltata ad una sola corsia che attraversa la verdeggiante campagna lungo il Nilo, sulle cui rive si estendono fitti palmeti che offrono abbondanti raccolti di datteri e prati verdissimi nei quali brucano liberi cavalli, bufali, pecore e capre.

Qui il tempo sembra essersi fermato: gli unici edifici sono rare casette rurali di mattoni di fango nei cui cortili becchettano liberi dei polli; per ripararsi dal sole che dardeggia inesorabile già a metà mattina, nei campi sono state costruite tettoie rettangolari di rami di palma sorrette da un’intelaiatura di tronchi, sotto le quali trovano ristoro animali e fellahin, i quali, a differenza dei loro antenati egizi che lavoravano nudi o con un minuscolo perizoma, indossano lunghe galabye in cotone, grigie, marroni o azzurre e proteggono il capo con un cappellino morbido a forma di tamburello oppure con lo shesh, una lunga striscia di stoffa avvolta in più giri attorno alla testa a formare un turbante.
La grande fertilità della Valle del Nilo e le particolari condizioni climatiche garantiscono fino a tre raccolti all’anno, ed infatti l’erba è rigogliosa e le coltivazioni di tabacco, ortaggi, canna da zucchero, mais appaiono lussureggianti; molti contadini non usano macchine agricole, ma zappe ed aratri trainati da cavalli o da bufali; i prodotti vengono caricati sulla groppa degli asinelli oppure su carretti a due ruote dotati di stanghe alle quali vengono aggiogati muli o cavalli.

Abbandonata la zona coltivata rimaniamo sulla riva occidentale e ci addentriamo nel deserto al margine dell’altopiano libico, una piatta distesa di sabbia beige mista a ciottoli che si estende a perdita d’occhio; in occasione della mia precedente visita il sito di Dahshur era raggiungibile solo percorrendo una pista sterrata nel deserto, mentre oggi è stata creata una strada asfaltata che per non alterare la particolare atmosfera del luogo si interrompe fortunatamente a debita distanza dalle piramidi, raggiungibili solo a piedi.
La monotonia del paesaggio è interrotta solo dalle vestigia dei complessi piramidali appartenuti ai grandi del passato: in un’area di circa Km. 5 x 3 (tanto misura la necropoli) in origine ne sorgevano ben undici, cinque delle quali appartenute a Faraoni ed almeno due temporalmente anteriori a quelle di Giza in quanto edificate da Snefru, padre di Cheope.

Esse sono ben conservate in quanto furono costruite con blocchi lapidei provenienti dall’altopiano libico; per contro quelle che i sovrani della XII dinastia Amenemhat II, Sesostris III e suo figlio Amenemhat IIIscelsero di edificare accanto a quelle del loro grande predecessore per condividerne la gloria si trovano in condizioni deplorevoli dal momento che il nucleo centrale, costituito da mattoni crudi, si è rapidamente deteriorato dopo l’asportazione del rivestimento di pietra, utilizzato per altre costruzioni.
L’area comprende anche sepolture di nobili ed un villaggio di operai e funzionari non aperti al pubblico, e promette significativi ritrovamenti archeologici perchè i faraoni della IV e V dinastia amavano essere circondati dalla propria corte anche da morti, e consentivano ai nobili ed ai funzionari più fedeli di costruire le proprie mastabe nei pressi delle loro piramidi.
Purtroppo essa è ancora in larga parte non investigata perchè nel 1967 è stata dichiarata zona militare e gli scavi sono stati vietati per trent’anni; nel 1996 è tornata in parte accessibile, ma ancora oggi un ampio settore è recintato ed è off limits per i civili senza che si sappia perchè, per cui almeno al momento continuerà a custodire gelosamente i propri segreti.
FONTI:
- https://www.guidaegitto.net/informazioni/clima-economia/
- economia-egitto.htm