Di Luisa Bovitutti
“Lasciato il villaggio alle spalle, proseguiamo attraverso un lungo palmeto dopo l’altro … È un viaggio lungo e senza riparo dalle palme al deserto; ma alla fine arriviamo alla meta, salendo proprio su un alto pendio sabbioso … Qui il bordo dell’altopiano si alza bruscamente dalla pianura in una lunga catena di basse scogliere perpendicolari forate da oscure bocche di sepolcri scavati nella roccia … E ora, smontati dagli asinelli … la prima cosa che osserviamo è il curioso miscuglio di detriti sotto i piedi. A Ghîzeh si calpesta solo sabbia e ciottoli; ma qui a Sakkârah l’intero altopiano è fittamente cosparso di frammenti di ceramica rotta, pietra calcarea, marmo e alabastro; scaglie di smalto verde e blu; ossa sbiancate; brandelli di lino giallo; e grumi di una sostanza marrone scuro dall’aspetto strano, come una spugna secca … sebbene la sabbia sia piena di detriti, è stata setacciata così spesso e con tanta attenzione dagli arabi che non contiene più nulla che valga la pena cercare. E poi, con uno shock … scopriamo all’improvviso che queste ossa sparse sono umane – che quei brandelli di lino sono brandelli di bende – che quei grumi marroni dall’aspetto strano sono frammenti lacerati di ciò che una volta era carne viva! E ora per la prima volta ci rendiamo conto che ogni centimetro di questo terreno su cui ci troviamo, e tutte queste collinette, cavità e pozzi nella sabbia, sono tombe violate. AMELIA B. EDWARDS, A thousands miles up the Nile, Londra, 1877

Questa fu la reazione che centocinquant’anni fa ebbe l’intrepida Amelia Edwards, egittologa inglese pioniera dei viaggi di esplorazione, autrice di numerose cronache delle sue avventure e di romanzi, quando si inoltrò per la prima volta sull’altopiano di Sakkara alla scoperta di quel mondo misterioso ed ancora in gran parte sepolto sotto la sabbia.
Confessò successivamente l’esploratrice che ci volle ben poco perchè l’eccitazione della scoperta avesse la meglio sull’orrore provato per la profanazione delle tombe di coloro che erano stati pietosamente sepolti lì nei millenni precedenti, tanto che insieme ai suoi compagni di avventura iniziò a frugare senza remore ogni anfratto, dichiarando di comprendere in pieno questa “insensibilità universale così contagiosa” e la “passione per la caccia alle reliquie così travolgente” che coglie la maggior parte dei viaggiatori portandoli a dimenticare ogni scrupolo e a far di tutto per impossessarsi delle “spoglie dei morti”.

Fu proprio la presa di coscienza dell’atteggiamento ottusamente predatorio ed irriverente di molti suoi contemporanei, spesso privi della preparazione necessaria per condurre uno scavo e interessati solo ai guadagni che potevano derivare loro dalla vendita dei reperti, che indusse Amelia a finanziare scavi di tasca propria e ad impegnarsi attivamente a favore della conservazione dei monumenti egizi, contribuendo a fondare nel 1882 l’Egypt Exploration Fund (diventato poi Egypt Exploration Society) insieme a Reginald Stuart.
Per essere all’altezza del compito ella studiò da sola i geroglifici e divenne un’egittologa esperta al punto da pubblicare articoli sulle maggiori riviste accademiche; oggi il suo busto in marmo fa bella mostra di sé al Petrie Museum di Londra, anche se, purtroppo, i posteri non le hanno tributato tutta la dovuta ammirazione.

Sono passati decenni dall’età d’oro dell’egittologia, e Sakkara continua a restituire sarcofagi e mummie a ritmo incessante (d’altra parte si tratta di una necropoli rimasta in uso per tremila anni), mantenendo sempre un fascino indiscutibile anche se ben diverse sono le sensazioni che offre al visitatore moderno.

Oggi non è più un cimitero devastato, ed anche se nei luoghi meno frequentati si trovano ancora molti cocci di terracotta resti di antiche depredazioni, gli accurati restauri delle mastabe e dei complessi piramidali hanno ripristinato l’ordine restituendo al sito la sua dignità.
Sebbene le più significative vestigia dell’antico Egitto abbiano carattere funerario e religioso e le solenni costruzioni di Sakkara furono edificate come tombe per il Faraone e la sua corte, non hanno nulla di lugubre e dopo che i miseri resti umani lasciati in loco dai tombaroli hanno ricevuto (si spera) adeguata inumazione altrove, sono tornate ad essere quello per cui gli antichi Egizi le avevano concepite: non l’ultima dimora per un corpo destinato a finire in polvere, quanto un luogo di rigenerazione dove il defunto, rappresentato eternamente giovane e prestante, sarebbe rinato ad una nuova vita nella quale avrebbe continuato a svolgere le attività che più gli piacevano insieme alla sua famiglia ed ai suoi servi.

Nel prossimo post comincerò insieme a voi la visita del sito. Preparatevi ad una bella scarpinata!
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