Necropoli tebane

TT257 – TOMBA DI NEFERHOTEP

USURPATA DA MAHU

Planimetria schematica della tomba TT257 (numerazione in nero)[1] [2]

Epoca:                                   XVIII Dinastia

Titolare

TitolareTitoloNecropoli[3]Dinastia/PeriodoNote[4]
Neferhotep (usurpata da Mahu)Neferhotep: Scriba contabile del grano di Amon; Mahu: Delegato nella dimora di Usermaat-Ra-Setpenra (ovvero il Ramesseum) nei possedimenti di Amon.El-Khokha

Neferhotep: XVIII dinastia  (da Thutmosi IV ad Amenhotep III); Mahu: XIX dinastia  (Ramses II)

 

Biografia

Uniche notizie biografiche ricavabili sono relative a Mahu il cui padre, forse, si chiamava Piay, mentre la moglie era Tawert[5].

La tomba

TT257 presenta forma irregolare con una sala rettangolare, non ultimata, in cui si innalzavano due colonne che, senza soluzione di continuità, si prolunga in analoga struttura appartenente alla TT256 talché la sala stessa appare molto più larga di quanto in realtà sia[6]. Data la forma irregolare non si esclude che intenzione fosse quella di ampliare la struttura a discapito della adiacente tomba TT256 da cui, attualmente, peraltro si accede.

Sulle pareti (1 nero in planimetria[7]) su tre registri sovrapposti, Mahu in offertorio ad alcune divinità; Horus-Inmutef e Thot in colloquio con Osiride accompagnato da da Horus, Shu, Tefnut, Geb e Nut, Ptah-Sokaris e Hathor; scene della processione funeraria verso la piramide con la mummia nel sarcofago trainato da buoi (?). Sulla parete laterale (2) una stele incompiuta con il defunto e la moglie in adorazione della Dea dell’Occidente (Mertseger), resti di testi sacri; ai lati Mahu in offertorio e la moglie in adorazione di Hathor; poco oltre (3) il defunto Mahu.

Sulla parete a destra dell’ingresso, su tre registri, (4) Mahu adora i quattro Figli di Horus; Mahu adora Osiride e Iside; Mahu e la moglie adorano Osiride, Anubi e Thot, rappresentato come babbuino, e la barca di Ra-Horakhti. Poco oltre (5) stele con il testo originale intitolato a Neferhotep; ai lati Mahu e la moglie.

Poco oltre (6), su un pilastro, Mahu in adorazione con testi dedicati a Osiride; seguono (7) Mahu e la moglie in adorazione di Osiride e Iside (?); in tre registri (9) Mahu e la moglie dinanzi ad una divinità non identificabile; Mahu e altri (?) dinanzi a Osiride Iside e Nephtys. Su altra parete (8) in cinque scene, preti dinanzi alla statua del defunto e, su tre registri, Mahu e la moglie adorano Thot e Hathor, e un prete dinanzi a Piay (forse padre di Mahu) e alla di lui moglie. Un corridoio, sulla cui architrave sono visibili ancora testi forse della XVIII dinastia (10) immette in una sala perpendicolare alla precedente, il cui soffitto reca frammenti testuali della XVIII dinastia[8].

Fonti

  1. Gardiner e Weigall 1913
  2. Donadoni 1999,  p. 115.
  3. Porter e Moss 1927,  p. 341.

[1]      La prima numerazione delle tombe, dalla n.ro 1 alla 253, risale al 1913 con l’edizione del “Topographical Catalogue of the Private Tombs of Thebes” di Alan Gardiner e Arthur Weigall. Le tombe erano numerate in ordine di scoperta e non geografico; ugualmente in ordine cronologico di scoperta sono le tombe dalla 253 in poi.

[2]      Nella sua epoca di utilizzo, l’area era nota come “Quella di fronte al suo Signore” (con riferimento alla riva orientale, dove si trovavano le strutture dei Palazzi di residenza dei re e i templi dei principali dei) o, più semplicemente, “Occidente di Tebe”.

[3]      le Tombe dei Nobili, benché raggruppate in un’unica area, sono di fatto distribuite su più necropoli distinte.

[4]      Le note, sovente di inquadramento topografico della tomba, sono tratte dal “Topographical Catalogue” di Gardiner e Weigall, ed. 1913 e fanno perciò riferimento alla situazione del’epoca.

[5]      Porter e Moss 1927,  p. 341.

[6]      Considerato lo stretto legame architettonico tra le tombe, le numerazioni in planimetria sono state riporta in differente colore: rosso per la TT256; nero per la TT257.

[7]      La numerazione dei locali e delle pareti (in nero) segue quella di Porter e Moss 1927, p. 334.

[8]      Porter e Moss 1927,  pp. 341-342.

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