Autentici falsi

LE “MUMMIETTE” DEL VATICANO

Due piccole mummie della collezione egizia dei Musei Vaticani hanno incuriosito gli studiosi per decenni. Spesso chiamate “pseudo-mummie” per il loro aspetto insolito, si riteneva che fossero antiche e che contenessero i resti di bambini piccoli o di animali. Alessia Amenta, curatrice e direttrice del Vatican Mummy Project, condivide recenti analisi scientifiche che rivelano una nuova interpretazione di questi curiosi oggetti.

I ricercatori dei Musei Vaticani a Roma stavano studiando le nove presunte mummie dell’antico Egitto a corpo intero della collezione, quando hanno scoperto che due delle mummie non sono affatto antiche ma dei falsi probabilmente creati nel 1800. Ciò potrebbe essere piuttosto imbarazzante, se i manufatti egiziani fraudolenti non fossero relativamente comuni e spesso difficili da individuare.

Le due mummie in questione sono piccole – entrambe lunghe meno di mezzo metro, e una volta si credeva contenessero resti di bambini o forse di falchi. Ma una serie di esami che utilizzano tecnologie avanzate tra cui raggi X, scansioni TAC 3D, scansioni TC, test del DNA e datazione al carbonio hanno dimostrato che le ossa all’ interno degli involucri appartengono a un uomo e una donna e risalgono effettivamente al Medioevo. Un’altra storia dimostra che si tratta di falsi: gli scienziati hanno scoperto anche un “chiodo moderno” tra le ossa, riferisce il Catholic News Service .

I risultati dei test sulle due mummie o “ mummiette ”, come le chiama il dottor Amenta, esaminate nel corso del 2014, sono stati resi pubblici il ​​22 gennaio dal professor Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, e dai dott. Amenta, Santamaria e Morresi, nel corso di un coinvolgente convegno dal titolo “Un caso di mummia-mania: l’indagine scientifica [scienza forense] risolve un enigma”. La provenienza di entrambe queste ” mummiette ” lunghe circa 60 cm , che furono probabilmente donate alla fine del XIX secolo da un collezionista privato, non è stata finora trovata nei registri del Museo. Fino a un anno fa, a causa delle dimensioni e del peso ridotto, si credeva fossero mummie di bambini o animali, forse falchi. “Potrebbero anche essere state le cosiddette ‘pseudo-mummie’, cioè un fascio di bende e altri materiali, a volte anche poche ossa”, mi ha spiegato Amenta, “che venivano usate nell’antichità per sostituire un corpo mancante o incompleto di una persona cara morta. Per gli antichi egizi la trasfigurazione e la “divinizzazione” dei defunti era essenziale. Doveva essere designata una forma fisica per poter mandare il defunto “in un’altra dimensione” dopo la morte”. Invece tutti i dati scientifici hanno rivelato che queste “ mummiette ” sono dei falsi ottocenteschi.

La datazione al radiocarbonio ha confermato che le loro bende erano effettivamente antiche, risalenti al c. 2000 a.C., ma trattate con una resina che si trova solo in Europa. Inoltre, la datazione al radiocarbonio di una delle ossa che fuoriescono dalle bende di una delle “mummiette ” ha confermato che essa risaliva al Medioevo.

Nico Pollone

Bibliografia

https://insidethevatican.com/…/the-vatican-mummy…

https://djedmedu.wordpress.com/…/due-false-mummie-ai…

https://www.getty.edu/visit/cal/events/ev_1306.html

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LA STATUETTA DI HATHOR

Statuetta di Hathor in forma di vacca, Barnes Foundation, Philadelphia, inv. A68, vetro blu

Albert C. Barnes fu un collezionista americano che fondò nel 1922 la Barnes foundation a Philadelphia, un museo che ospita 4000 opere, tra cui molti dipinti impressionisti e non solo. Grande esperto di arte moderna e contemporanea, Barnes tuttavia non lo era altrettanto nell’arte antica e acquistò molti pezzi che solo recentemente si sta scoprendo essere falsi.

È il caso di questa Hathor in forma di vacca sacra in vetro blu (A68) con un disco solare tra le corna e una figura umana che succhia il latte. Rappresentazioni simili sono abbastanza frequenti nell’Antico Egitto e la figura umana di solito rappresenta un faraone.

La statuetta fu acquistata da Barnes a Parigi nel 1923 presso il commerciante Georges Manolakos.

Era etichettata come “vacca sacra”, datata al 2000 a. C. e fu acquistata per 3.000 franchi, una cifra importante per l’epoca. Manokolas non fornì informazioni sulla provenienza.

Il curatore Carl Walsh ha studiato a fondo la statuetta deducendo che si tratti di un falso.

Innanzitutto, il materiale (vetro) è molto insolito: statuette simili furono realizzate in faïence o pietra, ma non in vetro, nel corso dell’intera storia egizia. Il vetro era una tecnologia relativamente recente, utilizzata a partire dal Nuovo Regno (1550-1069 a.C) per produrre piccoli oggetti di lusso.

La statuetta mostra inoltre tecniche di lavorazione moderne. Si nota che è stata realizzata da uno stampo composto da due metà (tecnica mai riscontrata nell’Antico Egitto) e che il vetro è stato sottoposto ad un raffreddamento repentino (anche questa tecnica mai utilizzata).

La riga obliqua che si nota a partire dalle zampe verso il dorso, è il segno del doppio stampo

La fattura dell’oggetto devia dai canoni dell’arte egizia: la vacca è piuttosto tozza e non presenta le proporzioni corrette, né gli occhi stilizzati, né le corna sottili e curve che si riscontrano nelle rappresentazioni di Hathor. La figura del sovrano è abbozzata e non presenta i simboli regali.

Inoltre, rappresentazioni di Hathor che allatta il sovrano sono molto rare e non esistono statuette del genere, il che è comprensibile dato che si trattava di immagini regali che erano custodite in luoghi sacri all’interno dei templi.

Afferma Carl Walsh :

Nonostante sia stata riconosciuta come falsa, la statuetta resta in esposizione e le motivazioni per questa scelta sono, a mio parere, interessanti e meritano di essere condivise perché offrono spunti di riflessione:

https://www.barnesfoundation.org/…/research-notes…

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IL BUSTO DI NESHOR A TORINO

Foto: Museo Egizio di Torino

Premessa:

Qui siamo di fronte a un “finto” falso. Qui si tratta di un oggetto non falsificato per trarne profitto, ma integrato nelle sue parti mancanti per illustrate le sue complete caratteristiche. E’ una prassi usata nell’archeologia (vedi ad es. la ricostruzione dei vasi), che di volta in volta è accettata, con qualche osservazione, dagli studiosi.

Al museo Egizio di Torino vi è una statua frammentaria (Suppl. 19482) di un famoso funzionario detto Neshor, di nome Psamtek-Menekhib, risalente alla XXVI dinastia. Nel suo carattere di reperto, così come nei suoi dettagli, la statua è un esempio calzante delle tendenze artistiche del periodo. Originariamente si pensava fosse scolpita in basalto, materiale prediletto per la scultura del Tardo Periodo, un’ispezione più accurata rivela che si tratta di granodiorite, tipica delle sculture del tardo periodo, Il busto è modellato con grande attenzione a certi dettagli anatomici.

Le sue dimensioni, allo stato attuale, sono: statua intera: h 42 cm, l 32 cm, p 20,5 cm (26 cm compreso il volto moderno);
Frammento sinistro: h 42 cm; l 19 cm; p 20,5 cm;
Frammento destro: h 23,5 cm; l 13 cm; p 17 cm;
Pilastro posteriore, metà destra: h 26,5 cm; l 10 cm; p 3 cm
Pilastro posteriore, metà sinistra: h 13 cm; l 9 cm; p 3 cm;
Larghezza delle colonne geroglifiche: 3 cm;
Volto: h 25,5 cm; l 15 cm; p (al naso) 5,5 cm;
Orecchie: h 6,5 cm; l 4 cm.

I testi

L’iscrizione geroglifica conservata sul pilastro posteriore è disposta in sei colonne verticali sul retro e una colonna sul lato sinistro e una sul lato destro. Tutte e otto le colonne sono incomplete e la giunzione tra la terza e la quarta colonna della della terza e della quarta colonna del pilastro posteriore è stata danneggiata dalla scissione della statua in due frammenti. Alcune parole e brani presentano tuttora difficoltà di traduzione e problemi epigrafici.

L’aspetto filologico si affronterà se gli esperti del gruppo riterranno opportuno esaminarlo.

Le vicissitudini:

Dogana italiana e arrivo a Torino. La decisione di presentare la scultura alle autorità di frontiera è stata presa per legittimare la sua esportazione. Quando il proprietario ha portato la statua all’Ufficio Italiano dei Beni Culturali, la statua è stata identificata come un’antichità significativa che necessitava però di un esame da parte di un egittologo esperto.

Poiché gli uffici doganali veneziani non disponevano di uno specialista in antichità egiziane nel loro personale, contattarono Anna Maria Roveri Donadoni, al momento direttrice del Museo Egizio di Torino, chiedendo la sua competenza. Fu lei a riconoscere per prima l’importanza della scultura e decise di acquisirla al museo, approfittando della prerogativa di acquisto concessa dal governo italiano. Venne dato incarico a Elisa Fiore Marochetti di recuperare la statua di Neshor dagli uffici doganali veneziani. È così che il busto entrò nella collezione del Museo Egizio. Tuttavia, non fu esposto nelle gallerie, ma rimase nei magazzini del museo. È stato riscoperto in una cassa di legno sigillata, da Matteo Lombardi nel 2010, durante una sessione di inventario. La cassa in cui era conservata non riportava alcun riferimento, la scultura è stata registrata e le è stato attribuito il numero d’inventario, S. 19482. Nel 2011, tutti i dati disponibili per la scultura sono stati da Elisa Fiore Marochetti riuniti in un documento di tre pagine che analizza come l’opera sia arrivata al museo e fornisce alcune informazioni generali, come provenienza geografica, una breve descrizione, la datazione e lo stato di conservazione, A questa sezione, viene aggiunta una nota specifica: “Due frammenti longitudinali frammenti longitudinali uniti da stuccature moderne. La faccia

Il volto potrebbe essere stato scolpito riutilizzando la parte del busto, che in origine era composto da tre frammenti. Nessun esame geologico di queste informazioni è stato finora effettuato dal Museo Egizio per verificare questa ipotesi. Anche se le dimensioni del terzo frammento ora mancante, fossero state sufficienti a scolpire il volto moderno, questa teoria rimarrebbe comunque discutibile. Il restauro sarebbe stato riconoscibile come tale anche dai non specialisti. L’aggiunta del del nuovo volto difficilmente avrebbe compensato la perdita del terzo frammento che recava una parte dell’iscrizione geroglifica.

Conclusione

Questo post oltre dare informazione, ha inoltre sollevato la questione del restauro delle antichità per motivi estetici, anche a costo di diminuire il valore scientifico di un oggetto. Se la conclusione è corretta, il restauro è avvenuto mentre la scultura si trovava presso i proprietari del del negozio del Cairo. Queste modifiche riflettono il mutato atteggiamento dei commercianti di antichità verso gli oggetti antiquariato nei confronti degli oggetti durante gli anni Settanta.

Il rapporto tra i commercianti e gli oggetti fu trasformato in modo decisivo quando i potenziali clienti non erano più prestigiosi collezionisti privati o istituzioni, desiderose di raccogliere antichità autentiche e significative, ma acquirenti moderni di antichità, portati a questo collezionismo, dal recente sviluppo del turismo.

Nico Pollone

Bibliografia:

  • ‘Protecting the Temple of God’. On the Self-Presentation of Neshor His Mendes Statue – Hussein Bassir
  • Banebdjed: seigneur de Mendès Corpus – Leslie Hyacinthe
  • The Long Journey of Neshor from Cairo to Turin – Maxence Garde, Matteo Lombardi
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IL RILIEVO DEL BROOKLYN MUSEUM

Il falso rilievo
Limestone Slab with Sunk Relief – Egyptian Dynasty XI style – modern. Limestone Brooklyn Museum, Charles Edwin Wilbour Fund, 67.222. Creative Commons-BY (Photo: Brooklyn Museum, CUR.67.222_NegA_print_bw.jpg)

I grandi musei sono spesso vittime di truffe, in alcuni casi ripetute ed eclatanti.

È questo il caso del Brooklyn Museum, prestigioso museo newyorkese, tra i più grandi degli Stati Uniti, che vanta ben 500.000 visitatori all’anno e che conta 2.000 reperti egizi.

Il Brooklyn Museum era considerato uno dei musei con la più grande collezione di arte copta al mondo, finché non furono sollevati alcuni dubbi sull’autenticità di alcuni reperti. Oggi si stima che almeno un terzo della collezione sia falsa.

Anziché cercare di limitare il caso, il museo optò per una scelta inusuale nel 2009, organizzando una mostra dal titolo “Unearthing the Truth: Egypt’s Pagan and Coptic Sculpture” in cui esponeva i falsi, quasi tutti provenienti dalla collezione donata da Michael Friedsam.

Il pezzo che vi mostro oggi appartiene sempre al Brooklyn Museum ma proviene da un’altra collezione, la Charles Edwin Wilbour Fund, donata al museo da uno dei figli di Charles Edwin Wilbour, giornalista ed “egittologo” (anche se non seguì degli studi specifici) statunitense di grande notorietà ed importanza.

È un rilievo in calcare nello stile della dinastia XI e rappresenta due ritratti di uno o due faraoni. Il rilievo si trova nell’archivio online del Museo, ma non in esposizione, e reca il numero d’inventario 67.222.

In casi come questo, è l’analisi stilistica che consente di determinare se un’opera sia falsa.

In questo rilievo, la testa a destra è stata modellata sulla testa autentica di Amenhotep I, della XVIII dinastia, conservata al Museum of Fine Arts, Boston, J. H. and E. A. Payne Fund, inv. 64.1470 (vedere foto del post) che si basa su millenni di convenzioni e si distingue per la sobrietà e semplicità dell’esecuzione.

Il rilievo autentico
AMEMHOTEP I, , XVlll Dinastia, calcare, 6.3 x 9.4 in.
Museum of Fine Arts, Boston,
J. H. and E. A. Payne Fund, 64.1470

Le differenze piuttosto marcate che si notano sono:

  • l’originale è in rilievo, mentre il falso è inciso.
  • Entrambi i volti del falso presentano un sorriso piuttosto inebetito, molto diverso dal sorriso distaccato e sereno dell’originale.
  • L’originale presenta un intaglio sottile e raffinato, con il leggero rigonfiamento sotto l’occhio e intorno alla bocca, che risultano assenti nel falso.

Benché il rilievo del Brooklyn Museum risulti elegante, ad un’analisi più accurata e confrontandolo con il rilievo di Boston si riesce a percepire la differenza sostanziale tra i due.

Patrizia Burlini

Fonti e approfondimenti

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LA STATUA DI «SÉSOSTRIS III»

DELLA COLLEZIONE FRANÇOIS PINAULT

Lo studio della statuaria reale del Medio Regno, la cui epoca d’oro fu collocata durante i regni del re SESOSTRIS III e di suo figlio AMENEMHAT III (intorno al 1900-1800 a.C.), rivela capolavori di scultura molto complessa e difficile da imitare.

La statuaria di questo periodo ispira tuttavia largamente i falsari. È tuttavia necessario distinguere tra copie di oggetti realizzate per i turisti e quelle con pretese antiche, destinate a ingannare personaggi in cerca di buoni reperti, talvolta venduti a prezzi elevati a ricchi collezionisti o musei pubblici e non, in cerca di oggetti attraente per la loro collezione.

La storia dei falsi oggetti antichi egizi mostra che mercanti d’arte senza scrupoli collaborano con alcuni egittologi istituzionali senza scrupoli, legittimando, attraverso le loro parole e i loro scritti, queste fucine. Quale argomento migliore infatti, per rassicurare un acquirente, che mostrargli “un certificato di garanzia” firmato da un egittologo addetto ad un grande museo pubblico o ad un’università statale!

E’ però buona norma analizzare qualsiasi oggetto proveniente dal mercato dell’arte. Il confronto con oggetti provenienti da scavi ufficiali, l’analisi stilistica e lo studio dei materiali effettuato in modo professionale lasciano normalmente poche possibilità di falsificazioni. Attenzione in più si deve prestare per gli oggetti non provenienti da scavi ufficiali e certificati .

Nel 1998 una statua intitolata al re Sesostri III, apparve sul mercato parigino. Prima della vendita, Madame Elisabeth Delange, curatrice del Museo del Louvre, ha consegnato una valutazione favorevole di questo pezzo a F. Pinault interessata al suo acquisto. L’oggetto è stato acquistato all’asta il 10 novembre 1998 per una somma di cinque milioni di franchi.

Allertato dopo la vendita da un articolo di Vincent Noce su Libération, che riporta l’opinione del professore tedesco Dietrich Wildung che ritiene questa statua sospetta, Pinault , si rifiuta di onorare il suo acquisto, innescando quello che viene comunemente chiamato “l’affare Sesostris III”.

Una perizia effettuata dalla sig.ra Christiane Desroches-Noblecourt e dalla sig.ra Elisabeth Delange nel marzo 2000 ha concluso che la scultura del faraone seduto a nome di SESOSTRIS III, oggi di proprietà della sig.ra Pinault con queste parole: “Poiché questa statua si differenzia dalle altre effigi conosciute, viene avanzata una nuova teoria, ovvero che la statua sia stata realizzata post mortem, alla fine della XII o all’inizio della XIII dinastia”.

La statua, dopo una seconda perizia effettuata nel febbraio 2002, viene ritenuta un falso. Un’analisi di laboratorio confermerà successivamente questa seconda opinione nel luglio 2002.

Da qui ha inizio la questione giudiziaria. Per più di 20 anni questa statua è stata oggetto di prese di posizioni di diversi studiosi. La statua è passata dalla Svizzera, poi in Germania e negli Stati Uniti prima di trovare un acquirente in Francia nel 1998. Negli Stati Uniti sembra che solo Madame Edna Russmann del Brooklyn Museum credesse nella sua autenticità, In Germania ci credeva il professor Hans Wolfgang Müller del Museo di Berlino, in Belgio, Claude Vandersleyen, che all’inizio del 2002, si espresse a favore dell’autenticità della statua senza altro argomento se non la sua profonda convinzione.

Non mi dilungo nella questione giudiziaria trattata molto compiutamente in un articolo del LeParisien, di cui al link:

https://www.leparisien.fr/…/francois-pinault-et-la…

Crediti fotografici e informazioni da: Grepal

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SULLE TRACCE DI FLINDERS PETRIE

Testa di Akhenaton o Nefertiti – XVIII DINASTIA
Gesso, h 12 cm
MET New York – On view at The Met Fifth Avenue in Gallery 122
Nr. Inventario 21.9.19

Nel 1891 l’eccentrico archeologo William Matthew Flinders Petrie, considerato il padre dell’ archeologia moderna, cominciò a scavare ad Amarna . Fu raggiunto a gennaio del 1892 da un giovane disegnatore diciassettenne molto dotato, un ragazzo raccomandato dal Barone William Amherst, appassionato collezionista di antichità egizie e

sostenitore dell’Egypt Exploration Fund, associazione filantropica fondata nel 1882 da Amelia Edwars. Questo ragazzo diventerà in seguito il più famoso archeologo di tutti i tempi: Howard Carter.

La campagna di scavi di Petrie ad Amarna ebbe luogo nel 1891 e 1892.

Petrie era un archeologo estremamente meticoloso che registrava minuziosamente sui suoi giornali di scavo tutte le sue scoperte e gli avvenimenti della giornata.

La campagna di scavi si rivelò ricca e fruttuosa e nel 1921, Sotheby’s organizzò a Londra un’asta, la cosiddetta “Amherst sale“.

Il Metropolitan Museum di New York acquistò all’asta, tra gli altri oggetti,la piccola scultura di cui vi voglio parlare oggi.

La piccola testa in gesso, raffigurante, secondo il museo Akhenaton o Nefertiti, ha uno stile che lascia perplessi: la forma degli occhi tonda, anziché allungata, il piccolo naso alla francese, decisamente inusuale, l’esecuzione piuttosto scadente e incerta per una testa regale, a mio parere molto distante dalle maestria esecutiva delle sculture a noi pervenute. Che si tratti di una testa regale è indubbio: sulla fronte è presente infatti la fascia d’oro che veniva posta sotto la corona.

Secondo il MET la testa, h. solo 12 cm, fu acquistata nel 1921 all’asta della collezione Amherst, proveniente dagli scavi di Petrie ad Amarna nel 1891-1892 e acquisita da Amherst e Petrie nella suddivisione dei ritrovamenti, secondo le regole dell’epoca.

I documenti dell’asta riportano la voce seguente che sembrerebbe corrispondere alla testa del MET:

A fianco del numero del lotto è riportato con scritta a mano il nome « Mace ».

Il documento dell’asta con la descrizione del lotto 855

Arthur Cruttenden Mace fu curatore al MET fino al 1922, quando raggiunse Carter nella Valle dei Re per lo scavo della tomba di Tut.

É indubbio, quindi, che la testa fu acquistata a quell’asta da Mace.

I documenti dell’asta , e così pure il sito del museo, indicano che la scultura fu trovata da Petrie nei « laboratori degli scultori in città ».

Nel « Petrie Journal 1891 to 1892 » tuttavia, non si trova una descrizione che corrisponda a questa testa.

Nel giornale degli scavi Petrie parla di un calco del volto di Akhenaton da morto(il CG 753 conservato al Cairo), di un bassorilievo a dimensione naturale della testa di Akhenaton e di un ritratto di Nefertiti.

Non ci sono accenni alla scoperta di un laboratorio di scultori né a questa testa in gesso.

È probabile che Petrie individuò e cominciò a scavare l’area del laboratorio di Tuthmose senza rendersene conto. La provenienza indicata da Sotheby’s nel catalogo d’asta “dai laboratori degli scultori in città” non può quindi derivare da Petrie.

Conclusioni:

La letteratura sulla testa del MET è scarsa. Essa rappresenta certamente una figura regale non identificata. I lineamenti farebbero pensare ad una figura femminile piuttosto che ad Akhenaton, ma sono lontani dai ritratti di Nefertiti.

La testa fu sicuramente acquistata da Mace, curatore del MET, in un’asta di Sotheby’s a Londra nel 1921.

L’effettiva provenienza dagli scavi di Petrie nella campagna di Amarna del 1891-1892 non sembrerebbe documentata, dato che Petrie non ne fa cenno nel giornale degli scavi.

La testa presenta delle incertezze stilistiche anomale.

Sembrerebbe da escludere la mano di scultori dell’entourage regale come Tuthmose. Se originale, si potrebbe pensare alla prova non particolarmente riuscita di un allievo inesperto.

In attesa e sperando di scoprirne di più, ritengo che questa testa sia da inserire nella lista dei reperti “dubbi”.

Patrizia Burlini

Fonti:

Crediti foto:

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LA “STATUA DI TETISHERI”

British Museum, numero BM EA22558, numero di registrazione 1890,0412.5
36 cm di altezza, 13,5 cm di larghezza, 24,5 cm di profondità.

Tetisheri, il personaggio

La regina Tetisheri fu la madre di Seqenenra Ta’o (sovrano della XVII dinastia dal 1558 al 1555/4 a.C. circa) soprannominato “Il Valoroso”. Seqenenra fu il protagonista di una grande impresa militare contro il popolo Hyksos che, stanziandosi prima sulle terre d’Egitto come pastori, ne avevano poi preso il potere. Fu proprio Seqenenra che iniziò la campagna militare per la cacciata degli invasori partecipando alla missione in prima persona e lasciando la madre Tetisheri a mantenere l’ordine all’interno della corte tebana. Il ruolo assunto dalla regina fece si che Tetisheri divenne il prototipo delle sovrane egizie dell’epoca: donne forti e carismatiche, con ruoli chiave nel mantenimento della gerarchia di potere all’interno del Paese. Il ruolo guida di Tetisheri divenne ancora più importante dopo la morte del figlio, quando il trono passò a Kamose, probabilmente fratello del sovrano deceduto in battaglia. Considerata ispiratrice dello spirito di liberazione che ha distinto i suoi figli, nonché suo nipote Ahmose I, fu venerata dalle generazioni future proprio per il ruolo che ebbe nella storia dell’antico Egitto. Tetisheri fu anche la prima regina egizia ad essere rappresentata con il copricapo ad avvoltoio, ornamento che ben presto divenne la tipica corona indossata dalle regine e spesso anche dalle dee.

Da Tiziana Giuliani La Repubblica 11 Ottobre 2018

LA SCOPERTA DELLA STATUA

Una prima considerazione è che le statue in questione sono due.

Si ritiene che le due statue di Tetisheri siano state “trovate”, definizione alquanto superficiale ma non si ha conoscenza di dettagli circa la scoperta di queste due statue poiché non sono state rinvenute in uno scavo archeologico correttamente condotto, ma invece semplicemente “sono apparse” sul mercato delle antichità. Come notizia certa si cita Dra’ Abu el-Naga’, ma provenienza esatta sconosciuta.” Venduto da Mohammed Mohassib a EA Wallis Budge del British Museum nel 1890

Una delle statue era frammentaria e consisteva in poco più del trono su cui sedeva la Regina. Questo frammento è ormai perduto, ma una copia fotografica dell’iscrizione è stata fatta ed è conservata fino ad oggi. La seconda di queste statue è quella del British Museum.

La statua del British Museum è stata identificata come un falso da W.V. Davies, sulla base dell’imitazione della sua iscrizione dalla stessa porzione inferiore frammentaria di una statua simile della regina presenta al Museo del Cairo (ora perduta) . Tuttavia, alcuni mettono in dubbio questa attribuzione e hanno sollevato dubbi sulla potenziale autenticità della statuetta stessa, non dell’iscrizione.

Si cercherà qui di analizzare le motivazioni che portarono Davies a considerare un falso questa opera e i punti citati per sostenere questa tesi.

Analisi

Circostanze che suggeriscono che l’intero pezzo è un falso:

  • Sono state trovate tracce di vernice rossa e blu non compatibili come pigmenti.
  • Altresì è stato rilevato solfato di bario (barite), largamente utilizzato dagli artisti in epoca moderna, ma non utilizzato dagli antichi Egizi.
  • Alcune peculiarità della parrucca, decisamente insolita, che non ha un parallelo preciso. Il particolare in oggetto sono gli spazi liberi dell’acconciata che sembra appoggiata sulla testa (vedi foto). Non ci sono rappresentazioni simili e anche per questo si avvalorano ulteriori dubbi sull’autenticità della statua.

Quando tutti questi fattori della statua vengono considerati, diventa difficile non concludere che sia l’opera di un falsario moderno, realizzata a Luxor probabilmente poco prima del 1890.

Le iscrizioni sui due troni, identiche nel contenuto, sono molto diverse per qualità ed esecuzione. Mentre i testi del pezzo del Cairo sono stati chiaramente incisi da una mano esperta e sicura, quelli della statua del British Museum contengono numerosi errori elementari e omissioni che possono essere spiegate solo come errori di qualcuno che non ha dimestichezza con l’antico linguaggio egizio con l’incisione di testi geroglifici.

Le iscrizioni sulla statua del Cairo (in alto) e quella del British Museum (in basso). A destra i testi con gli errori evidenziati.

I segni sono di qualità pessima, direi grezzi. Certe parole sono incomplete, o sono formate da segni non corretti. È significativo che le sezioni di testo in cui si verificano queste anomalie corrispondono esattamente alle aree della statua del Cairo in cui i testi sono danneggiati o poco chiari. Non c’è dubbio che i testi della statua del British Museum siano stati copiati pari-pari da quelli della statua del Cairo.

Le parole che mostrano errore sono evidenziate nella trascrizione del testo: “madre” a sinistra in alto, e “troni” a destra in basso. La parola sovrano nel lato b, manca di due segni: X1 e N35. I segni W11 che formano la parola Troni non sono uguali uno all’altro e male incisi. Notare che la parola “sovrano” sul lato A è scritta correttamente (o quasi se si considera il segno t inciso al contrario) Sul lato b è incompleta …illogico !

Il testo completo di entrambe le statue.

Sulla statua persa, l’iscrizione sul trono della Regina è danneggiata negli angoli inferiore sinistro e destro. Se si guarda la foto, si vedrà che anche la statua del British Museum è danneggiata nello stesso posto . Ma sulla statua del museo britannico, il danno non è causato da una corrosione nella pietra come nella foto del Cairo, sembrano invece causate da scalpellatura.

Per quanto riguarda l’iscrizione, il dottor Davies ha ritenuto che la falsificazione sia molto più che probabile, una conclusione con la quale il sottoscritto concorda. Purtroppo, credo che l’intera statua sia un falso, anche se qualche voce discordante c’è, come quella di John Taylor curatore del British Museum. La tesi contro l’autenticità della statua di Tetisheri è riportata nella seguente pubblicazione: W V Davies, The Statuette of Queen Tetisheri. A reconsideration, British Museum Occasional Paper 36 (Londra 1984).

Foto & fonti credit:

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LA “PRINCIPESSA DI AMARNA” DEL BOLTON MUSEUM

La bellissima « Principessa di Amarna » del Bolton Museum. Foto di Marc Berry, Bolton Evening News 29/09/2003

L’incredibile storia della “Principessa di Amarna” del Bolton Museum.

Nel 2003, il Bolton Museum acquistò, per la somma di £ 440.000, uno splendido torso in luminosa calcite (alabastro), proveniente da Amarna.

La principessa di Amarna del Bolton Museum

Il proprietario del bellissimo pezzo era un anziano signore, tal George Greenhalgh, il quale l’aveva trovato in una collezione dimenticata del nonno, un appassionato di reperti egizi, che l’aveva acquistato ad un’asta pubblica nel 1892.

Il sig. Greenhalgh non conosceva il valore della statua ma, sapendo che era in famiglia da oltre un centinaio d’anni, aveva pensato di venderla per ricavarne, pensava, circa £ 500, o in alternativa, di usarla come statua da giardino.

Colpiti dalla statua, che presentava tutte le caratteristiche dello stile di Amarna, gli esperti del museo condussero le proprie analisi interne e, secondo una metodologia scientificamente accettata, chiesero il parere sia a Christie’s, che ne confermò l’autenticità, valutando la statuetta £ 500.000, sia al British Museum, che confermò a sua volta l’autenticità del pezzo.

La statuetta fu quindi acquistata ed esposta al pubblico nel 2003, in una famosa mostra intitolata “Saved!”, inaugurata addirittura dalla Regina Elisabetta II.

I curatori posero l’accento sull’unicità ed eccezionalità della statua e sui tratti in comune con due famosi torsi amarniani conservati al Louvre e al Penn Museum.

Le statue simili ma autentiche del Louvre, Penn Museum e Ashmolean Museum che fornirono l’ispirazione al falsario
Con il senno di poi, si vide che le proporzioni antiche non erano rispettate e che la torsione del busto non corrispondeva ai canoni dell’arte egizia di Amarna

Sennonché, secondo il famoso detto, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, e Shaun Greenhalgh, figlio di George Greenhalgh, nel 2006 finì con il padre sotto inchiesta da parte della Scotland Yard’s Arts and Antiquities Unit per aver cercato di vendere un rilievo assiro sospetto, proveniente sempre dalla collezione del nonno.

Il falsario, il falso rilievo assiro e la falsa principessa. Fu il rilievo assiro che mise gli inquirenti sulle tracce del falsario, a causa di alcuni errori sospetti

Si scoprì quindi che il bellissimo torso di Amarna era opera dello stesso Shaun il quale, nel corso della sua brillante carriera, era riuscito a produrre e vendere falsi da lui stesso creati (sembrerebbe almeno 120 pezzi) per circa 1 milione di sterline.

Su ammissione di Shaun, la principessa di Amarna era stata realizzata in tre mesi, con attrezzature per il fai da te e antichizzata grazie ad una mescolanza di té e creta, dopo essere stata sepolta in giardino per circa sei mesi.

Altro indice che si tratti di un falso: un busto posto sul torso di Parigi si adatta perfettamente, mentre sul falso no
Altra incongruenza: La parrucca non raggiunge il seno

Shaun fu quindi arrestato e condannato a 4 anni e 8 mesi di carcere. Furono arrestati e condannati anche i genitori che l’avevano aiutato nella truffa.

L’allegra famiglia condannata. Nonostante la fortuna accumulata, la famiglia continuava a vivere in una casa popolare

La statua, ritirata dall’esposizione nel 2006, fu di nuovo esposta nel museo nel 2011 in occasione di una mostra sui falsi e, dal 2018, in una sezione dedicata ai falsi.

Shaun Greenhalgh uscì dal carcere nel 2010 e nel 2019 ritornò a visitare il museo, esprimendo profondo rammarico per quanto commesso.

Shaun ammira la sua opera al museo di Bolton nel 2019

Le foto, tratte principalmente da un post di Ruth Thomas, che ringrazio, sono tutte accompagnate da didascalie con informazioni del curatore del museo, Ian Trumble, che spiegano il perché questo sia un bellissimo falso.

Cliccate sulle foto per le didascalie.

Patrizia Burlini

Fonti:

https://en.m.wikipedia.org/wiki/Amarna_Princess

https://getpocket.com/…/the-artist-the-conman-and-the…

http://news.bbc.co.uk/…/england/manchester/7090795.stm

https://www.theboltonnews.co.uk/…/1840810.antiques…

Ruth Thomas, Northamptonshire Ancient Egypt Historical Society, Facebook

https://www.facebook.com/share/p/FauFikyoYGqk8xJr/?mibextid=K35Xf

Autentici falsi

LA TESTA “AMARNIANA” DEL LOUVRE

Questa bellissima testa proveniente da Amarna, nonostante le sue piccole dimensioni, (h. 9 cm) è stata per almeno 80 anni una delle opere egizie più fotografate al museo del Louvre e le cartoline con la sua immagine sono state tra le più vendute nel bookshop. Ora purtroppo non è più in esposizione. Perché? Ecco la storia.

Nel 1923 il Louvre acquistò una bellissima testa proveniente probabilmente da Amarna. Non solo la squisita fattura, ma anche lo spendido colore blu del vetro, una delicata sfumatura color lavanda, attirarono subito l’attenzione di specialisti e visitatori .

La testa fu proposta al Louvre da un antiquario già conosciuto, Feuardent, che in precedenza aveva già venduto altre opere al museo, e entusiasmò a tal punto i responsabili del museo da convincerli a sborsare l’esorbitante cifra di 180.000 franchi.

Venne identificata come una principessa reale del regno di Amenhotep III o forse come Tutankhamon, la cui tomba era stata scoperta, per un’insolita coincidenza, solo alcuni mesi prima.

Le fu riservata una vetrina a sé stante davanti a cui si faceva la coda per ammirarla ma, nonostante l’enorme successo di quel bellissimo viso, qualcuno cominciò a dubitare che l’opera fosse autentica .

J.D. Cooney in “Journal of Glass Studies” II, 1960, pag. 25-26 fu tra i primi ad avanzare dei dubbi sulla sua autenticità.

Altri studiosi fecero notare alcune anomalie.

La prima era la parrucca: una parrucca del genere, con ciocche verticali così rigide, non si era mai vista prima.

Inoltre, la posizione della bocca, carnosa come molte statue della fine della XVIII Dinastia, ma atteggiata a becco di papera come in molti selfie moderni, era perlomeno inusuale .

Infine, il colore blu del viso, unico.

Solo nel 2001 il Louvre decise di far chiarezza, facendo esaminare la testa presso un prestigioso centro di ricerca e restauro francese.

L’analisi del vetro dimostrò in maniera inequivocabile che si trattava di un falso, in quanto la composizione era quella di un vetro moderno, essendo presenti alti livelli di piombo -quasi inesistenti nei vetri della xVIII Dinastia- e di arsenico -del tutto assenti nel vetro del periodo. Lo stesso color lavanda che tanto aveva affascinato il pubblico del museo era una testimonianza della sua non autenticità, non essendo ottenibile con l’ossido di rame e altre materie prime utilizzate dagli egizi.

La testa appare ancora nell’archivio digitale del Louvre, con il numero di inventario E11658, anche se viene definita moderna ed è stata ritirata dall’esposizione. (https://collections.louvre.fr/en/ark:/53355/cl010007850)

Per assurdo, ancora oggi una fonte prestigiosa come la Treccani, mette in dubbio, scusate il gioco di parole, i dubbi sull’autenticità dell’opera, facendo di questa splendida testa il primo e vero “autentico falso” della nostra rubrica 😃

Ecco cosa dice la Treccani (che farebbe meglio, forse, ad aggiornare la sua pagina) : https://www.treccani.it/…/tutankhamon_(Enciclopedia…/

Fonti:

Foto credit: Louvre