Di Andrea Petta e Franca Napoli
Introduzione
La chirurgia egizia è un affascinante rompicapo. Si pensa che la pratica chirurgica vera e propria potesse essere effettuata dai sacerdoti (“wab”) di Sekhmet ma si tratta di una speculazione finora non comprovata, e diversi altri vocaboli sono stati associati alla professione del chirurgo.
Nonostante i famosi rilievi di Kom Ombo, che mostrano quelli che sarebbero strumenti medici e chirurgici, non ci è pervenuto nessuno di tali strumenti (a differenza dei reperti greci dello stesso periodo), e – attenzione! – il tempio di Kom Ombo risale al periodo romano, quindi non rappresenta necessariamente strumenti utilizzati in epoca faraonica.


Eppure la capacità tecnica era sicuramente già stata sviluppata nel Nuovo Regno. Un oggetto considerato una pinzetta trovato nella tomba di Kha e Merit, ma la cui funzione non è mai stata realmente comprovata, ed un altro dello stesso periodo conservato al Maet Museum lo mostrano chiaramente.


Nei papiri egizi ci sono molti riferimenti a trattamenti da effettuare “con il coltello” e diversi vocaboli per indicarli, a far supporre l’utilizzo di strumenti differenti a seconda del caso. Si è ipotizzato che i chirurghi egizi usassero inizialmente lame di selce, facilmente ottenibili al momento e affilatissime, e che queste lame venissero buttate dopo l’uso – precursori dei bisturi monouso odierni.
Purtroppo, dall’altro lato, ci mancano evidenze paleopatologiche: le mummie finora esaminate non mostrano tracce di cicatrici chirurgiche; ma è estremamente difficile riscontrare anche quelle delle ferite riportate in battaglia, a meno che non abbiano coinvolto anche le ossa e siano quindi riscontrabili radiologicamente.
Come abbiamo visto, il testo più ampio in questo campo è il Papiro Edwin Smith, un vero e proprio libro di testo sui traumi che coinvolgono la parte superiore del corpo (vedi: https://laciviltaegizia.org/…/07/01/il-papiro-edwin-smith/). Anche il Papiro Ebers ha una parte dedicata alla chirurgia (863-877), con quelli che sono stati interpretati come trattamenti per una forma di tumore solido e di ernie ombelicali o epigastriche (Ebers 863-864), che sono state anche raffigurate in alcune decorazioni tombali della VI Dinastia.
Tra le indicazioni menzionate nei papiri medici ci sono i “gonfiori dei metu”, rotondi e rigidi sotto le tue dita” oppure “che formano dei nodi”, una patologia da trattare con una lama rovente per diminuire la perdita di sangue. L’emorragia è una preoccupazione costante (“non toccare mai questi gonfiori con la mano!” Ebers 872-873). Gli studiosi hanno individuato quindi questi “gonfiori” negli emangiomi, emangiomi cavernosi nel secondo caso. Vengono descritti anche dei lipomi, anch’essi da asportare chirurgicamente. Ricordiamoci però sempre che le traduzioni sono estremamente difficili per i termini tecnici; la mancanza di altri riscontri e la forte tentazione di “modernizzare” la medicina egizia sono sempre dietro l’angolo.
Curiosamente, non viene mai menzionata la sutura delle ferite dopo questi “interventi con la lama”; probabilmente era considerato superfluo raccomandarlo, perché la sutura delle lacerazioni è ben descritta del papiro Edwin Smith.
È interessante invece notare che questi antichi chirurghi, pur non potendo avere nessuna nozione di microbiologia e utilizzando solo l’osservazione empirica, tentavano in tutti i modi di evitare le infezioni. Le prescrizioni per le medicazioni dopo un intervento comprendono infatti:
- Il miele
- Un minerale chiamato imru, purtroppo ad oggi sconosciuto ma che si considera fosse un astringente (forse l’allume di rocca?)
- Il salice (una sorta di proto-aspirina per diminuire l’infiammazione)
- Soluzioni contenenti ammoniaca (ovviamente derivata dalle urine) oppure sali di rame (“polvere di pigmento verde”).
La medicina moderna ha scoperto che non solo il miele è un potente antibatterico naturale, efficace sia contro i batteri Gram-positivi che Gram-negativi grazie ad un enzima chiamato inibina, ma che favorisce anche la cicatrizzazione grazie alla sua ipertonicità e al suo basso pH.
Notevole infine il fatto che tutte le medicazioni usassero la fibra di lino per fasciare le ferite. Solo in tempi estremamente recenti è stato dimostrata l’efficacia della fibra di lino nel favorire la cicatrizzazione aumentando la capacità di replicazione delle cellule e permettendo una migliore riparazione del DNA cellulare.

2 pensieri su “CHIRURGIA EGIZIA”