Di Andrea Petta e Franca Napoli
FRATTURE
Abbiamo visto che la diagnostica delle fratture era già molto evoluta nell’Antico Egitto, con termini diagnostici già molto moderni. Ovviamente non potevano contare sulle attuali radiografie, ma l’uso di un termine onomatopeico per indicare la crepitazione ossea (il rumore percepibile muovendo una superficie ossea fratturata) ci suggerisce che fosse il sintomo principale – ed estremamente doloroso per il paziente! “anche se (il paziente) ne avrà grande paura” viene infatti menzionato nel Papiro Edwin Smith – utilizzato per diagnosticare una frattura.
E non era sicuramente un evento raro.
Studiando circa 6,000 corpi provenienti dalla regione di Assuan, Wood Jones trovò una percentuale molto alta di fratture – circa il 3% di tutte le mummie esaminate – soprattutto di radio ed ulna (31%), ma anche di clavicola (13%) e femore (10%). Elliot Smith, probabilmente il più grande esperto di mummie egizie del secolo scorso, attribuì questa elevatissima percentuale all’uso del bastone, sia in battaglia che nella vita quotidiana (!).

Sir Grafton Elliot Smith (1871–1937), il primo anatomista ad utilizzare tecniche radiografiche per studiare le mummie egizie. Sviluppò una sorta di venerazione per l’Antico Egitto, da cui (secondo la sua teoria dell’iperdiffusionismo) si sarebbero diffuse le principali innovazioni del mondo antico.
Straordinariamente, molte delle fratture riscontrate erano perfettamente saldate “tanto da distinguere a malapena le linee di frattura” (Nunn, 1995) grazie all’uso di tecniche di steccaggio che hanno poco da invidiare ai gessi moderni.

Sempre il solito Elliot Smith ha analizzato i ritrovamenti in una tomba di Naga ed Deir, risalente alla V Dinastia, dove sono state ritrovate due mummie con fratture di radio, ulna e femore ancora steccate. Le stecche in corteccia erano sagomate e non piallate per mantenerle concave ed aderire perfettamente all’arto, legate strettamente con più strati di bende di lino (sovrapposte ed incrociate) con l’ultimo strato legato con un nodo piano, ottimo per tenere ben stretta la fasciatura e contemporaneamente facile da sciogliere.


Steccaggio del femore, Naga ed Deir. Da notare il bendaggio molto stretto con le bende sovrapposte perpendicolarmente ed il nodo piano di chiusura.
In questo caso, purtroppo, il paziente non sopravvisse all’incidente che evidentemente aveva avuto, ma Elliot Smith notò nei suoi scritti che “…i medici egizi avevano adottato tecniche che servivano mirabilmente al loro scopo…”
SLOGATURE
Il lavoro dell’ortopedico non si limitava alle sole fratture.
Nel papiro Edwin Smith viene descritta la riduzione di una dislocazione della mandibola (“…trovi la sua bocca aperta e la sua bocca non si può chiudere…”) e la manovra è descritta in maniera talmente perfetta (“…posizionerai le tue dita sui rami della mandibola dentro la bocca, con i pollici sotto il suo mento, e spingerai la parte posteriore verso il basso fino a quando non tornerà nella sua posizione corretta.”) da sembrare uscita da un libro moderno, se non fosse che oggi si usano i pollici per fare più forza internamente..

Dalla tomba di Ipwi (che abbiamo già incontrato nelle patologie oculari) ci è invece pervenuta un’immagine di quello che sembra la prima fase della manovra di Kocher per la riduzione della dislocazione della spalla (braccio ruotato verso l’esterno per allungare i muscoli pettorali prima di portare in avanti il gomito sul petto e ruotare l’avambraccio verso la spalla opposta per completare la riduzione).



Nonostante le (ovvie) discussioni sul fatto che si tratti effettivamente di una manovra ortopedica, i moderni ortopedici egizi ne sono così certi da averne fatto il logo della loro società scientifica. Un collegamento diretto tra il passato ed il presente.
