Di Grazia Musso

Museo Egizio di Torino – Collezione Drovetti, C 3208
I casi canopi prendono il loro nome dalla città di Canopo, nel Delta egizio, dove era venerato il dio Osiride che qui aveva la forma di un vaso panciuto sormontato da una testa umana.
I vasi canopi, presenti sempre nel numero di quattro nei corredi funerari, sono infatti forniti da coperchi che, dalla fine della XVIII Dinastia, assunsero l’aspetto di teste umane e animali.

La comparsa di questi particolari recipienti è legata alo sviluppo delle pratiche di imbalsamazione.
Il loro scopo era infatti quello di contenere le viscere del defunto asportare prima della fase di bendaggio del cadavere.

Gli organi, una volta prelevati, subivano un trattamento volto a garantirne la conservazione e ciascuno di essi veniva infine deposto in un determinato vaso canopo posto sotto la tutela di uno dei quattro figli di Horus :Hamset proteggeva il fegato contenuto nel vaso a testa umana, Hapi i polmoni contenuti nel vaso a testa di babbuino, Duanutef lo stomaco contenuto nel vaso a forma di sciacallo e infine Khebesenuef proteggeva gli intestini conservati nel vaso a testa di falco.

Sul corpo di ciascun vaso si trova in genere un’iscrizione in colonne che riporta il nome del dio associato a quello di una divinità femminile corrispondente, oltre al nome e alla titolatura del defunto che, nel caso di questi raffinati esemplari in Alabastro del Museo torinese, era il dignitario Wah-ib-Ra.




Fonte
I grandi musei, il Museo Egizio di Torino – Silvia Einaudi – Electa