Di Luisa Bovitutti

Usciti dalla mastaba di Mereruka ci portiamo nell’area ad est della piramide di Djoser percorrendo la strada che conduce al Serapeum, in passato fiancheggiata da Sfingi.
Del maestoso viale si era persa ogni traccia fino al 1850, quando Auguste Mariette scoprì una sfinge sepolta nella sabbia e si rammentò che il geografo greco Strabone aveva segnalato l’esistenza, in quella zona, del Serapeo e di un viale di Sfingi.

In effetti, confidando nelle indicazioni trovate nel testo antico, Mariette cominciò a scavare e portò alla luce il viale e moltissime sfingi (sei delle quali si trovano ora al Louvre), una serie di statue di filosofi e poeti greci ora in assai misere condizioni, il tempio di Serapide e le catacombe sotto di esso note come “Serapeum”.

Il Serapeum custodisce gli immensi sarcofagi nei quali da Amenhotep III fino ai Tolomei vennero sepolti i tori Apis, sacri a Ptah: mi limiterò a brevi osservazioni ed a pubblicare le fotografie che abbiamo scattato in occasione della nostra visita, in quanto potrete trovare un’ampia trattazione a cura di Andrea Petta sul nostro sito a questo link: https://laciviltaegizia.org/2021/02/23/il-serapeum-e-i-suoi-misteri/


Oggi l’asse centrale del Serapeum è stato restaurato in modo egregio e le parti visitabili (il vestibolo ed il grande corridoio) sono di notevole impatto e molto ben illuminati, anche se hanno perso l’atmosfera dark che dovevano avere un tempo, quando i pochi visitatori si facevano luce con le candele e bruciando polvere di magnesio in un vaso ed ancora circolavano macabre storie di turisti incauti che si erano persi per sempre nel labirinto dei cunicoli laterali nei quali si erano avventurati da soli.

L’egittologa Amelia Edwards così racconta l’esperienza della sua visita al Serapeum poco dopo la sua scoperta:
“Dopo una breve ma faticosa camminata e qualche indugio fuori da una porta simile a una prigione in fondo a una ripida discesa, fummo ammessi dal guardiano: un vecchio arabo magro con una lanterna in mano. L’interno non era un posto dall’aspetto invitante. La luce del giorno esterno cadeva su uno o due scalini, oltre i quali tutto era buio. Entrammo. Sulla soglia ci venne incontro un’atmosfera calda e pesante; la porta si chiuse con un clangore sordo, i cui echi si allontanarono vagando come nei recessi centrali della terra; … era come l’oscurità dello spazio infinito.

A ciascuno è stata poi data una candela accesa e l’arabo ha aperto la strada. Andava terribilmente veloce, e ad ogni passo sembrava di essere sull’orlo di uno spaventoso abisso. A poco a poco, però, i nostri occhi si abituarono all’oscurità, e ci accorgemmo di essere passati dal vestibolo al primo grande corridoio. Tutto era vago, misterioso, oscuro. Una prospettiva fioca si profilava fuori dall’oscurità. Le luci scintillavano e svolazzavano, come scintille erranti di stelle … Pochi passi più avanti e arrivammo alle tombe: una successione di grandi camere a volta scavate a distanze irregolari lungo entrambi i lati del corridoio centrale e sprofondate a circa sei o otto piedi sotto la superficie. Al centro di ciascuna camera c’era un enorme sarcofago di granito levigato. L’arabo, svolazzando avanti come un fantasma nero, si fermava un momento davanti a ogni apertura cavernosa, puntava la luce della sua lanterna sul sarcofago e si allontanava di nuovo a tutta velocità, lasciando che lo seguissimo come potevamo… Il caldo … era intenso e l’atmosfera soffocante…
I coperchi (dei sarcofagi) sono stati spinti leggermente indietro e alcuni sono fratturati, ma i predatori non sono riusciti a rimuoverli del tutto. Secondo Mariette, il luogo fu saccheggiato dai primi cristiani …
Mariette, richiamato improvvisamente a Parigi alcuni mesi dopo l’apertura del Serapeo, si ritrovò senza i mezzi per portare con sé tutte le antichità appena scavate e così ne seppellì quattordici casse nel deserto, ad attendere il suo ritorno … Venne a Menfi “un giovane e augusto straniero” in viaggio in Egitto per suo piacere. Gli arabi, tentati forse da un principesco bakhshish (ndr “mancia”), svelarono il segreto delle casse nascoste; dopo di che l’arciduca le spazzò via tutte e quattordici, le mandò ad Alessandria, e subito le imbarcò per Trieste”.
L’autrice racconta che chi le riferì quest’ ultimo aneddoto non le rivelò il nome del nobile ladro di antichità perché era “andato incontro ad una tragica fine in un altro emisfero” ma considerato che si trattava di un arciduca e che i reperti, con il nome di collezione Miramare, vennero poi trasferiti al Kunsthistorisches Museum di Vienna le risultò agevole identificarlo.
Si trattava certamente dell’Arciduca Massimiliano d’Asburgo, fratello minore di Francesco Giuseppe imperatore d’Austria e Re d’Ungheria; egli fu viceré del Lombardo Veneto dal1857 al 1859 e poi imperatore del Messico, ma dopo tre anni di regno fu giustiziato dagli oppositori repubblicani a soli 35 anni d’età.



LE FOTOGRAFIE SONO STATE TUTTE SCATTATE DA ME, SALVO QUELLA DELLA SFINGE, CHE PROVIENE DA INTERNET.