LE DUE NAVI REALI DI CHEOPE

Di Sandro Barucci

Sul lato Sud della piramide di Cheope, durante la sistemazione dei suoi dintorni, furono individuate due grandi fosse coperte con lastre di pietra calcarea (vedi schema del luogo) . Si procedette all’apertura della prima nel maggio del 1954 , quella più ad Est come si vede nello schema allegato, risultò accuratamente sigillata e protetta da infiltrazioni. Vi si rinvenne una gran quantità di parti in legno, oltre 1200, identificate poi come componenti di una grande nave accuratamente smontata e riposta. Fu deciso di tentare la ricomposizione delle parti fino a rispristinare la nave originale , ed il comando delle operazioni tecniche fu affidato all’esperto Haji Ahmed Youssef Moustafa, che aveva operato per vent’anni nella piana di Tebe.

Oggi sappiamo che l’opera riuscì , grazie alla caparbia opera del Restauratore , durata 15 anni per la ricomposizione della nave , più quelli per il montaggio finale in sede museale avvenuto nel 1971. Nel 1982 fu aperto al pubblico il noto Museo alla base della Piramide. Nel frattempo la seconda fossa fu lasciata chiusa sia perché le risorse umane e finanziarie non erano infinite, ma anche in attesa di verificare cosa sarebbe potuto accadere durante i lavori sulla prima . Sappiamo purtroppo dalla storia delle ricerche archeologiche in tempi più lontani, che il recupero di un bene ha poi finito per causarne il grave degrado (l’ossigeno dell’aria aperta, la repentina essiccazione del manufatto, altri fattori imprevisti sono sempre un pericolo), quindi ogni cautela era giustificata, soprattutto 70 anni fa.

Haji Ahmed fu aiutato nella sua opera dal fatto che la squadra egizia che aveva sepolto l’imbarcazione nella seconda metà del XXVI secolo a.C. , aveva disposto le parti in modo razionale nella fossa (profonda circa quattro metri, lunga circa 33 m, larga circa 5 m.) in differenti livelli , con orientamenti logici e con l’intenzione di rendere possibile il rimontaggio.

Un’altra accortezza prevista dal capomastro della IV dinastia fu di applicare una serie di contrassegni su varie parti, tratti dal linguaggio ieratico. Risultarono in seguito applicati anche in altri settori delle costruzioni. Per la nave si comprese che erano una guida all’orientamento dei componenti ; vediamo infatti nella figura allegata tratta da Jenkins (nei riferimenti) come ai simboli corrispondessero i lati di dritta-sinistra / prua-poppa . La freccia rossa che aggiungo indica l’orientamento della prua, ed è riportata anche nello schema generale precedente, mostrando come essa fosse posta in direzione Ovest; oggi abbiamo conferma certa che l’orientamento è lo stesso per la “Nave Due”: è una constatazione che servirà in seguito.

Il lavoro di ricostruzione fu comunque difficilissimo , ricordiamo ancora le dimensioni , 44 metri di lunghezza finale ed una infinità di parti. Haji Ahmed dovette anzitutto costruirsi una idea del possibile risultato da conseguire, studiando le pitture murali esistenti a tema navale, i modelli nei corredi funerari, e quanto poteva guidarlo alla forma definitiva di 4500 anni prima. Vedremo nel prosieguo il risultato della sua indagine e del suo straordinario lavoro. Intanto fu intrapreso il lungo trattamento conservativo delle parti , utilizzando l’applicazione a più riprese di una soluzione di PVA ( poli vinil acetato ) che penetra e sigilla i microcanali presenti nel legno.

I due studiosi che ebbero la possibilità di intervistare il ricostruttore a lungo in tempi diversi, e riceverne spiegazioni approfondite sul suo lavoro e sulle caratteristiche della “Nave Uno” di Giza , pubblicarono i due lavori qui indicati , che restano fondamentali su questo argomento e sulla intera Storia delle costruzioni navali antiche.

Haji Ahmed Youssef Moustafa

Nelle fotografie (da Jenkins 1980) vediamo Haji Ahmed Youssef Moustafa , autore della ricostruzione della “Nave Uno” , mentre studia le “prossime mosse” servendosi di un modello , e nell’altra la movimentazione di uno degli elementi in legno; qui abbiamo la percezione visiva delle dimensioni con cui si ebbe a che fare. Sono registrate lunghezze di componenti in unico pezzo fino a 23 metri.

La movimentazione di uno degli elementi in legno

Le due Navi di Cheope, come appare logico, mostrano l’utilizzo degli stessi legnami. Nei riferimenti la più recente analisi, con mezzi evoluti odierni, sulla “Nave Due”. *

La specie arborea più disponibile per i maestri d’ascia egizi sarebbe stata la comune Acacia nilotica [oggi secondo le nuove classificazioni è spesso indicata Vachellia nilotica (L.) P.J.H.Hurter & Mabb., 2008]. La ritroviamo in numerose altre realizzazioni navali ed altre, essendo un vegetale capace di resistere a condizioni estreme di temperatura e periodi aridi. Scarsi elementi se ne trovano nella Nave 1 .

Ma nel caso di Cheope si cercava un risultato che facesse rifulgere la potenza del Faraone, in dimensioni e rarità del materiale. Si ricorse perciò al Cedrus libani, A.Rich. 1823, assolutamente assente in Egitto e territori vicini . I grandi tronchi consentirono di ottenere le assi desiderate, con caratteristiche di resistenza meccanica notevoli, ma richiesero una complessa operazione di importazione. Ricordiamo sempre che siamo attorno al 2550 a.C. Il porto di partenza era probabilmente la città libanese di Biblos che aveva nell’entroterra i monti e le foreste necessarie, la consegna avveniva nel Delta del Nilo , con una rotta in mare aperto di oltre 500 Km , molti di più seguendo la linea di costa. Gli oneri rendevano la merce in arrivo una risorsa semi-preziosa. Vediamo nella mappa allegata le località coinvolte. Si parla di “probabilmente” Biblos a seguito di un serio studio ** compiuto sugli isotopi 87Sr/86Sr del legno di conifera della nota “Carnegie boat” del Faraone Sesostris III , XII dinastia, oggi a Pittsburgh. Il materiale proveniva dalla attuale riserva boschiva di Horsh Ehden , 65 Km all’interno rispetto a Biblos. Non si ha purtroppo la stessa conferma per le navi di Cheope.

La IV dinastia non era nuova ad un tale esibizione di forza, ricordiamo la Pietra di Palermo che parla di Snefru (immagine dal Museo del Cairo), padre di Cheope, e della sua mobilitazione di 40 navi cariche di legname di conifera importato ***.

Snefru

Altre specie arboree disponibili in Egitto erano Ficus sycomorus , L. 1753, che risultò impiegata infatti su alcune parti , lo stesso per il genere Juniperus. Inoltre fu identificata la specie Zyziphus spina-christi (L.) Desf. , legno di notevole durezza, impiegato in parti piccole ma fondamentali che vedremo . (Per curiosità , il nome deriva dalla leggenda che con i suoi rami spinosi fosse realizzata la corona di spine del Golgota).

Vediamo qui le forme esterne dello scafo della “Nave 1” , molto caratteristiche per la Civiltà egizia, e preannunciate identiche per la “Nave 2” ,oggi presso i laboratori del Grand Egyptian Museum .

* Zidan, Eissa, et al. “Scientific identification of wood species of King Khufu’s second boat: A preliminary study.” Proceedings of the First International Conference on the Sience of Ancient Egyptian Materials and Technologies. Vol. 64. ISD LLC, 2022.

** Rich, Sara, et al. “To put a cedar ship in a bottle: dendroprovenancing three ancient ancient East Mediterranean watercraft with the 87Sr/85Sr isotope ratio” . In : Journal of Archaeological Science: Reports Vol.9 , 2016

*** Strudwick, Nigel C. “Texts from the Pyramid Age” , Society of Biblical Literature, 2005.

Il profilo longitudinale è arcuato, convesso verso il basso [si potrebbe definire in parole povere “a quarto di luna” o “a banana” ]. La prua in fig.I e la poppa fig.II sono caratterizzate dagli alti ornamenti che richiamano le legature delle barche tradizionali fatte con fasci di papiro: queste terminano appunto allo stesso modo, con la figura finale che si riapre come un fiore di loto.

Sono elementi che connotano fortemente la tradizione egizia per molti secoli , anche se gli scafi sono realizzati con una ottima tecnologia lignea si ricordano spesso le più antiche barche di papiro.

Figura 3

Vediamo ad esempio in fig. III il grande modello di 1,32 m al Metropolitan Museum of Art di NY dalla Tomba di Meketre TT 280, XII dinastia. Siamo più di 500 anni dopo le navi di Cheope, guardiamo però come la convessità longitudinale e le forme di prua e poppa sono sostanzialmente uguali.

Figura 4

Lo stesso ritroviamo fra le barche di Tutankhamon, più di un millennio dopo Cheope, in fig. IV, un altro dei tanti esempi.

Nella fig.V si osservano le sovrastrutture , la cabina chiusa, la pergola areata, la piccola pergola di prua.

Figura 5

E’ certo che né nella fossa della Nave 1, né poi in quella della Nave 2, siano rinvenuti un albero per issare velatura o segnali che potesse essere presente. Erano presenti remi , con le notevoli differenze fra le due che poi vedremo.

Il Grand Egyptian Museum

Vediamo nell’immagine il Grand Egyptian Museum dove oggi le due navi si trovano in attesa di furura esposizione al pubblico.

Ci inoltriamo ora nel metodo costruttivo degli scafi delle due navi , cercando di riassumere e non annoiare.

Si deve anzitutto sapere che non solo gli Egizi all’epoca di Cheope, ma tutti i cantieri navali ovunque , iniziano con il principio “prima lo scafo esterno” negli studi internazionali definito “shell first” ; solo successivamente vengono applicati rinforzi trasversali interni. E’ una metodica che ritroviamo per secoli presso le civiltà mediterranee orientali e occidentali (oggi è l’opposto, lo scafo si monta su un telaio interno precedente, “frame first”).

Un altro dato comune a molte civiltà mediterranee è l’assenza dei chiodi per fissare le varie parti lignee fra loro, ricorrendo al metodo della “cucitura ; analogamente a quanto fa un sarto con due pezze di stoffa, si fa passare un filo/cavo tessile alternativamente nei fori su un elemento e sull’altro che al termine rimarranno ben connessi.

Sulle imbarcazioni egizie, comprese le due di cui parliamo, vi è una caratteristica peculiare ed unica, la cucitura corre fra un bordo e l’altro (metodo definito “rail to rail lashing”), tutte le altre civiltà cuciono longitudinalmente il singolo elemento con quello accanto.

Vediamo la figura I , sezione trasversale al centro della Nave 1. Ho evidenziato in rosso il cavo tessile unico (n°2) che, come si vede, attraversa tutto lo scafo da un bordo all’altro in senso trasversale. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che sia un retaggio delle tradizionali barche realizzate legando fasci di papiro, dove le legature sono obbligatoriamente trasversali.

Nella figura I notiamo che il fondo dello scafo è costituito da tre lunghe assi (n°1) ed è assente la chiglia, (intesa come grossa trave centrale a supporto di tutta la costruzione). Non vi è da meravigliarsi, in quanto in tutte le civiltà marinare si comincerà a parlare di chiglie ben oltre mille anni dopo.

Con il numero 3 vediamo una serie di travetti che la legatura stessa serra in corrispondenza delle giunzioni delle assi.

Guardiamo l’ingrandimento fig. II: il travetto (3) compresso dalla legatura (2) a sua volta serra il materiale vegetale in verde (n.8 a sigillare le aperture fra le assi . E’ una esecuzione mirabile !

Osserviamo infine che niente è visibile all’esterno e turba l’estetica delle fiancate.

Il trasporto della nave 1

Nella foto vediamo il trasporto molto cauto della Nave 1 intera dal vecchio museo sotto la piramide di Cheope al Grand Egyptian Museum (700 metri giustamente percorsi in due giorni)

Un altro notevole particolare costruttivo delle due navi deve essere citato.

Il mobilio artigianale o gli infissi in legno delle nostre case utilizzano quasi certamente al loro interno la tecnica di montaggio con “tenoni e mortase” ; la stessa fa parte delle metodiche in campo meccanico.

Ciò che direi stupefacente è che i carpentieri di Cheope utilizzavano quattro millenni e mezzo fa lo stesso procedimento per tenere con precisione allineati fra loro i corsi del fasciame, le assi che formano lo scafo. Le legature che abbiamo visto in precedenza compattavano fra loro gli elementi, ma l’esattezza nella posizione era garantita appunto da “tenoni e mortase” , come vediamo in questa sequenza.

Su una asse “C” vengono scavati una serie di scassi “B” , le “mortase” , adatte ad accogliere i tasselli “A” , i “tenoni”, che vi vengono poi inseriti. Sull’altro asse “D” che deve essere posizionato si preparano altrettanti scassi , che accolgono a loro volta i tasselli . E’ chiaro che la posizione delle due assi fra loro risulta ben determinata, la legatura poi impedirà che si allontanino.

I tenoni sono realizzati in legno duro di Ziziphus spinachristi (L.)Desf. un alberello che come già detto ha questo nome perché con i suoi rametti spinosi sarebbe stata realizzata la corona del Golgota.

Ricordiamo che questa metodica richiede grande precisione nell’esecuzione , e che tecnicamente ci troviamo nella “Età del Bronzo antica”, con utensili certamente non ottimali : tutto questo aumenta l’ammirazione per chi ha fatto il lavoro.

Quanto detto fin qui sulla struttura e forma esteriore accomuna le due navi.

Ma notevoli differenze sono state evidenziate nell’apparato remiero , con riflessi importanti sulla interpretazione di questo convoglio reale.

Nel 1987 si iniziò a pensare il recupero della seconda nave. La situazione si presentò più critica rispetto alla prima, in quanto la seconda fossa aveva perduto la tenuta stagna che aveva protetto il legname della prima nave. L’incertezza sul da farsi si protrasse per vari anni. Negli anni ’90 fu raggiunto l’accordo per lo studio e la missione di recupero fra i Governi Egiziano e Giapponese. Il comando delle operazioni fu affidato all’esperto Dr. Sakuji Yoshimura che proseguì caute “azioni di avvicinamento” finché la fossa fu completamente aperta nel 2010 (sotto un hangar protettivo). I dettagli in *

Nel 2013 iniziò l’estrazione del materiale presente e suo trattamento di stabilizzazione; nel 2021 la fase di recupero fu terminata. Nel 2022 inizia la ricostruzione della seconda Nave al laboratorio del Grand Egyptian Museum.

Sappiamo purtroppo che all’inizio del 2020 emerse il problema pandemia Covid. Tutta la equipe giapponese fu costretta a rientrare in patria. Ma il Dr. Yoshimura aveva moglie egiziana , ed aveva una figlia con nazionalità egiziana che aveva seguito il lavoro del padre e potè restare sul posto come Responsabile. La sua tesi di laurea presso l’Università americana del Cairo, pubblicata a giugno 2022, è un compendio interessantissimo e aggiornato di tutto ciò che sappiamo sulla seconda nave **

Come già detto le tecniche costruttive delle due navi, le forme, le dimensioni sono assolutamente simili. Ma due elementi sono diversi e come vedremo molto importanti.

I) Nella fossa della prima Nave erano stati trovati 12 remi , che sono stati sempre presentati dal Museo di Giza come due remi timone a poppa e dieci remi per la propulsione : li vediamo correttamente riprodotti, secondo le posizioni museali, nella bellissima immagine di realtà virtuale di Pietro Testa .

Rispetto alla realtà museale era sempre rimasto il dubbio come dodici uomini potessero condurre una Nave di 44 metri nella corrente del Nilo, se la Nave era stata realmente utilizzata. Forse era solo destinata al viaggio immaginario nell’aldilà ?

Nella fossa della seconda nave invece sono rinvenuti 8 remi-timone e 52 remi per la propulsione .

II) Nella fossa della seconda Nave sono ritrovati 52 profili in rame a corredo degli orli dell’imbarcazione, con una forma simile ai poggiaremi delle nostre barche tradizionali in legno. Sono parti utili ad evitare l’attrito legno con legno durante la remata ed a tenere il remo in posizione sul bordo barca. Erano del tutto assenti nella prima.

Vedremo come tutto questo cambia le prospettive sulle due navi.

* Yoshimura, Sakuji, and Hiromasa Kurokochi. “Brief Report of the Project of the Second Boat of King Khufu.” Journal of Ancient Egyptian Interconnections 5.1 (2013): 85-89.

** Yoshimura, Kanan, A Comparative Study between Khufu’s First and Second Boats in respect of Their Materials, Archaeological Conditions, and Conservation. 2022., Master’s Thesis, the American University in Cairo.

Ribadiamo dunque gli elementi nuovi rinvenuti della fossa della Nave 2 a partire dal 2013.

– Otto remi timone , in numero adeguato alla guida di un’imbarcazione di queste dimensioni, vedi fig. 5, lunghezza circa 8 metri.

– 52 remi di propulsione.

– 52 sedi in rame per i remi sul bordo dell’imbarcazione, vedi fig. 6, per ridurre l’attrito legno con legno ed agevolare l’efficacia della remata.

Osserviamo per maggior chiarezza un modesto sketch dove sono posizionati questi elementi , fig. 7

Ricordiamo ancora che elementi metallici sono assenti dalla Nave 1 e non avere appoggia-remi fa pensare oggi che tutti i dodici remi rinvenuti fossero adibiti a tenere la direzione in questa Nave.

Rivediamo anche dalla mappa vista all’inizio , che entrambe le Navi sono orientate verso Est , con la Nave 2 davanti alla Nave 1.

La spiegazione che oggi si fa strada è che la Nave 1 fosse destinata ad essere trainata dalla Nave 2 , in un convoglio tutt’altro che inusuale nella navigazione egizia, davanti l’imbarcazione con i rematori , dietro quella più importante rimorchiata. Questo ha varie conseguenze concettuali.

Mereruka fu Visir durante il regno di Teti e la sua Mastaba si trova a Saqqara a nord della piramide di questo Faraone. E’ importante l’immagine qui riprodotta ( fig. 8 ) dalla Mastaba (siamo circa nel 2275 a.C.) : mostra una nave di grandi dimensioni di un periodo non molto lontano da Cheope; vediamo che per la sua propulsione sono impiegati 19 rematori per parte , 38 in totale.

Kanan Yoshimura cita questo paragone per spiegare come la Nave 2 di Cheope ha certamente la possibilità effettiva di navigare, con i suoi 52 rematori e gli otto remi-timone per la direzione, cosa che appare non realistica per la Nave 1.

Come detto, l’ipotesi più fondata è che chi realizza le due imbarcazioni abbia concepito dall’inizio una coppia trainante-trainata, ipotesi tecnicamente funzionante ed in linea con le abitudini di allora; la modalità del traino è ben nota nella navigazione fluviale egizia.

Questo ha conseguenze importanti.

Altenmüller aveva spiegato in un lavoro molto noto* la presenza delle due fosse, in un discorso logico e condivisibile (fino al 2013 non si conoscevano tutti gli elementi che abbiamo esposto) : il Sole durante il giorno percorre l’itinerario sulla propria imbarcazione da Est a Ovest, il cielo è considerato dagli Egizi un grande mare . Con una diversa imbarcazione il Sole esegue il cammino di ritorno attraverso gli inferi . Ecco che il Faraone , destinato a fare parte del corteo della divinità solare, o destinato a compiere lo stesso viaggio in proprio, avrebbe preparato due navi quella diurna e quella notturna, quelle che sono definite “Navi solari” . A seguito dell’attento studio di altri ambienti funerari, di rappresentazioni rinvenute in altri siti, di imbarcazioni in altre situazioni, lo Studioso conclude che la Nave 1 della fossa più ad Est, la Nave che conosceva, era la Nave notturna e l’altra , in posizione avanzata verso Ovest, doveva essere la Nave diurna.

La tesi è assolutamente rispettabile, anche per il circostanziato studio delle altre situazioni funerarie. Oggi tuttavia si constata che le due navi sono concepite come un tutt’uno (non potendo la Nave 1 muoversi in autonomia) e che possono aver realmente viaggiato nella realtà fluviale. La lettura della coppia diurna-notturna di Altenmüller è meno fondata, la Nave 1 non ha le caratteristiche per condurre il corteo notturno.

* Altenmüller, Hartwig. “Funerary boats and boat pits of the Old Kingdom.” In : Archiv orientální Vol. 70 (2002): pag. 269-290.

Riassumiamo qui 60 anni di discussioni ed opinioni degli Studiosi sulla motivazione della sepoltura di navi accanto alla Piramide di Cheope:

-1 le due imbarcazioni sono state effettivamente utilizzate da Cheope per viaggi ed eventi, erano le “sue” barche.

Oppure -2 le due imbarcazioni hanno costituito il corteo funebre che ha portato la salma del Faraone da Menfi a Giza.

Oppure -3 le due imbarcazioni sono il mezzo con cui il Faraone avrebbe navigato il grande mare celeste nel corteo del Sole.

Complessivamente ciascuna delle alternative non esclude di per sé le altre. Le prime due alternative sono state rese più concrete da quanto sappiamo oggi della Nave 2 e della possibilità di vera navigazione.

La terza alternativa è comunque fondata. Il culto della divinità solare RA era in atto nella IV dinastia, si è già citato lo studio di Altenmüller, e non è vero, come si è letto in passato, che sia sorto solo con la V dinastia.

Djedefra

A questo proposito si deve anche sottolineare che sulle pietre che formano il “sepolcro” delle due imbarcazioni si trova spesso il cartiglio del figlio Djedefra (in fig. il ritratto al Museo del Cairo ) oltre a quello del padre; è lui che porta a termine i lavori dopo la morte del padre, mentre erige altrove la propria piramide. Ed è evidente che DjedefRA (Stabile come Ra) altrimenti leggibile RAdjedef (RA è durevole) inserisce il nome di RA nella propria titolatura , una testimonianza importante del culto in atto.

I due cartigli del successore di Cheope qui mostrati sono tratti dalla esauriente pagina di Francesco Alba nel sito Web de La Civiltà Egizia (Djedefra). A sinistra è quello sommariamente inciso sulle pietre, a destra la grafica più corretta.

Non esiste ad oggi un documento definitivo sull’argomento, tuttavia possiamo registrare il parere di chi ha potuto valutare la situazione dopo una vita di studi sul tema e la conoscenza diretta della seconda imbarcazione , il Prof. Sakuji Yoshimura, già citato: le due navi costituiscono una coppia , la nave 1 trainata, dove si trova il Faraone-divinità e chi è con lui, la nave 2 addetta alla propulsione , entrambe alloggiate nei pressi della piramide allo scopo di permettere il viaggio con il Sole attraverso l’oceano celeste.

Detto in precedenza dell’aggettivo “solare” attribuito alle navi di Cheope, consideriamo anche una visione differente.

Nel 2015, nell’ambiente funerario non regale di Abusir South, furono rinvenuti I resti di una imbarcazione notevole, ad opera della Charles University di Praga (rilievo dei resti nella immagine).

La fossa si trovava 12 metri a Sud della Mastaba AS54 , dove l’iscrizione su una coppa riportava il nome del faraone Huni, della III dinastia, nonno di Cheope (qui il ritratto in granito rosa del Brooklyn Museum).

Altre successive analisi confermarono questa datazione per la Mastaba ed anche per l’imbarcazione, con intervallo al radiocarbonio rilevato per questa 2706 – 2570 a.C.

Attorno all’imbarcazione si erano aggiunte costruzioni funerarie di successive dinastie, cui si devono anche i danni visibili nell’immagine, ma le coincidenze temporali assegnarono l’imbarcazione alla AS54 della terza dinastia.

E per la terza dinastia non sembra dimostrata la tradizione di un culto di RA consolidato , e l’imbarcazione non può essere ragionevolmente definita una “barca solare”, tanto più che non siamo in presenza del sepolcro di un faraone. Questo è solo un esempio per affermare : non tutte le imbarcazioni collegate ad una sepoltura devono essere automaticamente definite “barche solari”.

Alle tre ipotesi formulate nel post precedente una quarta alternativa deve essere dunque aggiunta anche nel caso di Cheope. Ed è ciò che scrive Verner, l’atteggiamento più corretto [in mancanza di altra documentazione] è attribuire ai vascelli opportunità per il defunto di muoversi nell’aldilà con il mezzo all’epoca più utile, “to provide the deceased with transportation in the Other World”; l’imbarcazione è sì parte del corredo funerario ma senza coinvolgere il sole.

APPENDICE

Abbiamo parlato di due imbarcazioni straordinarie , all’ombra della costruzione che sarà superata in altezza solo da un campanile medievale 3800 anni dopo .

Ma un altro aspetto , correlato alla navigazione, mostra la vastità delle idee del faraone che vanno molto al di là di quanto si era visto fino ad allora.

E’ noto che gli Egizi fin da tempi lontanissimi frequentano la penisola del Sinai , ma Cheope organizza un sistema di trasporti stabile attraverso il Mar Rosso . A lui è oggi attribuita la realizzazione del porto di Wadi al-Jarf dal massimo esperto sul tema, Pierre Tallet (vedi rif.). Inizialmente si era pensato al padre Snefru ma i rinvenimenti più recenti confermano a Cheope la costruzione del complesso.

Wadi al-Jarf è ad oggi il più antico porto rinvenuto al mondo, se intendiamo con questa parola non un semplice luogo naturale di attracco, ma il significato moderno di luogo con diga foranea artificiale, magazzini, locali amministrativi, alloggi per gli addetti e gli equipaggi. Una terza meraviglia da Cheope.

E dall’altra parte, sulla costa del Sinai, era realizzato il forte di Tell Ras Budran che sorvegliava la via di approvvigionamento di rame e turchese dalle miniere della penisola. All’epoca il Sinai non faceva propriamente parte del territorio dello stato egiziano, dunque la presenza militare era necessaria per contrastare le locali tribù di beduini. Inutile ricordare che il rame era un materiale semiprezioso, indispensabile ad esempio per gli utensili e le attrezzature della erigenda piramide, e che il turchese aveva forte valore simbolico .

L’attraversamento fra Wadi al-Jarf e Ras Budran era di 50 Km. La interdipendenza dei due luoghi, oltre alla evidente posizione sulla mappa, è dimostrata dal fatto che a Wadi al-Jarf si era attrezzati con forni per la produzione di vasi e contenitori di utilità quotidiana , e che sulla costa opposta del Sinai l’80% dei ritrovamenti proviene da questi forni.

Dopo Cheope il porto fu chiuso , perché la capitale Menfi si trovava più a Nord, e fu aperto lo scalo di Ayn Sukna. Si preferì percorrere un tragitto di 120 Km in mare e risparmiare strada via terra, una testimonianza dei rapidi progressi della navigazione già nell’Antico Regno.

Rif.:

  • Nancy Jenkins (1980). The boat beneath the pyramid: King Cheops’ royal ship, New York ISBN 0030570611
  • Paul Lipke (1984). The royal ship of Cheops: a retrospective account of the discovery, restoration, and reconstruction. Based on interviews with Hag Ahmed Youssef Moustafa. Oxford: B.A.R., ISBN 0860542939
  • Kettnerovà, Lucie, 2016, A unique boat from the pyramid age discovered at Abusir by the expedition of the Czech Institute of Egyptology, iForum Charles University Online Magazine.
  • Inglis, Douglas Andrew, THE ABUSIR BOAT-BURIAL: CHANGE AND CONTINUITY IN BOATBUILDING TECHNOLOGY AND FUNERARY PRACTICE IN THIRD MILLENNIUM EGYPT . Texas University 2020.
  • Verner, Miroslav, The Pyramids of Ancient Egypt, Grove Press, 2001.
  • Tallet, Pierre & Marouard, Gregory. (2016). The Harbor Facilities of King Khufu on the Red Sea Shore: The Wadi al-Jarf/Tell Ras Budran System. Journal of the American Research Center in Egypt. 52. 135-177.