Di Andrea Petta e Franca Napoli
L’aspetto fisico, soprattutto nelle classi più abbienti, era di particolare importanza e doveva essere sempre curato. L’ossessione principale era il tempo che passa e la vecchiaia che avanza – una cosa che rende gli antichi egizi molto vicini anche a noi.
Lo stesso Sinuhe racconta preoccupato: “…la vecchiaia è calata su di me, la debolezza mi opprime, i miei occhi sono pesanti e le mie braccia sono deboli; le mie gambe incespicano e il mio cuore è affannato. Sono vicino alla morte…”

Ovviamente, anche in queste “lamentazioni” si ritrovano alcuni svarioni della cultura egizia che abbiamo già visto: nelle “Massime di Ptahotep” leggiamo infatti che “il mio cuore non ricorda più ieri” attribuendo al cuore le funzioni cerebrali.

Non ci può stupire quindi che molte prescrizioni dei papiri medici siano volte a contrastare questo avanzare del tempo – o meglio, gli effetti visibili: primi fra tutti, quelli sui capelli.
Nonostante quello che immaginiamo tutti, antichi egizi sempre rasati a zero e con eleganti parrucche, la realtà era diversa. Il Papiro Ebers contiene infatti ben tredici rimedi per evitare che i capelli ingrigiscano – nessuno di questi in realtà molto affidabile e nella maggior parte legati ad animali dal pelo nero, ma testimoni dell’importanza data alla capigliatura. La medicina si mescola quindi all’estetica, ritenendo la lotta all’ingrigimento dei capelli una lotta contro la vecchiaia che avanza.
Si va quindi dalla lozione preparata con il sangue di un bovino dal mantello nero bollito con olio o grasso, a quella ottenuta mettendo in infusione il guscio di una tartaruga con lo scheletro di un corvo. Anche il corno di un toro nero, di una gazzella o lo zoccolo di un asino, bolliti per preparare una mistura con del grasso, erano suggeriti al/alla paziente. In questo caso, infatti la preoccupazione per i capelli grigi o bianchi era per entrambi i sessi.
Non mancano le prescrizioni “bizzarre”, come “un topo cotto nell’olio” (Hearst 149).

Curioso l’utilizzo della placenta (di gatto, in questo caso), un ingrediente ancora oggi usato dalle industrie cosmetiche per rinforzare i capelli.
Sempre per prevenire l’aspetto “anziano” dei capelli grigi, la colorazione dei capelli con l’hennè è stata ampiamente documentata su alcune mummie pervenuteci – la più famosa, senza dubbio, quella di Ramses II, probabilmente per ricreare il colore rosso naturale dei suoi capelli in vista dell’aldilà, ma non è presente o menzionata sui testi medici egizi.

La Lawsonia inermis o henna o hennè era coltivata in Egitto fin dal periodo predinastico, e tracce del suo colorante (idrossinaftochinone) sono state rilevate anche su mummie antichissime. Alcuni studiosi hanno cercato di identificare l’hennè con la pianta “ankh-imi”, “colei che contiene la vita” proprio per la capacità di coprire i segni dell’età sui capelli, ma l’attribuzione è molto dubbia.


La perdita dei capelli invece era una preoccupazione (quasi) tutta maschile, perché perdere i capelli voleva dire perdere anche la virilità. Possiamo immaginare allora gli sforzi degli antichi egizi per evitare cotanta sciagura. Ben diverso era il valore del cranio rasato di un sacerdote da quello calvo di un uomo che aveva perso i capelli.
I trattamenti indicati in questo caso vanno dagli aculei di un istrice (!), sempre ridotti in polvere e mescolati con grasso animale, ad un impasto composto da grasso di leone, ippopotamo, coccodrillo, gatto, serpente ed antilope da applicare sulla testa dello sventurato. Attenzione però: il Papiro Ebers specifica che il leone deve “avere un aspetto feroce”, altrimenti il rimedio non funziona…

Come importante eccezione alla preoccupazione solo maschile, il papiro Ebers ci propone però anche un rimedio utilizzato nientemeno che da “Shesh Sesheset), la madre di sua maestà, re dell’Alto e Basso Egitto, Teti, giusto di voce”. Parliamo quindi dell’inizio della VI Dinastia, al tramonto dell’Antico Regno, intorno al 2340 BCE. Il rimedio utilizza l’osso di un cane, dei datteri tritati ed uno zoccolo d’asino, bolliti con olio o grasso come al solito fino ad ottenere un impasto da stendere sullo scalpo.


Tre “rimedi”, infine, sono descritti come metodi per far diventare calva una persona: viene specificato infatti “da applicare sulla testa di chi è odiato”. Questi “veleni per i capelli” includono le foglie di ninfea, i carapaci di tartaruga tritati, un verme non ancora identificato e la parte inferiore della zampa di un ippopotamo. Il Papiro Ebers però non ci spiega come si faccia ad applicarlo “molto, molto spesso” sulla testa della persona odiata.