Di Giuseppe Esposito

Forse non tutti sanno che… Jean François Champollion eresse anche lui un obelisco, e per di più a Roma.
Vi vedo stupiti e, in effetti, si tratta di una storia davvero poco nota. Ma partiamo da una notizia giornalistica:
“[…] Nel mezzo dei viali, in faccia al gran cancello che mette alla pubblica passeggiata, e rimpetto all’obelisco marmoreo, detto Aureliano, che tiene il centro della medesima, il signor Ambasciatore ne aveva fatto innalzare un altro con trasparenti analoghi geroglifici inscrittivi dal signor Champollion, letterato francese di alto grido per le belle discoperte che riguardano questo linguaggio finora disperato dell’Egizia religione […]” il piccolo passaggio si conclude con la speranza che “[…] della loro spiegazione sia fatta copia ai curiosi […][1]”.
È il 22 giugno 1825, e così si poteva leggere sul numero 49 del “Diario di Roma”, una sorta di quotidiano dell’epoca.

In quell’anno, infatti, Champollion, che aveva presentato l’anno precedente il suo “Resoconto sul sistema geroglifico degli antichi Egizi[2]”, intraprese un viaggio in Italia per confrontare il suo lavoro, finalmente, con reperti geroglifici autentici. Fino ad allora aveva, infatti, solo potuto eseguire i suoi studi su riproduzioni a stampa, e la stessa “Stele di Rosetta”, alla base delle sue intuizioni, gli era pervenuta solo in copia stampata. Prima tappa del suo viaggio italiano fu Torino, dove visitò la Sala dell’Accademia delle Scienze, vero e proprio embrione del futuro Museo Egizio; fu poi a Parma, Pesaro, Napoli, Firenze, dove ebbe modo di conoscere Ippolito Rosellini, e finalmente Roma.
Fu proprio in quest’ultima città, che l’ambasciatore francese, Montmerency-Laval[3], gli chiese di costruire un obelisco, alto da 45 a 50 piedi, per festeggiare, a Roma, l’incoronazione di re Carlo X [4] di Francia prevista per il 28 maggio del 1825.
Si trattava, come intuibile, di un obelisco “effimero”, strutturato in legno e carta, con “pareti” translucide su cui dovevano essere dipinti geroglifici colorati che sarebbero stati illuminati dall’interno. Fu così che Champollion fece quanto richiesto disegnando geroglifici brillantemente colorati che egli stesso, in una sua lettera, definisce classici e derivati da quelli della vicina Piazza del Popolo. La festa, cui era prevista la partecipazione di migliaia d’invitati, e che era aperta anche al popolo[5], fu però rimandata più volte a causa del maltempo. A tal proposito scrive Champollion[6]:
“[…] aspettiamo giorno dopo giorno che il bel cielo d’Italia si mostri degno della sua reputazione […]”.
Causa il tempo inclemente, la festa fu così più volte rimandata e il “Diario di Roma” del 22 giugno, ci informa che, approfittando finalmente del bel tempo, ebbe di fatto luogo il 19 giugno 1825, ma che Champollion, che era ovviamente stato invitato a partecipare alla fastosa ricorrenza che egli stesso aveva contribuito a realizzare, non era presente giacché richiamato in Patria poiché proprio re Carlo X ne aveva richiesta la presenza a Parigi per insignirlo della Legion d’Onore.

Se sappiamo quel che avvenne è per una “Storia del Pontefice Leone XII” e, ancor più, per una lettera di Hermine Ida Hartleben[7], curatrice della raccolta di lettere di Champollion.
L’Ambasciatore francese, deciso, infatti, a tenere la ricorrenza il 19 giugno 1825, incurante del maltempo, diede disposizione di innalzare la “guglia di Champollion” il 17 ma
“[…] un vento di mezzodì soffiò sì impetuosamente che gettolla a terra […]”.
Nell’incidente, data la fragilità dell’“obelisco”, vennero danneggiati irrimediabilmente i perfetti geroglifici di Champollion che, come detto, aveva però ormai lasciato Roma da alcuni giorni diretto a Firenze per proseguire, quindi, alla volta di Parigi.
Montmerency-Laval, l’ambasciatore francese, conscio che i tempi erano decisamente ristretti per poter ottenere un nuovo intervento dell’archeologo, decise di eliminare l’ornamento egizio ma, inaspettata, giunse una sollecitazione che non poté rifiutare. Papa Leone XII, infatti, con un potente cannocchiale riusciva a vedere i preparativi della fastosa cerimonia dalle finestre del suo palazzo[8] e aveva già chiesto di potare alcuni alberi che non gli avrebbero permesso, il giorno della festa, di godere appieno proprio dell’obelisco che egli sapeva realizzato da Champollion. Nessuno degli operai, però, anche per timore superstizioso trattandosi di scritture “pagane”, era certo in grado di ridipingere i geroglifici di Champollion; nell’opera si cimentò Pierre-Narcise Guérin[9] e il 19 l’obelisco venne nuovamente innalzato. Scrisse la Hartleben che i geroglifici scritti da Guérin non avevano la stessa eleganza di quelli di Champollion, ma che l’effetto fu ugualmente splendido e apprezzato dalle quasi diecimila persone presenti.
Il giorno successivo, 20 giugno, l’Ambasciatore scrisse al barone Damare, a Parigi, per narrare della sua festa e perché porgesse al re il suo ossequio; in quest’occasione, peraltro, magnificò l’ottimo lavoro fatto da Champollion.
Alla buona Fortuna del Re del popolo fedele Signore del mondo CARLO X Figlio della Regione dei Fiordalisi Signore dei Signori della casata dei Borbone Signore tre volte Grazioso a Roma sotto il Pontificato del supremamente Sacro Sua Santità LEONE XII Che viva in eterno | Che una vita felice e tranquilla sia concessa all’unico cui il dominio delle zone dell’universo è concesso Al reale Erede del Signore del mondo ENRICO il tre volte Grande Regale padre d’un Regale figlio grande per le Sue vittorie Al Re Del popolo fedele CARLO X Figlio della Regione dei Fiordalisi Signore dei Signori della casata dei Borbone Che viva in eterno | A colui che ha ricevuto la potenza Regale quale erede di suo fratello il Re LUIGI XVIII A colui che ha assunto la PSCHENT nel tempio della città di Reims nel primo Anno del suo regno nel mese di Paoni il IV dell’anno di Dio Salvatore MDCCCXXV per sempre | Che la Potenza Regale sia perpetua in LUI e nei suoi Figli per l’eternità Per LUI che è figlio della Chiesa pura che egli ama Ha fatto realizzare ed erigere con cuore riconoscente questo obelisco al Re tre volte grazioso ADRIANO Di Montmerency devoto al suo Re per l’eternità |
(nella traduzione in italiano ho rispettato le righe così come riportate nei volantini con la stesura geroglifica e la relativa traduzione in francese)
[1] In effetti, un tal disegno, con spiegazione dei geroglifici apparve in “Storia del Pontefice Leone XII scritta in francese dal Cavalier Artaud de Montor” a opera del “signor Challamet”. Già festa durante, tuttavia, erano a disposizione degli ospiti volantini con la stesura geroglifica e la relativa traduzione in francese.
[2] “Précis du système hiéroglyphique des anciens égyptiens, ou, Recherche sur les éléments premiers de cette écriture sacrée”, ed. Treuttel & Wurz, Parigi, 1824.
[3] Anne-Adrien-Pierre Montmerency-Laval (1768-1837, ambasciatore presso la Santa Sede dal 1822 al 1828), Pari di Francia.
[4] L’incoronazione, riprendendo una tradizione risalente al 1775 e mai più ripetuta in seguito, avvenne nella Cattedrale di Reims il 28 maggio 1825.
[5] Il “Diario di Roma”, n. 49 del 22 giugno 1825, indica (p. 5) in più di ottomila i partecipanti tra autorità e popolo.
[6] Da “Lettres de Champollion le jeune: Lettres écrites d’Italie”, lettera datata 5 giugno 1825, vol. I, p. 222.
[7] Hermine Ida Hartleben (1846-1919), egittologa tedesca autrice di una biografia di Champollion.
[8] Artaud de Montor, op. cit. p. 494: “[…] il Pontefice provava un grandissimo piacere nell’osservare il corso dei lavori […] armato di un cannocchiale, egli distingueva persino il vestire degli operaj […]. Nello stesso tempo egli s’accorse, in modo da non dubitarne punto, che nella sera della festa egli non avrebbe potuto vedere l’obelisco illuminato perché […] un viale d’alloro impedivagli la visuale […]”.
[9] Pierre-Narcise Guérin (Parigi 1774 – Roma 1833), pittore, Direttore dell’Accademia di Francia a Roma dal 1822 al 1828.