LA DRACUNCULIASI
Di Andrea Petta e Franca Napoli

Non sappiamo come si chiamasse. Sappiamo che visse durante l’epoca tolemaica, e che morì intorno ai 13 anni. Una maschera funebre, anticamente coperta da una foglia d’oro, ricorda vagamente quella di Merit al Museo Egizio di Torino, così lontana storicamente da lei.

Ora ha solo un numero per nome, un po’ come altri, terribili numeri che abbiamo conosciuto solo il secolo scorso. Si chiama, semplicemente, 1770 ed “abita” a Manchester dal 1896, quando Sir Filnders Petrie la spedì in Inghilterra dai suoi scavi intorno ad Hawara. A Manchester, quasi cinquanta anni fa è partito un progetto di analisi paleopatologica delle mummie conservate in quel museo che ha fornito e sta fornendo preziosissime informazioni.

La mummia di ‘1770’, purtroppo mal conservata, ci racconta una storia terribile. Mani pietose la seppellirono, cercando di ricostruire ciò che la Natura le aveva portato via.
‘1770’ è morta dopo una sofferenza atroce, dopo aver subito l’amputazione di entrambe le gambe, una sotto il ginocchio e l’altra subito sopra. Probabilmente è sopravvissuta per qualche giorno, prima di soccombere.


Una radiografia della sua parete addominale ha rilevato la presenza di un particolare parassita, un maschio di Dracunculus medinensis, detto anche filaria di Medina o verme di Guinea. È probabilmente l’omicida di ‘1770’.

Il D. medinensisè particolarmente bastardo. Entra nel corpo umano quando ingeriamo piccoli crostacei infetti del parassita, le cui larve, liberate dai succhi gastrici dello stomaco, dopo averne “bucato” la parete si riproducono nella parete addominale. I maschi muoiono subito dopo l’accoppiamento, mentre le femmine migrano verso gli arti inferiori dove provocano infiammazioni, ulcere ed ascessi attraverso i quali la femmina spinge le uova all’esterno in modo che, quando l’ospite umano si immerge nell’acqua di uno stagno o di un fiume, il ciclo si ripeta.
L’unico modo di far uscire il parassita è quando la femmina depone le uova ed una parte spunta dall’arto infetto, cercando di farlo avvolgere su un bastoncino. È un processo lungo e pericoloso: se la femmina si spezza e muore durante il processo dà luogo ad una infiammazione molto più acuta che manda facilmente in sepsi l’arto.
È probabile che sia quello che è successo a ‘1770’. I mummificatori hanno cercato di “riparare” il danno, con delle canne strette da un tessuto a simulare le gambe amputate fino a ricostruire uno dei due piedi, e ponendo nella fasciatura anche due sorte di pantofole colorate, un particolare commovente nella sua semplicità.



I RIMEDI
Non esiste nei papiri medici una cura farmacologica per la dracunculiasi, che gli antichi medici chiamavano la “malattia aat”: viene specificato che si deve trattare “con il coltello des” (Ebers 875) aprendo la carne del malcapitato e cercando di estrarre il verme con uno strumento chiamato “henu” (forse un paio di pinzette, o possibilmente un bastoncino intorno a cui avvolgere il verme).
Una procedura estremamente pericolosa che, come abbiamo visto, purtroppo per la povera ‘1770’ non ha funzionato.
