Curiosità, Tutankhamon

TUTANKHAMON E RODOLFO VALENTINO

Di Giuseppe Esposito

Figura 1: la copertina de “La Domenica del Corriere” del 24 febbraio 1924 con il disegno di Achille Beltrame (1871-1945) ripreso chiaramente da una delle più famose fotografie di Harry Burton

Howard Carter… e forse il nostro articolo potrebbe anche concludersi qui poiché questo nome, da solo, è in grado di evocare una tra le più grandi scoperte dell’archeologia e dell’egittologia, ma poiché, se veramente mi fermassi qui, mi dareste del folle, eccomi a continuare giacché proprio quella scoperta scatenò l’egittomania mondiale, e coinvolse personaggi di ogni dove, di ogni lignaggio e di ogni categoria.

E se vi dicessi che, in qualche modo, c’entra anche il sex-symbol per eccellenza: Rodolfo Valentino?

TUTANKHAMON E RODOLFO VALENTINO

Ma andiamo con ordine e… riprendiamo proprio da Carter e dal suo noto caratteraccio (non sempre immotivato, in verità).

Carter

Nato nel 1874, undicesimo, e ultimo, figlio di Samuel Paul Carter[1], dal padre apprese l’arte del disegnare e del dipingere[2]. Tra i suoi facoltosi clienti il padre annoverava anche Lord William Pitt, II conte di Amherst, detentore di una vasta collezione di reperti egizi e tra i fondatori del “Egypt Exploration Fund”.

Durante una campagna di scavi nella necropoli di Beni Hasan[3], patrocinata da Lord Amherst e dal “Fund”, si rese necessario poter disporre, in loco, di un valido disegnatore per ricopiare i rilievi, ma specialmente i testi, delle innumerevoli tombe. Singolare che la richiesta avanzata fosse, precisamente, per un disegnatore preferibilmente “non gentleman[4], che facesse poche domande e, soprattutto, che costasse poco. Fu così che, nel 1891, il diciassettenne Howard Carter raggiunse l’Egitto per quella che doveva essere solo l’inizio della sua meravigliosa avventura.

Grazie ai suoi accuratissimi disegni possiamo oggi ammirare dipinti e rilievi parietali ormai non più leggibili o addirittura scomparsi: tra questi forse il più famoso è il trasporto della statua di Djehutihotep[5].

Figura 3: Il trasporto della statua di Djehutihotep in una rielaborazione grafica, tuttavia, di Sir John Gardner Wilkinson in cui sono stati integrati alcuni piccoli particolari non presenti nell’originale di Carter (è stato completato il viso della statua e sono stati integrati i personaggi sulla sinistra)

Destinato poi al sito di Tell el-Amarna, il giovane Carter affiancò, sempre come disegnatore, Sir Flinders Petrie che lo assegnò a ricopiare iscrizioni e rilievi “dove non avrebbe potuto causare danni”. Si aggiunse così, però, un altro “mattone” nella sua cultura di futuro scavatore della Valle dei Re. Come nota di colore, un aneddoto circolava sulla frugalità del grande archeologo, considerato il padre dell’egittologia: si raccontava, infatti, che avendo notato che nell’accampamento mancava la carta igienica, per non disturbare il “grande capo”, venne chiesto come comportarsi a Lady Petrie ottenendo, in risposta, che “Sir Flinders ed io usiamo cocci di ceramica[6] … e pensare che proprio sui “cocci” di ceramica Flinders Petrie aveva fondato il suo metodo di datazione della preistoria egizia[7].  

La carriera di Carter in Egitto prosegue e, sempre più apprezzato per le sue capacità artistiche, viene tuttavia notato anche per la sua passione per lo scavo archeologico tanto che, a poco più di 25 anni, viene nominato Capo Ispettore per l’Alto Egitto, con competenza su alcuni tra i siti più importanti e famosi del sud del Paese. Qui, come responsabile anche della Valle dei Re, il giovane Carter si trasforma, in un’occasione, in un novello Sherlock Holmes.

Per rendere visitabile al pubblico la tomba KV35[8] di Amenhotep II, Carter aveva fatto riporre il corpo del re nel suo sarcofago, messi in bella mostra alcuni degli oggetti rinvenuti a suo tempo da Victor Loret nella tomba, e aveva fatto apporre una pesante grata di ferro all’ingresso per proteggere il tutto. Nonostante tale precauzione, nella notte del 20 novembre 1901 alcuni ladri si erano introdotti nella KV35, avevano danneggiato la mummia del Re e rubate alcune suppellettili.

Carter svolse le sue indagini e rinvenne, nella tomba, impronte di piedi e un pezzo di resina estraneo all’ambiente. Giacché pochi giorni prima si era verificato un altro furto nella tomba di Yi-Ma-Dua, poco distante dal villaggio di Qurna, Carter comparò il pezzo di resina rinvenuto in KV35, con la rottura in una suppellettile della tomba di Yi-Ma-Dua riscontrando che erano perfettamente combacianti e identificando, perciò, i ladri come autori di entrambi i furti. Poiché anche in quel caso erano state lasciate impronte di piedi che, seguite, avevano portato nei pressi della casa di Soleman e Ahmed el-Rasoul (noti come ladri di tombe), Carter fotografò entrambe le serie di impronte e, fatto arrestare Mohamed el-Rasoul come principale sospettato, comparò le impronte di questo con le sue foto ottenendo un perfetto riscontro[9]. Deduzioni investigative, e metodologie di raffronto delle prove, degne davvero di un buon poliziotto.

Dopo un periodo di collaborazione con Theodore Davis, nella Valle dei Re, Carter venne trasferito a nord come Ispettore, tra l’altro, del sito di Saqqara e qui si verificò quello che è noto, appunto, come “incidente di Saqqara”.

Un gruppo di turisti francesi, palesemente ubriachi, cercò nottetempo di entrare con la forza al Serapeum nonostante la presenza di guardie che, informato Carter, vennero da questi autorizzate a difendersi da eventuali attacchi. A quei tempi, in pieno periodo coloniale, che un locale “toccasse” uno straniero era decisamente inconcepibile.

I francesi, ovviamente offesi, si rivolsero perciò alla propria Ambasciata e questa al Direttore del Servizio, Gaston Maspero, che, sebbene a malincuore, chiese a Carter di scusarsi pubblicamente ottenendone, per tutta risposta, le dimissioni dall’incarico. E fu così che Carter ritornò al sud, a Luxor, e alle dipendenze, nuovamente, di Theodore Davis che lo assegnò a rilevare i dipinti e le iscrizioni della tomba KV46[10], di Yuya e Tuya. Ancora una volta, senza saperlo, Carter sfiorava Tutankhamon giacché i due personaggi, come si scoprirà solo di recente con l’esame del DNA, sarebbero risultati i bisnonni del giovane Re.

Nel 1914, agli albori della Prima Guerra Mondiale, Davis dichiara che la Valle non ha più nulla da offrire e, con grande magnanimità, cede la sua concessione di scavo (a sentir lui praticamente inutile) a Lord Carnarvon. La Guerra interrompe però ogni attività, ma Carter resta in Egitto con un incarico, sia pur marginale, nell’Intelligence britannica, al Cairo, che gli consente, comunque, di recarsi frequentemente al sud.

A Guerra finita, nel 1918, Carter viene assunto come esperto archeologo (ma non dimentichiamo che, fondamentalmente, era pur sempre un “dilettante” autodidatta, non avendo compiuto studi specifici in materia) da Lord Carnarvon e la prima richiesta che viene avanzata a Pierre Lacau, che nel frattempo ha sostituito Gaston Maspero, è di poter scavare a Tell-el-Amarna, la città del faraone eretico Akhenaton. La risposta di Lacau è negativa poiché lo stesso Servizio delle Antichità si riserva di scavare in quel sito o di affidarlo a prestigiose Università straniere, ma non certo a un privato.

Si aggiunga a questo che Lacau, respirata l’aria di nazionalismo che soffia, stabilisce che tutti gli oggetti rinvenuti in terra d’Egitto non possano lasciare il Paese.

È così che Carnarvon e Carter debbono accontentarsi (per fortuna, diremmo oggi) di proseguire i propri scavi nella Valle dei Re.

Come sopra detto è tuttavia un periodo di fermento nazionalista e Saad Zaghloul[11], leader del movimento, chiede a Sir Reginald Wingate, rappresentante della Corona britannica, l’autogoverno per il proprio Paese. Per tutta risposta Wingate fa arrestare Zaghloul e, come prevedibile, scoppia la rivolta contro l’occupante straniero[12]. È questo il clima, non certo dei più sereni, in cui i due si accingono a iniziare la propria attività archeologica che, per circa cinque anni, li porterà a semplici e piccole scoperte che, non potendo peraltro essere esportate o vendute, viste le restrizioni di Lacau, non valgono a coprire le spese sostenute da Lord Carnarvon.

Il 1922 volge al termine e Carnarvon, visti i magri risultati delle campagne di scavo, decide di non rinnovare la concessione. Quel che accadde dopo è noto: Carter si offre di pagare la concessione a sue spese per almeno un altro anno e Carnarvon, colpito dalla sicurezza dell’archeologo, si convince a proseguire.

Il 4 novembre, non appena rientrato nella Valle dall’Inghilterra, Carter scopre il primo gradino di una scala e il successivo 20 Carnarvon lo raggiunge. La circostanza di questo provvidenziale ritrovamento è, comunque, sospetta, ma di questo potremo parlare in un altro articolo.

“Cose Meravigliose”

Se il nome “Carter” è in grado di evocare una tra le scoperte archeologiche più importanti della storia, la frase che dà il titolo a questo paragrafo è altrettanto famosa giacché fu il preludio al magnifico tesoro che si celava dietro le porte murate che recavano il sigillo della necropoli.

Tale fu la potenza della scoperta che, in breve tempo e grazie ad altre campagne di scavo che si stavano svolgendo in Egitto, si riuscì a costituire una squadra che comprendesse i migliori esperti nei vari settori; furono così “reclutati” (ma meglio sarebbe dire “prestati”):

Arthur Cruttenden Mace, noto per le sue capacità di conservatore dei reperti anche più fragili, cui si affiancò Alfred Lucas capace chimico alle dipendenze del Servizio per le Antichità[13]; Harry Burton, come Mace dipendente del Metropolitn Museum of Art di New York, venne anch’egli “prestato” ed entrò a far parte della squadra come fotografo[14]; fu quindi la volta di Arthur Callender, amico di Carter, ingegnere ferroviario e disegnatore[15], di Walter Hauser, architetto e disegnatore come Lindsay Foote Hall[16]; Percy Newberry, botanico ed esperto di tessuti antichi[17]; Harry Breasted, laureato in farmacia e solo successivamente dedito all’egittologia[18], filologo e traduttore; ultimo, ma non ultimo, Sir Alan Gardiner, filologo e forse il più grande esperto di geroglifici[19].

Era la prima volta, nella storia della ricerca egittologica e archeologica, che veniva costituita una squadra che oggi definiremmo “multidisciplinare” e di ciò, nonostante comunque i molti errori compiuti, per ingenuità e impreparazione, durante le operazioni di scavo e svuotamento, va dato merito a Howard Carter.

Inutile ripetere, per l’ennesima volta, quale fu la eco della scoperta nel mondo intero. Chi fosse Tutankhamon non era certo ancor noto, e men che meno che si trattasse di un giovanissimo re morto a meno di venti anni… fu così che il buon caro, vecchio, Tut, divenne addirittura il soggetto di una canzone: “Old King Tut was a Wise Old Nut[20].

È bene, tuttavia, rammentare che uno dei più gradi errori di Lord Carnarvon, cui sopra si è fatto cenno e a cui non fu certamente estraneo Carter, specie in quel periodo di particolare fermento nazionalistico in Egitto, fu l’assegnazione dell’esclusiva su tutto ciò che riguardava la KV62, a un unico giornale, straniero: il “Times” di Londra. Si giungeva così al paradosso e, lo ripeto, in un momento particolarmente delicato per i rapporti tra l’Egitto e i “colonialisti”, specie britannici, che il Governo locale, o lo stesso Servizio delle Antichità, potessero avere notizie di quel che accadeva a casa propria solo acquistando un giornale, per di più straniero, e per di più dell’odiato conquistatore inglesse!

Dopo l’”Incidente di Saqqara”, quando Carter aveva rassegnato le dimissioni da Capo Ispettore per l’Alto Egitto, il suo posto era stato assunto da Arthur Weigall e tra i due correva perciò, da lungo tempo, stima e amicizia reciproca. Alla scoperta della KV62, Weigall venne inviato in Egitto come corrispondente del “Daily Mail”; già precedentemente, tuttavia, ben conscio della situazione esplosiva che si stava creando, aveva sottolineato che un grande errore iniziale era stato il non aver notificato al Governo egiziano la data di apertura della tomba. In una sua lettera a Carter aveva scritto[21]:

“…i nativi dicono che in quell’occasione avete avuto l’opportunità di sottrarre milioni di sterline vista la gran quantità di oro di cui avete parlato…

“…avete pensato che il vecchio prestigio britannico fosse ancora presente in questa Nazione e che avreste potuto, più o meno, fare quel che volevate…

Inutile dire che né Carter, né Lord Carnarvon, avevano risposto in alcun modo ai suggerimenti di Weigall, né Carter, addirittura, lo aveva voluto incontrare.

E i nodi cominciarono a venire al pettine quando, il 12 febbraio del 1924, si procedette al sollevamento del coperchio in granito del sarcofago. Per il successivo giorno 13, Carter aveva previsto, come omaggio ai suoi collaboratori, la visita della tomba da parte delle mogli e dei familiari, ma proprio la mattina del 13 febbraio, forze di polizia egiziane bloccarono l’accesso alla KV62 in esecuzione di un Ordine del Ministero che vietava l’accesso alla tomba agli estranei. Carter, ovviamente, cercò di opporsi, protestò veementemente, ma per tutta risposta, il Governo assunse il pieno controllo della tomba esautorandolo da ogni attività.

Fu così che Carter, furioso, partì per gli Stati Uniti per una serie di conferenze ma, anche in questo caso, il suo non facile carattere fece nuovamente capolino: prima di partire per gli Stati Uniti, infatti, diede alle stampe, in Inghilterra, un libricino. Il testo non era destinato al pubblico, tanto da riportare in copertina l’indicazione “Confidential”, e non si conosce neppure il numero di copie prodotte (meno di un centinaio, forse 60-70). Il titolo, semplicemente “Statement”, ovvero “Dichiarazione” [22].

Il libercolo, come si può immaginare oggi estremamente raro, conteneva documentazione a supporto delle motivazioni che lo avevano portato alla rottura con il Governo egiziano, atti ufficiali tra le parti per la suddivisione degli oggetti che sarebbero stati rinvenuti nella tomba di Tutankhamon[23] ma, anche, e senza chiedere il permesso agli interessati, lettere private che Carter aveva scambiato con altri archeologi o conoscenti, e che non la presero poi molto bene anche perché, in qualche caso, determinate dichiarazioni potevano mettere in cattiva luce, in una situazione politica già compromessa, suoi colleghi che ancora eseguivano campagne di scavo in Egitto.

E purtroppo non era ancora finita.

Mentre Carter era in giro per gli Stati Uniti a tenere le sue conferenze, le autorità egiziane decisero di eseguire una perquisizione nella KV4, di Ramses IV, che Carter e la sua squadra avevano utilizzato come magazzino. Qui, “nascosta” in una cassa di champagne, venne rinvenuta una statua lignea che rappresentava la testa di Tutankhamon nascente da un fiore di loto; statua che non risultava inserita tra gli oggetti rinvenuti e che, perciò, venne intesa come pronta per essere asportata illegalmente.

Ma il Governo egiziano era ben conscio che se qualcuno poteva completare lo svuotamento della KV62, questi non poteva essere che Howard Carter. Fu così, che con l’intercessione di Herbert Eustice Winlock, ancora una volta del Metropolitan Museum of Art di New York, le autorità egiziane pervennero a una proposta che prevedeva il reintegro di Carter nel suo incarico, a patto che le spese di scavo e di svuotamento della KV62 fossero sostenute per intero da Carter e Lady Carnarvon (subentrata dopo la morte del marito), che non fosse più avanzata alcuna pretesa su quanto rinvenuto e, soprattutto, che Carter tenesse a freno la lingua e non definisse più i Funzionari egiziani “ladri” e “banditi”.

Occorre dire che Carter rifiutò l’offerta e anzi minacciò di abbandonare l’archeologia?

Figura 7: la copertina di “Simplicissimus”, nota rivista satirico-umoristica tedesca (1896-1967), del 10 marzo 1924, in cui un Tutankhamon alquanto “irritato” caccia a calci, fuori dalla sua tomba, gli inglesi

Nel contempo, alcune copie di “Statement” erano arrivate negli Stati Uniti e in Egitto facendo così scoprire che tra gli autori delle lettere private c’erano Pierre Lacau, con critiche ai Ministeri egiziani e ad altri colleghi, nonché dello stesso Winlock, e il Metropolitan Museum ritenne che tali lettere potessero nuocere all’istituzione.

Nonostante tutto, ancora per vie traverse, il Governo cercava di far rientrare Carter e quest’ultimo, tornato in Inghilterra, si accordò con Lady Carnarvon che, al contrario del marito, non era decisamente molto appassionata di egittologia. Fu così che questa pervenne a un accordo con le autorità egiziane in base al quale: riconoscendo la bravura e l’unicità delle competenze di Carter, si accollava le spese per le ulteriori campagne di scavo fino allo svuotamento della tomba di Tutankhamon. Carter, inoltre, non avrebbe più chiamato “ladri” i funzionari ministeriali. Per “premio” il Governo concesse a Lady Carnarvon, con quale disappunto di Carter è facile immaginare, di poter ottenere eventuali doppioni di oggetti che non avessero avuto valore archeologico o storico.

Carter riapre la KV62

Finalmente, il 13 gennaio 1925 Carter riprende possesso della “sua” tomba KV62; ma la squadra, intanto, è notevolmente cambiata.

Arthur Mace, ammalato, non può prendervi parte; Lindsau Foote Hall ha già lasciato la squadra per contrasti con Carter, cosa che farà ben presto anche Walter Hauser. Nonostante la lunga amicizia, anche Callender, presto lascerà la squadra per dissapori economici[24], e proprio nel momento cruciale, in cui la sua esperienza sarebbe stata utile per liberare la tomba dagli scrigni che egli stesso aveva provveduto, con tanta difficoltà e maestria, a smontare.

Ma l’assenza più pesante di tutte, vista la gran quantità di testi da interpretare e tradurre, era, certamente, quella dei filologi: nel caso di Breasted, che comunque non aveva mai completamente legato con Carter, il motivo del contendere fu la richiesta di cinque fotografie scattate da Burton (peraltro già pubblicate) per un suo lavoro sulla KV62. Carter dapprima negò la concessione e poi la sottopose a pagamento cosa che, vista la piena disponibilità del filologo alle prime fasi della spedizione, venne presa come una grave offesa personale.

Ma ancor più grave, a svuotamento della tomba completato, e quando sarebbe stato finalmente agevole procedere alla traduzione, ad esempio, dei testi contenuti negli scrigni che avevano racchiuso il sarcofago, fu l’assenza del filologo per eccellenza: Sir Alan Gardiner.

Nel 1930, Carter aveva regalato a Gardiner un amuleto, senza però informarlo del fatto che proveniva proprio dalla KV62. Quando Gardiner lo aveva mostrato al Direttore dell’Egyptian Museum, Rex Engelbach[25], questi lo aveva subito riconosciuto come proveniente dalla tomba di Tutankhamon[26]; Gardiner si era perciò sentito, non solo, “tradito” da Carter, ma anche complice, a tutti gli effetti, di un vero e proprio furto. Ovvio che da questo episodio era scaturita una furiosa lite tra i due con l’abbandono del lavoro di traduzione proprio nel momento in cui, come sopra evidenziato, si stava per mettere mano agli scrigni che, nel frattempo, erano stati portati, ed esposti, al Museo del Cairo.

Ed eccoci giunti (quasi non ci speravate più, ammettetelo) al legame tra Tutankhamon e il sex symbol per eccellenza.

Tut, Rudy e la ballerina

Spariti Breasted e Gardiner dal panorama dei filologhi in grado di tradurre una così gran quantità di testi come quelli riportati su tutte le facciate dei tre scrigni d’oro che avevano protetto per quasi tremila anni il sonno del faraone fanciullo, questi, nelle loro polverose teche di vetro al Museo del Cairo, tornarono nuovamente ad “addormentarsi” per altri trent’anni.

Solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, Aleksandr Nikolaevič P’jankov[27], specializzato in traduzione di testi sacri egizi, traduce il “Libro della Vacca Celeste” della tomba di Sethy I.

Il filologo, però, ricorda che proprio sulle pareti degli scrigni di Tutankhamon esiste una versione più completa del testo e richiede perciò a Etienne Drioton, suo insegnante e ora Direttore dell’Egyptian Museum, di poter procedere alla traduzione completa. L’autorizzazione viene concessa e Piankoff procede perciò al suo impegnativo lavoro che ultima nel 1954. Ora, però, bisogna procedere alla pubblicazione del lavoro svolto e chi meglio di …una ballerina?

Vi vedo un po’ stupiti, Natacha Rambova aveva iniziato la sua carriera artistica a diciassette anni, proprio come ballerina, presso l’“Imperial Russian Ballet” diretto, all’epoca, dal ballerino russo Theodore Kosloff[28], di cui divenne l’amante. Verrebbe spontaneo pensare che fosse più che naturale, per un autore russo, ottenere l’edizione a cura di una editrice russa… ma, in realtà, la Rambova si chiamava Winifred Kimball Shaughnessy, ed era nata a Salt Lake City nel 1897.

Mandata a studiare in Inghilterra dal ricco patrigno, l’industriale dei cosmetici Richard Hudnut (1855-1928), era poi fuggita in Russia per seguire la sua passione per la danza.

Qui aveva cambiato il proprio nome in Natacha Rambova ed era riuscita a essere ammessa all’Imperial Ballet. Trasferitasi negli Stati Uniti, a Los Angeles, nel 1917, anche a causa della Rivoluzione intanto scoppiata in Russia, iniziò ad insegnare danza presso la scuola aperta da Kosloff che, nello stesso periodo, entrava nel mondo del cinema, tanto da meritare una “stella” sulla Walk of Fame di Hollywood. Già all’epoca, la Rambova, produceva scenografie e costumi per film, con la regia di Cecile B. DeMille, interpretati da Kosloff, lasciando però a quest’ultimo la “paternità” del suo lavoro.

Divenuta, poi, amante dell’attrice Alla Nazimova[29], la Rambova si legò al mondo del cinema, in prima persona stavolta, come scenografa e costumista per il grande regista Cecil B. DeMille (1881-1959), considerato tra i fondatori della “settima arte”.

Nel 1921, la Nazimova Productions, produsse “La Signora delle Camelie” con scenografie in stile Art Decò e costumi della Rambova (questa volta a lei ufficialmente sccreditati). Protagonisti la stessa Nazimova e Rodolfo Valentino[30]. Proprio in quest’occasione, la Rambova e “Rudy” si conosceranno e, nel 1922, si sposeranno in Messico[31].

Grazie all’influenza che ormai la Rambova aveva acquisito nel mondo di Hollywood, assunse la figura di rappresentante esclusiva del marito sia per quanto riguardava i film a cui partecipare, sia per i costumi che avrebbe dovuto indossare e che ella stessa disegnava. Erano inoltre note le sue liti, con registi e produttori, se le parti offerte a Valentino non erano abbastanza importanti. Fu così che, dopo il mediocre risultato del film “Il giovane Rajah” (1922), Valentino, su insistenza della moglie,  abbandonò la “Lasky-Paramount” e tornò, con Natacha, alla sua primitiva carriera di ballerino professionista. Dopo qualche anno, nel 1924, firmò un contratto con la “United Artists” che, però, esplicitamente escludeva la Rambova da ogni tipo di ingerenza nella vita artistica del marito.   

Si rende necessario, a questo punto, un piccolo passo indietro per chiarire che già ai tempi della frequentazione con la Nizimova, e con il suo entoruage di artisti e intellettuali, Natacha si era avvicinata all’esoterismo, alle culture orientali e, con maggior assiduità e passione, all’egittologia. Mentre il rapporto con Rodolfo Valentino cominciava a “scricchiolare” e i molteplici impegni cinematografici come costumista e scenografa le consentivano di dedicarsi alla sua passione, s’immerse sempre più nei suoi  variegati interessi che spaziavano non solo nel tempo, ma anche nel mondo antico[32].

Fu così che raccolse testi, fotografie, oggetti, disegni, dipinti non solo di provenienza egizia, ma anche dalla Mesopotamia, dall’India, dall’Italia, dalla Grecia, dalla Cina, dal Tibet, dalla Cambogia, dal Messico, dal Perù, dall’Irlanda e dall’Inghilterra, coprendo un arco temporale dal quarto millennio a.C. al XIX secolo.

Lasciato il mondo del cinema dopo il divorzio con Valentino, la Rambova (Rudy era intanto morto nel 1926 per un attacco di peritonite) si trasferì in Spagna dove sposò, nel 1934, Alvaro de Urzaiz[33], un nobile spagnolo. 

Nel 1936 Natacha effettuò un lungo viaggio in Egitto, durante il quale conobbe e frequentò Howard Carter, affinando la sua passione per l’egittologia prima di rientrare definitivamante negli Stati Uniti, nel 1939, dove si dedicò, con particolare passione, alle antiche religioni studiando, per un breve periodo, presso l’University College di Londra con Stephen Glanville[34].

Per quanto non ben noto il suo percorso di studio e collezionistico, sempre più dedicato all’egittologia, la Rambova venne accreditata come “fellowship”, nel 1946, dalla “Bollingen Foundation[35], per i suoi studi di religione e simbologia comparate su piccoli scarabei egizi.

La sua collezione privata, di oggetti, testi, fotografie, conta oggi oltre diecimila reperti che, solo recentemente, sono stati donati alla Yale University che, nell’aprile 2009, li ha esposti in una mostra dal titolo “L’Egitto di Natacha Rambova”. L’Archivio della Rambova è oggi conservato presso la stessa Università.

Ma torniamo ad Alexander Piankoff che così, nel 1955, dà alle stampe, edito da Natacha, Rambova, “The Shrine of Tut-Ankh-Amon”.

Già nel 1949 la Bollingen Foundation aveva aderito a un progetto della Rambova, per la durata di due anni, diretto da Piankoff. Tale progetto consisteva nella pubblicazione di alcuni importanti monumenti da inserire nella “Bollingen Series Egyptian Religious Texts and Representations”.

La Rambova editò, nel 1954, i primi tre volumi della serie che riguardavano la traduzione di testi della tomba di Ramses VI. Fu quindi la volta, nel 1955, di “The shrine of Tut-Ankh-Amon” e, nel 1957, di “Mythological Papyri”. La stessa Rambova contribuì, in quest’ultimo lavoro, con un suo capitolo intitolato “The Symbolism of the Papyri”. La qualità delle fotografie di monumenti e papiri contenuti in tale testo restano impareggiabili per qualità e sono ancora oggi considerati valido riferimento per lo studio della religione egizia.

E qui, direi che questo lungo articolo possa concludersi sperando di avervi annoiato il minimo indispensabile; forse il richiamo iniziale a Rodolfo Valentino vi aveva fatto sperare in qualcosa di più intrigante, o magari piccante, ma come avete visto, la storia ha sempre in serbo sorprese anche quando, e dove, meno te l’aspetti. Avreste mai pensato a una ballerina editrice ed egittologa?

Siamo partiti da un burbero Carter, dalle sue vicende e dai suoi contrasti con chi, forse, avrebbe meritato ben altro trattamento per la passione che aveva messo nelle sue attività di scoperta della KV62, per passare alla vicenda politica, e scivolare poi un po’ nel gossip e finalmente in pagine della storia della “scoperta del secolo” decisamente poco note.

A ben guardare, ad Howard Carter va certamente il grande merito, non solo di aver scoperto l’ultima dimora di Tutankhamon, ma anche quello, per la prima volta, di aver operato scientificamente, con una squadra che oggi definiremmo ,senza ombra di dubbio, multidisciplinare. Eppure, la scoperta di KV62 fu segnata per decenni da una sorta di oblio, di disinteresse, per tutto ciò che esulava dall’ammirazione pura dei tesori e delle suppellettili del faraone fanciullo esposti nei Musei. Come sopra visto, perché si giungesse a un lavoro organico per la traduzione dei testi si dovranno attendere oltre trent’anni e solo in tempi recentissimi l’attenzione si è spostata dal “quel che non c’è”[36] per focalizzarsi sulla conoscenza più approfondita possibile di quanto c’è, ed è stato rinvenuto nella tomba più piccola, ma anche più ricca, della Valle dei Re. La storia, fondamentalmente, non si fa solo con la traduzione di testi e papiri.

15/07/2023                                                                                  Giuseppe Esposito     


[1]    Samuel Paul Carter si guadagnava da vivere quale validissimo disegnatore dell “Illustrated London News”, nonché come pittore di agiati committenti inglesi. La rivista, nata nel 1842, annoverava tra i suoi autori nomi del calibro di Robert Luis Stevenson, Joseph Conrad, Arthur Conan Doyle, Rudyard Kipling e Agatha Kristie.

[2]    La capacità di Carter nel disegnare e nel dipingere, nonché di variare lo stile, a seconda dei soggetti da trattare, può essere rilevata dalle illustrazioni che realizzò per la “History of Gardening in England”, scritta da Alicia Amherst, figlia del Lord ed esperta in giardinaggio. Si tratta di immagini che, pur’ essendo disegni, sono di definizione quasi fotografica.

[3]    A circa 20 Km dalla moderna città di Minya (250 km a sud del Cairo), la necropoli di Beni Hasan è costituita da quasi mille tombe risalenti alle dinastie del Medio Regno (XI-XII), ma anche a dinastie più antiche risalenti all’Antico regno e al Primo Periodo Intermedio.           

[4]    Bob Brier, “Tutankhamun and the Tomb that Changed the World”, Oxford University Press, 2023, p. 27.

[5]    Djehutihotep, Nomarca del XV nomo dell’Alto Egitto, detto “della Lepre”, durante i regni di Amenhemat II (~1890 a.C.), Sesostri II (~1880 a.C.) e Sesostri III (~1850 a.C.), tutti della XII Dinastia,     

[6]    Brier, citata, p. 29

[7]    Nel 1894 Petrie inizia gli scavi a Naqada; in ognuna delle sepolture scavate (oltre duemila), Petrie rinviene suppellettili ceramiche lavorate a mano, non al tornio, che assume proprio quale elemento di catalogazione e di datazione delle sepolture, non solo di Naqada in senso stretto, in un metodo detto di “datazione sequenziale”. Individua, così, oltre 700 tipi di ceramica differenti che raggruppa in nove classi contrassegnate da lettere dell’alfabeto: B (Black Topped); P (Polished red); F; C (white Cross); R (Raw); L (Late); D (Dark); W (Wavy); N (Nubian).

[8]    La KV35 fu una delle prime tombe della Valle che, nel 1903, venne raggiunta, per opera di Carter, dalla luce elettrica.

[9]    Brier, citata, p. 34.

[10] È da tener presente che la KV46, prima della scoperta della tomba di Tutankhamon, KV62, era la prima rinvenuta intatta.

[11]  Saad Zaghlul (1858-1927), fu Ministro della Pubblica Istruzione nel 1906. Ministro della Giustizia nel 1910 e Primo Ministro dell’Egitto nel 1924. Arrestato, come sopra visto, nel 1918, fu liberato nell’aprile 1919 anche a seguito di violente proteste che comportarono l’uccisione di oltre ottocento egiziani. Arrestato nuovamente nel 1921 viene deportato prima ad Aden e poi nelle Seychelles. Liberato nel 1922, viene nuovamente arrestato e deportato, a Gibilterra, nel 1923; subito liberato per le pressioni popolari, viene eletto Primo Ministro nel 1924, carica che dovrà abbandonare lo stesso anno per le forti pressioni del Re, a sua volta sollecitato dagli inglesi. Nel 1926, a un anno dalla morte, viene eletto Presidente del Parlamento egiziano. Una menzione particolare merita la moglie di Zaghluli, Safiya Mustafà Fahmi, militante femminista, che cercò di porre fine alla condizione sottomessa delle donne nel Paese e che, per questo, venne soprannominata Umm al-Misriyyin, ovvero “Madre degli egiziani”.

[12] Brier, citata, p. 55.

[13] Considerando le pessime condizioni delle suppellettili, Carter, in origine, aveva stimato la possibilità di perderne tra l’80 e il 90%. Tale fu la bravura della coppia Mace-Lucas che, invece, dell’intero patrimonio della KV65, solo lo 0,25% non fu possibile salvare dalle pessime condizioni di rinvenimento. Per la prima volta, nella storia dell’archeologia, una squadra di scavo comprese anche un chimico.

[14] Durante un periodo di sospensione degli scavi, Burton frequentò a Hollywood, un corso per l’uso della cinepresa e a lui si deve forse l’unica ripresa video di Carter e Mace mentre portano alla luce del sole uno dei reperti della KV62.

[15] A lui, tanto amico di Carter da essere tra le quattro persone presenti al primo accesso alla KV62, si deve lo smontaggio degli scrigni che circondavano il sarcofago del re nella camere funeraria.

[16] Entrambi, per contrasti con Carter (a proposito del caratteraccio a cui ho accennato all’inizio di questo articolo), lasceranno la spedizione; nel caso di Foote Hall, dopo aver ultimato i disegni della sola Anticamera.

[17] A lui e ad Essie (sua moglie) si deve il recupero dei tessuti rinvenuti nella tomba, ivi compreso il grande velo che ricopriva gli scrigni della camera funeraria. Per inciso, fu proprio Percy Newberry ad “accompagnare” il giovanissimo Carter nel suo prima viaggio per l’Egitto a diciassette anni.

[18] Fu il primo statunitense a laurearsi in egittologia e il primo ad essere titolare, nel 1905, della cattedra di Egittologia presso l’Università di Chicago; suoi erano, prima del 1922 gli unici due testi di storia dell’Antico Egitto: “Ancient Records of Egypt” (in 6 volumi) e “History of Egypt” (600 pagine), in cui allo sconosciuto Tutankhamon era riservata solo meno di mezza pagina. Per undici anni viaggiò, da solo, per l’Egitto per tradurre testi nei luoghi più nascosti e spesso pericolosi.

[19] L’ “Egyptian Grammar”, pubblicata nel 1927, è oggi considerata ancora la Bibbia per gli studiosi di geroglifici. Anche in questo caso il rapporto tra Gardiner e Carter non fu mai idilliaco tanto che Carter, riferendosi a Gardiner, ebbe modo di dire “più lo conosco e meno mi piace”. Tale rapporto, non ideale, sarà alla base proprio del collegamento tra Tutankhamon e Rodolfo Valentino che dà il titolo a questo articolo.

[20] Brier, citata, p.64. Testo di Roger Lewis (1885-1948), musica di Lucien Denni (1886-1947) e cantata da Leo Fitzpatrick (per chi fosse curioso di ascoltarla: https://m.youtube.com/watch?v=-wCze__MSZs).

[21] Brier, citata, p. 78 (traduzione dall’inglese dell’autore).

[22] Brier, citata, p. 80.

[23] L’art. 9 dell’accordo prevedeva che gli oggetti rinvenuti in una tomba “intatta” sarebbero stati proprietà esclusiva dell’Egitto, ma lo scontro verteva proprio sul concetto di “intatta”. Poiché la KV62 era stata oggetto di ruberie nel corso dei millenni, poteva ritenersi tale? L’art. 10 precisava, infatti, che se la tomba non fosse stata intatta, il Servizio delle Antichità avrebbe avuto diritto di scelta degli oggetti da trattenere (per valore storico e archeologico) e avrebbe concesso la possibilità di suddividere i restanti.

[24] Carter aveva concordato per Callender una paga di 50 £ a stagione; quando la seconda stagione era terminata prima del previsto, per i citati screzi con il Governo, Carter si era rifiutato di pagare se non la percentuale per il periodo effettivamente svolto. Si era quindi sollevata una causa legale che vedeva contrapposti gli ormai ex- amici.

[25] Reginad “Rex” Engelbach (1888-1946), autore, tra gli altri, di “The Aswan Obelisk” (1922), sull’”incompiuto di Aswan”, e di “The problem of the obelisks” (1923) sui metodi di innalzamento degli obelischi. Fu direttore del Museo Egizio del Cairo e il suo nome è legato alla prima catalogazione di tutti i reperti ivi musealizzati.

[26] Brier, citata, p. 127.

[27] Alexandre Piankoff (1897-1966), allievo a Parigi di Kurth Sethe (1869-1930) e Adolf Erman (1854-1937), si diploma in turco, arabo e farsi, conseguendo poi il dottorato in filologia con Etienne Drioton (1889-1961). A lui si devono le traduzioni dei testi più importanti della religione egizia: “Libro delle Porte”; “Libro dell’Amduat”; “Libro delle Caverne”; “Le Litanie di Ra”; i libri “del giorno” e “della notte”, “Libro delle Vacca Celeste”.

[28] Fëdor Michajlovič Koslov (1882-1956), ballerino, attore, coreografo. Raggiunti gli Stati Uniti nel 1917 conobbe Cecil B. DeMille che gli fece firmare un contratto. Il primo film, con scenografie e costumi di Natacha Rambova (ma entrambe accreditate allo stesso Koslov), fu “L’ultima dei Montezuma”.

[29] Alla Nazimova, pseudonimo di Marem-Ides Adelaida Jacovlevna Leventon (Jalta 1879-Los Angeles 1945). Notoriamente lesbica, si circondò di giovani attrici esordienti; colpita dalla personalità e dalle capacità di Natacha Rambova, la fece entrare nel mondo del cinema come scenografa e costumista del film “La Signora delle Camelie” (1921) e “Salomè”, tratto dal testo di Oscar Wilde (1923)

[30] Rodolfo Pietro Filiberto Raffaello Guglielmi (Castellaneta 1895- New York 1926), raggiunse l’America nel 1913 e iniziò la sua carriera come “taxi dancer”, ovvero come partner a pagamento. Trasferitosi a Hollywood, fu assunto come comparsa prima di diventare protagonista del film “I quattro cavalieri dell’Apocalisse” (1921) con cui iniziò la sua folgorante, ma breve, carriera di attore.

[31] Il matrimonio avvenne a Mexicali il 14 marzo 1922, ma dopo otto giorni, Rodolfo Valentino che aveva divorziato dalla moglie precedente, l’attrice Jean Acker, verrà arrestato per bigamia. Per la legge americana del tempo, infatti, un divorziato poteva contrarre un altro matrimonio solo dopo un anno dall’avvenuta sentenza.

[32] Tra il 1942 e il 1943 scriverà articoli, considerati di ottimo livello, per la rivista statunitense “American Astrology” spaziando dalla fisica alla metafisica, alla cosmologia, all’alchimia, alla mitologia, alla teosofia, al simbolismo comparato.

[33] Di fervente fede franchista, i due rischieranno la fucilazione durante la Guerra Civile Spagnola (1936-1939).

[34] Stephen Ranulph Kingdon Glanville (1900-1956), egittologo, insegnò all’University College dal 1935 al 1946 e all’Università di Cambridge dal 1946 al 1956. 

[35] Bollingen Foundation, fondata nel 1945, era una casa editrice universitaria che cessò la sua attività, dopo aver pubblicato oltre 250 testi, nel 1968. I titoli divennero proprietà della Princeton University Press.

[36] In un’intervista alla BBC del 1949, Alan Gardiner ebbe a sottolineare come la scoperta della tomba di Tutankhamon avesse aggiunto “ben poco alla nostra conoscenza della storia del periodo” (N. Reeves, “The Complete Tutankhamun”, ed. 2022, Thames & Hudson, p 15)

Lascia un commento