E' un male contro cui lotterò

GLI INGREDIENTI DELLA MEDICINA EGIZIA

Di Andrea Petta

ACACIA

«šnt» («scenet») o «šnḏt» (scenedet»)

L’acacia era un prezioso aiuto per i medici egizi. Le foglie macerate in acqua o birra venivano utilizzate per combattere i vermi, come rimedio per le gambe gonfie, per la preparazione di colliri, per il trattamento della psoriasi e come antidiarroico.

Noi l’abbiamo incontrata nel nostro “viaggio” specificatamente come cura per il tracoma, come antiemorroidario (sfruttandone le proprietà lenitive) e perfino come componente di un tampone anticoncezionale, sfruttandone il pH acido.

La resina dell’acacia era invece usata come “film” protettivo in caso di ustioni.

Da notare che l’acacia è utilizzata tuttora dalla medicina tradizionale anche nel trattamento del prolasso uterino e di quello rettale.

Il suo nome lo troviamo con due ortografie diverse (probabilmente per le note ragioni di praticità e spazio sui papiri), entrambe con il simbolo Gardiner M1, simboleggiante un albero, ad indicare che si sta parlando di una pianta.

ASPIRINA (SALICE/ACIDO SALICILICO)

«trt» («tjeret»)

Gli antichi egizi conoscevano l’aspirina?

Difficile da dire con certezza. Nel Papiro Ebers si fa riferimento ad un estratto di una parte sconosciuta del salice per “dare pane  nutrimento) al cuore”.

Non sappiamo però con sicurezza se lo scopo fosse effettivamente somministrare dei salicilati estratti dalla corteccia del salice, in particolare delle specie Salix purpurea e Salix fragilis che sono ricche di salicina, un glucoside ossidato ad acido salicilico direttamente nel corpo umano.

Il fatto però che il salice, o parti di esso, fosse indicato anche per la “debolezza dei sinu (=vasi)” e per le otiti la rende un’ipotesi affascinante.

BIRRA

henket

Dal momento che la birra, così diffusa nell’Antico Egitto fin dalla preistoria, era usata come parte del salario del lavoratore, il suo determinativo è una specifica giara usata soltanto per questa bevanda (Gardiner W22). La giara per la birra doveva contenere una quantità ben precisa di liquido (la “misura”) ed era controllata dai funzionari statali per evitare frodi.

Il suo consumo è attestato fin dall’Epoca Predinastica, ed il valore ad essa dato è evidenziato dalle centinaia di giare sepolta nella tomba del Re Scorpione.

Veniva spesso utilizzato come “vettore” per molti medicamenti

CIPOLLA

«ḥḏw» («hedju»)

La cipolla (Allium cepa) è uno dei vegetali più “antichi” di cui abbiamo traccia nella storia millenaria dell’Egitto faraonico, essendo già riportata nell’Antico Regno durante la V Dinastia.

Della cipolla i medici egizi sfruttavano le proprietà antibiotiche, diuretiche ed espettoranti. Il liquido ottenuto schiacciando i bulbi veniva usato anche come antispastico e per regolarizzare il flusso mestruale, un’indicazione ripresa pari pari da Ippocrate e tramandata per secoli.

Ricordiamo anche che veniva usata come “prova” della fertilità di una donna (vedi https://laciviltaegizia.org/…/fertilita-gravidanza-e…/).

Scritto con diverse grafie (questa è la più frequente), è possibile che il termine hedju possa indicare anche l’aglio nei papiri medici, in quanto il termine normale per l’aglio (“kheten”) non vi compare mai.

DATTERI (Phoenix dactylifera)

«bnr» («bener»)

I datteri, ossia le bacche della Phoenix dactylifera, sono tra gli alimenti più antichi conosciuti. Ricchi in potassio, vitamine e sali minerali, nonché con un alto contenuto di zuccheri, il “pane del deserto” era consumato fin dall’epoca predinastica in Egitto. Si usava la bacca fresca, quella disidratata, la farina che se ne ottiene, l’infuso in acqua o vino ed era ampiamente coltivata nei giardini delle case e dei templi egizi.

Da un punto di vista medico, rientra in moltissime prescrizioni – probabilmente più per il senso di benessere indotto dagli zuccheri assunti, visto che si tratta di una vera e propria panacea usata dai medici egizi.

Lo troviamo infatti usato fresco per i problemi urinari, come farina addensante negli sciroppi contro la tosse, per evitare la caduta dei capelli, come antiparassitario, come sostegno per il cuore affaticato, contro i blocchi intestinali, per favorire le contrazioni uterine durante il parto (sfruttando una sostanza simile all’ossitocina che riduceva anche l’emorragia dopo il parto) – ma anche, come abbiamo visto, come anticoncezionale applicato come tampone vaginale.

L’importanza dei datteri era tale che, secondo alcuni studiosi, il nome stesso deriverebbe da quello del Benu, l’uccello sacro a Ra, simbolo della rinascita in quanto guida dei defunti nell’oltretomba (si veda al riguardo: https://laciviltaegizia.org/2021/02/02/il-benu/). Per le bacche il determinativo usato è il Gardiner M30, che indica la loro caratteristica principale: “dolce”.

GIUGGIOLO (Ziziphus spina-christi)

«nbs» («nebes»)

Il giuggiolo “spina di Cristo” è noto nella cultura cristiana principalmente perché, secondo la tradizione, i suoi rami spinosi sarebbero stati usati per formare la corona di spine posta sulla testa di Gesù. Addirittura la tradizione identifica in una pianta precisa, tuttora in vita nella parte meridionale di Israele, la fonte originale di tali spine.

Nella cultura beduina e nubiana, dove si chiama sidr, i suoi frutti e l’estratto delle foglie sono tuttora usati come farmaci in caso di malessere e febbre.

I rami spinosi del giuggiolo

Di sicuro il giuggiolo era noto e ampiamente coltivato nell’Egitto faraonico, tanto che il pane di nebes era tra le offerte rituali per i defunti.

Il giuggiolo viene menzionato in ben 33 prescrizioni dei papiri medici, soprattutto utilizzando le foglie ma anche la polpa dei frutti o la sua corteccia. Nel Papiro Ebers e nel Papiro Hearst diventa il farmaco che “guarisce ogni male di cui un uomo possa soffrire…in particolare ogni gonfiore” (Ebers 536, Hearst 134), mentre il pane di nebes, macerato in acqua, veniva posto sulle ferite ed i traumi in generale.

La cosa straordinaria è che studi recenti, con i moderni strumenti di analisi, hanno dimostrato la presenza (soprattutto nelle foglie di giuggiolo) di diverse sostanze anti-infiammatorie ed anti-tumorali, individuando il fattore di trascrizione (ossia la proteina che legandosi al DNA stimola la produzione di fattori infiammatori) inibito dagli estratti di questa pianta.

Una volta ancora i medici egizi avevano individuato empiricamente dei principi attivi che sono “sopravvissuti” nella medicina tradizionale fino a noi.

MIELE

“bit”

Il miele d’api è probabilmente l’ingrediente più usato nelle prescrizioni egizie, sia applicato esternamente che nei rimedi presi per bocca. Poteva essere utilizzato come “veicolo” per altri principi attivi, sfruttando la sua dolcezza, oppure come principio attivo esso stesso.

Composto principalmente da glucosio e fruttosio, era il principale dolcificante in una società che non conosceva lo zucchero di canna o quello di barbabietole. Ma gli zuccheri componenti ne innalzano soprattutto l’effetto osmotico, rendendolo un potente battericida e fungicida.

Come abbiamo visto, veniva usato anche nelle ferite aperte proprio per questo motivo, un effetto accelerante della guarigione di ferite, ustioni ed ulcere riscoperto negli ultimi decenni e dimostrato in studi scientifici moderni.

Al simbolo Gardiner L2, quello dell’ape, veniva aggiunto il simbolo W22 (solitamente usato per la birra) per indicare che si sta parlando del loro “prodotto”, conservato in questi contenitori, solitamente da 450 ml (= 1 “henu”).

NINFEA

“sšn» («seshen»)

Il termine “seshen” può indicare indifferentemente la Nymphaea caerulea (ninfea azzurra o, impropriamente, loto blu), la Nymphaea lotos (ninfea bianca o, impropriamente, loto bianco) e la Nelumbo nucifera (il loto vero e proprio), anche se gli studiosi non sono concordi. Va sottolineato per l’ennesima volta, però, che fino all’invasione persiana l’Egitto faraonico conosceva SOLO il genere Nymphaea – quindi tutti i riferimenti al “loto” antecedenti al 525 BCE ed alla XXVII Dinastia sono in realtà riferimenti alla ninfea. La svista colossale è dovuta ad una certa ignoranza botanica dei primi archeologi inglesi (“Sembra come se i botanici da un lato abbiano ignorato gli archeologi, e questi a loro volta non apprezzino le distinzioni botaniche”, Spanton 1917)

In campo medico, il Papiro Ebers comprende l’utilizzo del “khau” di ninfea in diverse preparazioni, lasciato in infusione con vino o birra; oggi sappiamo che solo il fiore ed il rizoma contengono ben quattro alcaloidi narcotici, per cui si tende ad interpretare “khau” come il fiore e a considerare il vino “aromatizzato” con i fiori di ninfea come una droga allucinogena.

L’utilizzo era prescritto per “un’ostruzione del lato destro del ventre” (Ebers 209) o per il “trattamento del fegato” in caso di ittero (Ebers 479). Il Papiro Chester Beatty VI lo prescrive anche come clistere.

Una curiosità: il termine venne mantenuto anche nella lingua copta (šōšen) ed in quella ebraica (šōšannā) arrivando fino a noi nel nome Susanna.

TOPO

«pnw» («penu»)

E cosa ci fanno i topi tra gli ingredienti delle prescrizioni egizie?

Il Papiro Hearst li cita come rimedio per prevenire l’ingrigire dei capelli (Hearst 149) – vedi https://laciviltaegizia.org/…/la-cura-del-corpo-i-capelli/ – cuocendoli nell’olio, anche se non specifica bene il modo di applicarli sullo scalpo del malcapitato.

Ma se pensate che sia una cosa raccapricciante e legata all’ignoranza dei medici egizi, sappiate che i topi ricorreranno per millenni nei “rimedi” medici almeno fino al 1747, quando John Wesley, prete anglicano fondatore del metodismo, si lanciò in un’opera temeraria intitolata “Primitive physic”, a cavallo tra scienza (poca) e teologia (tanta), in cui suggerì come rimedio per la tosse dei bambini di “Acchiappare un topo, ucciderlo, metterlo nel forno e cuocerlo finché non sia ridotto a cenere; dopodiché toglierlo dal forno e mettere la cenere in una scodella di latte da far bere al bambino”.

Il volume fu un vero bestseller del XVIII secolo in Inghilterra, tanto che lo trovate ancora su Amazon (https://www.amazon.com/Primitive-Physic…/dp/1592442587) se volete sperimentare i suoi rimedi naturali…

VINO

“irp”

Il vino è comparso dopo nelle abitudini alimentari egizie, probabilmente all’inizio del periodo dinastico con gli scambi commerciali con l’attuale Palestina. Prodotto nella zona del Delta, rimase costoso per le classi meno abbienti. L’unità di misura era lo “hin” corrispondente a circa mezzo litro. Il determinativo in questo caso è una doppia giara, Gardiner W21.

Anche il vino venne utilizzato come liquido per preparare dei medicamenti, riservati ovviamente alle persone più facoltose

IN AGGIORNAMENTO

Fonti ulteriori, oltre alla bibliografia principale:

  • Allen, James P. Middle Egyptian: An introduction to the language and culture of hieroglyphs. Cambridge University Press, 2000
  • Secco, Livio. “Dizionario egizio-italiano, italiano-egizio.” Kemet, 2016.
  • Gardiner, Alan H. “Egyptian grammar. Being an intr. to the study of hieroglyphs.” (1969).
  • Gardiner, Alan H. “The House of Life.” The Journal of Egyptian Archaeology, vol. 24, no. 2, 1938, pp. 157–79.

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