C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XX Dinastia

IL FARAONE RAMSES V

Di Piero Cargnino

Salito al trono alla morte del padre, Ramses V, il cui nome completo era Usermaatra-Sekhepenra Ramses-Amon(her)khepshef, ebbe un regno breve, forse non più di quattro anni. Questo lo si deduce dal Papiro Wilbour redatto nel quarto anno del suo regno. Il papiro, di cui parleremo in seguito, oggi è custodito al Brooklyn Museum; rinvenuto sull’isola di Elefantina, venne acquistato dall’egittologo e giornalista statunitense Charles Edwin Wilbour durante un suo viaggio ad Assuan.

A parte la sua tomba, la KV9 (dalla quale fu espulso perché la sua tomba fu usurpata dallo zio Ramses VI) nella Valle dei Re, sono scarsi i reperti che ci parlano di Ramses V, alcuni scarabei, una stele ed alcune iscrizioni su di un piccolo obelisco. Questo non è un buon periodo per l’Egitto, aumenta l’instabilità interna causata principalmente dal fatto che erano state fatte delle donazioni eccessive al clero tebano che, per di più era pure esentato dal fisco, questo stava assumendo un’autorità sproporzionata forse pari a quella regale.

A questo periodo risale il suddetto papiro Wilbour, un documento lungo oltre 10 metri, nel quale vengono trattate questioni fiscali e terriere, contiene i rilevamenti topografici di un territorio di oltre 95 miglia di terreni sui quali doveva pesare la tassazione e, dove permesso, le esenzioni. Da ciò emerge in che misura i sacerdoti di Amon controllassero il territorio egiziano influenzando in modo prepotente le finanze del Regno.

Dal papiro emerge quanto era grande il potere del sommo sacerdote di Tebe Ramessenakht (Primo profeta di Amon) e del figlio Usimarenakhte capo degli esattori del fisco. La casta sacerdotale assume sempre maggior potere a scapito del faraone tanto che non si riesce più a capire a chi venivano pagate le tasse. Spesso gli operai che lavoravano alla tomba reale non ricevevano più le razioni dovute ciò a causa della scarsità dei proventi delle tasse che finivano principalmente nelle casse del grande sacerdote di Amon-Ra del tempio di Kanak.

Come se ciò non bastasse un’idea di quanto fosse già in fase avanzata la decadenza dell’Egitto ed a che livello di corruzione si era ormai giunti, ce la fornisce il Papiro 1887 di Torino (Papiro degli scandali di Elefantina), che parla di uno scandalo finanziario verificatosi durante il regno di Ramses V e che vide coinvolti il sacerdote Pen-Anqet, detto Sed, capo dei sacerdoti del tempio di Khnum a Elefantina, e alcuni altri sacerdoti suoi complici che giunsero al punto di vendere i bovini sacri al dio. Nel papiro viene riportato:

Il papiro rivela poi che lo stesso Pen-Anqet violentò due donne sposate durante un suo viaggio a Tebe:

Altri reati quali furti di oggetti di proprietà del tempio, imputabili al sacerdote, sono elencati nel papiro dove si dice che, a chi non era d’accordo con lui, faceva tagliare le orecchie e cavare gli occhi. Non si sa quale sia stato l’esito del procedimento contro il sacerdote.

Il Papiro 2044 di Torino invece ci fornisce il resoconto di un’incursione di predoni libici i quali avrebbero assalito la città di Per-Nebyt e bruciato gli abitanti e di un’altra incursione al villaggio operaio di Deir el-Medina dove gli operai furono costretti ad interrompere i lavori alla tomba KV9 di Ramses V e gli abitanti a fuggire poiché gli invasori libici bruciavano vivi gli abitanti delle città sottomesse.

Durante il suo breve regno, Ramses V ebbe due Grandi Spose Reali, Henutwati e Tauerettenru nonostante non sia documentato. Sono considerate Spose Reali solo per il fatto che il loro patrimonio viene citato nel Papiro Wilbour che le colloca molto vicino alla casa reale. In ogni caso questo faraone non ebbe figli.

Alla sua morte la tomba predestinata era la KV9 ma il sovrano non venne sepolto subito. Su di un ostrakon si apprende che Ramses V venne sepolto soltanto nel secondo anno di regno del suo successore. Un ritardo decisamente inspiegabile in quanto il rito prescriveva che il faraone venisse mummificato e inumato nel giro di 70 giorni dalla propria morte e dall’ascesa del successore. Una spiegazione potrebbe essere quella che viene riportata nel Papiro 1923 di Torino, secondo quanto scritto pare che solo dal secondo anno del regno di Ramses VI la situazione tornò alla normalità una volta scacciati gli invasori libici ed a Tebe e dintorni si sarebbero potuti svolgere regolarmente i riti funebri per il sovrano. La cosa ha sollevato molti dubbi negli studiosi, l’Egitto aveva attraversato periodi peggiori ma non era mai stato riscontrato che dopo la morte il sovrano non sia stato regolarmente sepolto nella sua tomba.

Con il ritrovamento nel 1898, da parte di Victor Loret, della mummia di Ramses V nella cachette di Amenhotep II (KV35), è stato possibile effettuare studi approfonditi sul corpo del faraone rinvenuto completamente intatto. Non appena sbendata la mummia quello che videro gli studiosi li lasciò sorpresi e sbigottiti.

Appena sbendata, la mummia mostrò la terribile realtà, Ramses V era morto di vaiolo. Le tracce del vaiolo erano ben presenti dai numerosi segni di rash cutaneo vaioloso sul corpo del faraone: il volto, infatti, era sfigurato da lunghi solchi e le guance erano completamente rovinate; il corpo presentava inoltre un’ernia scrotale mai curata. Il vaiolo, oggi dichiarato scomparso, ha attestazioni antichissime ma il primo caso documentato della storia che possiamo ancora oggi osservare e studiare è appunto quello del faraone Ramses V che risale addirittura al XII secolo a.C..

Subito sono portato a pensare che il tempo trascorso prima della sua inumazione potrebbe essere dovuto alla paura del contagio, questo non lo possiamo sapere anche perché non penso che il vaiolo fosse una malattia molto conosciuta in Egitto e tanto meno che fosse ritenuta contagiosa. A riprova è il fatto che Ramses V venne comunque imbalsamato altrimenti non poteva durare un paio d’anni.

A proposito di vaiolo mi torna in mente quanto è riportato nel suddetto Papiro 2044 di Torino quando racconta che i predoni libici usavano bruciare vivi gli abitanti delle città sottomesse, non sarà che per caso essi conoscessero la malattia, che magari era già diffusa, e, onde evitare di contagiarsi, bruciassero i nemici?  Il Papiro 2044 di Torino ci fornisce il resoconto di un’incursione di predoni libici i quali avrebbero assalito la città di Per-Nebyt e bruciato gli abitanti e di un’altra incursione al villaggio operaio di Deir el-Medina dove gli operai furono costretti ad interrompere i lavori alla tomba KV9 di Ramses V e gli abitanti a fuggire per non essere bruciati vivi.

Durante il suo breve regno, Ramses V ebbe due Grandi Spose Reali, Henutwati e Tauerettenru nonostante non sia documentato. Sono considerate Spose Reali solo per il fatto che il loro patrimonio viene citato nel Papiro Wilbour che le colloca molto vicino alla casa reale.

In seguito Ramses V venne collocato nella KV9 ultimata, seppur in maniera limitata, dove rimase solo fino alla morte del suo successore Ramses VI che aveva deciso di usurparla all’atto della sua morte. Nulla permette di stabilire con certezza se Ramses V sia stato sepolto in questa tomba per essere poi traslato in un’altra o se sia rimasto anche dopo la morte di Ramses VI condividendola con lo zio per qualche tempo. Comunque le loro mummie vennero rinvenute entrambe nella KV35.

Anche la KV9, come molte altre, era conosciuta già in tempi antichi, a dimostrarlo ci sono 995 graffiti, sparsi in tutta la tomba, risalenti all’epoca greco-romana e copta. In ogni caso la tomba venne violata già durante la XX dinastia, questo compare sui papiri Mayer contenenti atti di procedimenti giudiziari, sul recto del Papiro Mayer B, scritto in ieratico, mancante dell’inizio e della fine, si parla di un furto avvenuto nella tomba del re Ramses V, vengono nominati cinque ladri che però non è possibile identificare.

In epoca più recente vennero fatti alcuni rilievi da Richard Pococke nel 1717/38 e venne rivisitata poi dagli studiosi al seguito di Napoleone nel 1799. In quanto ai rilevamenti epigrafici dobbiamo aspettare la spedizione franco-toscana di Ippolito Rosellini mentre gli scavi sistematici inizieranno solo nel 1888 ad opera di Georges Daressy, seguiranno i rilevamenti di Alexandre Piankoff nel 1958. Nella sua campagna del 1998/2000, Adam Lukaszewicz si dedicò principalmente allo studio dei graffiti greco-romani.

Dal punto di vista architettonico la tomba KV9 non differisce in modo significativo dalle classiche tombe della XX dinastia. Anche questa inizia con corridoi rettilinei successivi che portano ad una camera con quattro pilastri percorsa da una rampa priva di scale, seguono altri due corridoi.

E qui assistiamo ad un fatto insolito, il secondo corridoio si presenta con il soffitto orizzontale mentre il pavimento è in discesa, vi chiederete perché? Perché a questo punto gli operai si accorsero che se avessero proseguito in orizzontale avrebbero sconfinato nella tomba sovrastante, la KV12 (il cui titolare è sconosciuto). In tal modo la rampa passa sotto la KV12 e finisce in un corridoio che porta alla camera funeraria.

Questa si presenta con il soffitto a volta sorretto da quattro pilastri all’inizio, di cui solo due ultimati, è evidente che la camera non fu mai ultimata infatti sul fondo si scorgono altri quattro pilastri solo abbozzati che emergono dalla roccia ma mai completamente liberati. Nel pavimento della camera funeraria si trova una fossa che avrebbe dovuto accogliere il sarcofago ma che anche questa non venne finita, in un secondo tempo venne adattata ad accogliere un sarcofago in conglomerato verde che fu distrutto già in tempi antichi. Una parte di esso è giunta fino a noi e rappresenta il volto di Ramses VI, oggi è conservata al British Museum.

Vennero trovati anche altri residui di un sarcofago antropomorfo privo di iscrizioni che si presume sia appartenute ad altre sepolture postume. Va detto che spesso non tutto il male vien per nuocere, avendo dovuto variare la profondità della camera funeraria per evitare di intercettare la KV12, la mole di lavoro aumentò per cui fu necessario ricorrere ad altri operai che si sistemarono con le loro capanne nello spiazzo antistante l’ingresso, proprio nel punto dove si trovava l’ingresso, non più visibile, della tomba KV62, quella di Tutankhamon, al termine dei lavori nello spiazzo rimase un mucchio di detriti. Grazie proprio a questa disattenzione la tomba KV62 di Tutankhamon sopravviverà per millenni ad aspettare l’arrivo di Howard Carter nel 1922.

In ogni caso nonostante fosse già visitata fin dall’antichità, pesantemente segnata dagli innumerevoli graffiti e da alcuni danni di scarsa entità causati da infiltrazioni di acqua, la tomba è ancora in grado di presentarci le sue stupende decorazioni, sia dipinte che in alto e bassorilievo, le quali si sono conservate in ottimo stato.

Nelle decorazioni viene data particolare importanza al culto del dio Ra, compaiono capitoli del Libro delle Porte, del Libro delle Caverne oltre a numerosi capitoli dell’immancabile Libro dei Morti, del Libro della Notte e del Libro del Giorno. La camera funeraria presenta parecchi capitoli del Libro della Terra con il re defunto in compagnia di altre divinità e la resurrezione di Osiride. Nel soffitto astronomico sono rappresentati capitoli del Libro dei Cieli oltre ad una duplice raffigurazione della dea Nut e delle ore del giorno e della notte. Curiosamente tra gli scarsi reperti rinvenuti nella tomba è stata trovata una moneta risalente all’imperatore romano Massimiano.   

Fonti e bibliografia:

  • Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alan Gardiner e  R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
  • Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”,  Verona, Mondadori, 1980
  • Nichelas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
  • Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
  • Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
  • Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
  • Erik Hormung, “La Valle dei Re”, trad. di Umberto Gandini, ET Saggi, Torino, Einaudi, 2004

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