C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XVIII Dinastia

LA REGINA AHMOSE NEFERTARI  (O AHMES NEFERTARI)

Di Piero Cargnino

Abbiamo parlato di Ahmose I, mi pare quindi doveroso a questo punto fare una breve digressione dal discorso principale per parlare di una delle donne più influenti della XVIII dinastia, la regina Ahmose Nefertari (o Ahmes Nefertari), la Grande Sposa Reale di Ahmose I, entrambi figli di Seqenenra Ta’o e della  Grande Sposa Reale Iahhotep (o Ahhotep I).

La coppia reale ebbe cinque  figli i cui nomi denunciano una scarsa fantasia da parte dei genitori, tre maschi: Ahmose Ankh, rappresentato con la madre su una stele trovata a Karnak, Ahmose Siamon la cui mummia è stata ritrovata nella cachette di Deir el-Bahari, Amenofi che succederà al padre sul trono, e due femmine: Ahmose Meritamon che sposerà il fraello  Amenofi I divenendo la “Grande Sposa Reale”, Ahmose Sitamon che verrà anche lei trovata nella cachette di Deir el-Bahari.

Non è certo se fossero anche figli di Ahmose I e di Ahmose Nefertari  il principe Ramose la cui statua si trova oggi al Museo di Liverpool e Mutnofret che andrà sposa a Thutmose I.

La regina Ahmes Nefertari poteva vantare numerosi titoli nobiliari: “Principessa ereditaria”, “Grande di Grazia”, “Grande di lodi”, “Madre del re”, “grande sposa reale”, “Sposa del dio”, “Unita alla Corona bianca”, “figlia del re”, “Sposa del dio”, “figlia del re” ed in seguito acquisì anche quello di “Dea di Resurrezione”. Tutti questi titoli davano alla regina un ruolo di primaria importanza nell’ambito della religione.

Quando nel suo diciottesimo (o ventiduesimo) anno di regno, Ahmose assunse anche la carica di “Secondo Profeta di Amon”, dotò la propria moglie  Ahmes Nefertari di terre, beni e amministratori che la seguivano; In un secondo tempo conferì la carica alla regina attribuendole anche il titolo di “Divina Sposa di Amon” e di “Divina Cantatrice di Amon”. Non si può certo dire che Ahmose I non amasse la moglie.

Con tutti quei titoli che poteva vantare  Ahmes Nefertari era divenuta la  responsabile di tutte le proprietà templari e dei relativi tesori, botteghe e amministrazioni. Creò le “Divine Spose di Amon” dotandole di un immenso patrimonio in terre, granai, scribi, artigiani, contadini compresi gli amministratori. Su di una stele dove si commemora l’investitura della regina a “Secondo Profeta di Amon” essa compare in compagnia del fratello suo e di suo marito, il principe Ahmose Sipair che però morì prima di salire al trono.

Alla morte di Ahmose I svolse il ruolo di reggente per il figlio Amenofi I, il suo nome compare su molti monumenti a Sais e a Tura. Quando si spense, un anno dopo il figlio Amenofi I (secondo alcuni cinque anni dopo), venne divinizzata e adorata a Tebe e a Deir el-Medina e fu oggetto di tributo speciale da parte degli operai che vivevano nel villaggio. Il culto della regina Ahmose Nefertari continuò fino all’inizio del I millennio a.C., basti pensare che la regina, chiamata “Signora del Cielo e dell’Occidente”, compare dipinta in oltre 50 tombe private e 80 monumenti. Venne, con ogni probabilità sepolta nella necropoli di Dra Abu el-Naga dove fu trovato anche un suo tempio funerario.

Forse anche la sua mummia venne inumata nella cachette di Deir el-Bahari dove nel 1881 fu trovata una mummia senza nome che non presentava particolari dettagli identificativi, questa venne attribuita ad Ahmose Nefertari anche se la sua identità è molto dibattuta. Nel 1885 l’egittologo Emile Brugsch la sbendò ma il fetore che emanava era tale per cui Brugsch la fece nuovamente inumare sotto il Museo del Cairo. Alcuni anni dopo venne esaminata dall’anatomista G. Elliot Smith, le cui conclusioni furono che si trattava di una donna sulla settantina, alta 1 metro e 61 centimetri, quasi calva e mancante di una mano, sicuramente asportata dai profanatori per recuperare gli anelli. Esaminata a fondo si può dire che, anche qualora non si tratti di Ahmose Nefertari, si tratta ugualmente di una nobildonna del suo periodo.

Fonti e bibliografia:

  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Laterza, Roma-Bari, 2005  
  • G. Elliot Smith, “The Royal Mummies, Duckworth Egyptology”, 1912 (ristampa 2000)
  • Giampiero Lovelli, “Ahmose I : il faraone che scacciò gli Hyksos dall’Egitto”, articolo da Storie di Storia, 2017
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani 2003
  • Kim Ryholt, “The Political Situation in Egypt during the Second Intermediate Period”, Copenhagen, Museum Tusculanum Press, 1997
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XVIII Dinastia

IL FARAONE AHMOSE E LA CACCIATA DEGLI HYKSOS

Di Piero Cargnino

Raggiunta la maggiore età, Ahmose sale al trono divenendo a tutti gli effetti il primo faraone della XVIII dinastia.

Pur essendo uno dei faraoni più importanti, di lui conosciamo ben poco e quello che conosciamo ci è pervenuto dalle iscrizioni presenti nelle tombe di due suoi soldati, probabilmente generali del suo esercito, Ahmes figlio di Abana e Ahmes Pennekhebet.

Intorno alla sua figura regna una certa confusione creata da Giuseppe Flavio il quale traducendo Manetone riferisce che a cacciare gli Hyksos fu un re di nome Misphragmuthosis salvo poi trasformarne il nome in Tethmosis inducendo erroneamente a pensare alla figura di Thutmose.

Manetone gli assegna 25 anni di regno che paiono confermati da un graffito rinvenuto nelle cave di Maasara che riporta il 22° anno di Ahmose.

Salito al trono, dopo la reggenza della madre, Ahmose riprese subito le ostilità e col suo esercito marciò su Avaris dove in luogo di Apophis ora governava il sovrano Hyksos Khamudi. Khamudi è l’unico sovrano della XV dinastia a comparire nel Canone Reale, alla riga 10 colonna 20, di lui sono noti anche due sigilli scarabei, entrambi provenienti da Gerico.

Un altro sigillo, forse proveniente da Byblos, porta un’incisione che parrebbe “Khamudi”. Di parere contrario Kim Ryholt secondo il quale l’incisione va letta “Kandy” riferito ad un re sconosciuto.

Dalle iscrizioni ritrovate nelle tombe sopra citate, si apprende che Ahmose si scagliò subito contro Menfi ed Eliopoli che riconquistò senza quasi combattere. Poi puntò a nord verso Avaris, qui non fu necessario porvi l’assedio in quanto gli occupanti si arresero senza che ci fossero combattimenti.

La presa di Avaris sarebbe avvenuta intorno all’undicesimo anno di regna di Khamudi (circa 1530 a.C.). Ma questo ad Ahmose non era sufficiente, il grave insulto all’onore e all’integrità dell’Egitto dovuto all’occupazione Hyksos bruciava troppo e l’unico modo per il completo riscatto, e per evitarne il ripetersi in futuro, richiedeva di estendere il controllo da parte dell’Egitto sugli asiatici del nord e dell’est.

Cacciati gli occupanti di Avaris, e “tutti” gli Hyksos presenti in Egitto, Ahmose passò il confine inseguendo le altre guarnigioni in rotta. (Ho scritto “tutti” tra virgolette, la ragione la vedremo in un momento successivo). Ultima roccaforte nella quale si rinchiusero gli Hyksos fu l’antica città di Sharuhen nel deserto del Negev. Dopo un assedio durato tre anni, l’esercito di Ahmose conquistò la città e la fece radere al suolo. L’intento di controllare l’area siro-palestinese per bloccare eventuali tentativi di nuove infiltrazioni da parte di genti semite, portò l’Egitto a scontri con i regni Mitanni ed Ittita.

Nella città di Avaris Ahmose fece costruire diversi palazzi la cui decorazione pittorica, ritrovata frammentata, si presenta stranamente eseguita con tecnica e colori  del tutto estranei alla tradizione egiziana, ricordano quelli del palazzo di Cnosso. Ma per completare l’opera occorreva anche dare una lezione ai nubiani che con gli Hyksos si erano alleati contro l’Egitto riconquistando la Nubia. Senza ulteriori indugi Ahmose si rivolse a sud ed in breve si riprese la Nubia.

La riunificazione dell’Egitto era ora completa ma per mantenerla sicura dovette ricorrere a sedare le ribellioni nel regno di Kush dove, in seguito a tre campagne militari, raggiunse l’isola di Sai, tra la seconda e la terza cateratta, delle quali assunse il controllo nominando un governatore con il titolo di “Figlio del re di Kush”, carica ricoperta da un principe reale. Pare inoltre che verso la fine del suo regno abbia inviato una spedizione punitiva anche in Fenicia.

Con Ahmose, il cui potere passa ora da “re-dio” a “re-generale”, si accentuò il contrasto interno con il clero il cui “Primo Profeta di Amon” aspirava ad assumere “de facto” il controllo dello Stato ma questo sarà un problema che vedremo in seguito.

Inizia con Ahmose I il Nuovo Regno che durerà circa 500 anni e comprenderà la dinastie dalla XVIII alla XX, secondo Manetone, e sarà il momento della massima espansione dell’influenza egizia tanto da indurre spesso a chiamarlo impero. Periodo nel quale assisteremo alla più grande riforma religiosa mai riscontrata in Egitto ad opera del faraone eretico Akhenaton, ma questa è storia che affronteremo in seguito.

Ahmose si fece edificare una “piramide” ad Abido, l’ho messa tra virgolette in quanto non si tratta di una vera piramide bensì di un cenotafio che, nonostante presenti un lato di circa 53 metri ed un’altezza, in origine, di circa 40 metri, è stata realizzata con sabbia e detriti litici poi ricoperti con pietra calcarea per renderla più stabile. Non contiene alcuna camera funeraria o corridoi a conferma della sua natura di semplice cenotafio. Oggi si presenta come una collina di detriti alta una decina di metri.

Il sarcofago di Ahmose, contenente la sua mummia, venne ritrovato nella famosa cachette di Deir el-Bahari dove fu nascosta con molte altre per preservarle dalle violazioni, oggi sono conservati al Museo di Luxor. L’esame della mummia ha rivelato che il sovrano deve essere deceduto fra i trenta ed i quaranta anni.

Come abbiamo detto sopra Ahmose cacciò gli Hyksos dall’Egitto, (tutti?), questo lo andremo a vedere nel seguito analizzando come l’evento viene trattato dagli studiosi cercando di districarci fra le numerose, e spesso contrastanti, ipotesi che in proposito sono state avanzate.

Fonti e bibliografia:

  • Gardiner Alan, “La civiltà egizia”, Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997   
  • Edda Brasciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini 2005
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke 2013
  • G. Elliot Smith, “The Royal Mummies, Duckworth Egyptology”, 1912 (ristampa 2000)
  • Giampiero Lovelli, “Ahmose I : il faraone che scacciò gli Hyksos dall’Egitto”, articolo da Storie di Storia, 2017
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori 1995
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani 2003
  • Kemet . La voce dell’Antico Egitto, “Gli Hyksos, il popolo invasore”, Web  2017
  • Kim Ryholt, “The Political Situation in Egypt during the Second Intermediate Period”, Copenhagen, Museum Tusculanum Press, 1997
Mai cosa simile fu fatta, Nuovo Regno, Templi

LA GRANDE SALA IPOSTILA

Di Franca Loi

Tempio di karnak: ricostruzione della grande sala i postila.
Questo modello è conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York

Seti I, il secondo faraone della XIX dinastia, era figlio di Ramesse I e padre di Ramesse II che volle associarsi al trono.

Bassorilievo dipinto raffigurante Seti I
Cartiglio di Seti I

Giunto al potere riorganizzò l’esercito e fronteggiò rivolte scoppiate in Siria e Palestina. Dopo diverse campagne, una delle quali lo vide impegnato ad affrontare i libici che sbaragliò, partì alla ricerca del vero nemico, gli ittiti. A Qadesh, dove ebbe luogo lo scontro, Seti riuscì ad avere ragione dei ribelli: tornò in patria con prigionieri Ittiti. Fu stipulato un trattato rimasto ignoto, di questo si accennera’ in un successivo trattato del 1268. La sua politica fu rivolta al recupero di gran parte dell’Impero lasciato da Tutmosi III; una volta rafforzate le frontiere aprì miniere,cave e pozzi.

Seti I vittorioso in battaglia rilievo di calcare.
Dettaglio del muraglione esterno della grande sala ipostila

Pago dei successi ottenuti si dedicò al restauro di tutti i templi dal Delta alla Nubia (la sua iscrizione “restaurato da Seti” compare un po’ dappertutto) e alla grande sala ipostila del tempio di Karnak progettata dal padre.

Il tempio di Karnak, dopo le piramidi, è il più imponente edificio costruito in Egitto, le sue proporzioni gigantesche esprimono la potenza di Ammone e del suo clero e nel contempo la grandezza dei faraoni del Nuovo Regno.

Ricostruzione della parte centrale della grande sala i postila a karnak.
(Ricostruzione di Chipiez)
La grande sala ipostila ha una pianta basilicale con una navata centrale sorretta da alte colonne con capitelli di papiri aperti perché questo spazio riceve la luce del sole attraverso graticci e navate con capitelli chiusi perché rimangono perennemente in ombra. Questa pianta basilicale è una innovazione della XIX dinastia che traduce in architettura il simbolismo della creazione. La stanza rappresentava cosi la palude primordiale dalla quale emerge una foresta di papiri o di loto stilizzata dalle colonne che sono quindi in stato vegetativo nelle parti buie della stanza e fioriscono nella navata centrale inondata di luce.

” tutto ciò che avevo visto a Tebe, che avevo ammirato con entusiasmo sulla riva sinistra, mi parve miserabile al confronto delle concezioni gigantesche che mi circondavano…….. nessun popolo antico o moderno ha concepito l’arte dell’architettura in scala così sublime, così vasta e grandiosa come fecero gli antichi egiziani, essi concepivano da uomini alti 100 piedi (Champollion).”

La grande sala i postila, costruita dal faraone Seti I e completata da Ramses II, è formata da 134 colonne, vicine tra di loro, decorate con capitelli a forma di papiro che creano la sensazione di vera e propria foresta di pietra rievocante la primordiale foresta di papiri.

A nord del tempio, sul muraglione esterno, Seti fece incidere rilievi che sono un inno alle sue imprese: le scene guerresche rappresentate “uniscono alle lodi del coraggio personale del re molte notizie di genuino carattere storico”.

Particolari della grande sala ipostila

Le enormi colonne della grande sala ipostila

Sarà il figlio Ramesse II ad ampliare abbellire e completare la grande sala i postila che oggi ai nostri occhi appare “una vera foresta di pietra con 134 enormi colonne di cui quelle centrali sono più alte delle altre… per la sua immensa concezione architettonica la sala i postila si può considerare la prima vera cattedrale del mondo… l’immensa foresta di colonne che rappresentava il papireto della creazione, non è fatta a misura d’uomo ma Divina”.

Il tempio di Amon-Ra nel complesso di Karnak, come apparve alla spedizione napoleonica del 1789

FONTE:

ANTICO EGITTO-MAURIZIO DAMIANO-ELECTA

L’EGITTO DEI FARAONI-FEDERICO A.ARBORIO MELLA-MURSIA

LA CIVILTÀ EGIZIA ALAN GARDINER-EINAUDI

WIKIPEDIA

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Nuovo Regno

STATUA DI SETHI I come portastendardo

Di Grazia Musso

Scisto, altezza cm 22
Da Abydos
Museo Egizio del Cairo – CG 751

Con l’ascesa al trono di Sethi I, si conclude quel processo di controriforma innescato come reazione al periodo di Amarna.

In un clima tutto improntato al ritorno al passato, la statuaria e, in generale, tutte le manifestazioni artistiche traggono la loro aspirazione da modelli del periodo thurmoside, rifiutando così apertamente tutte le tendenze che avevano contribuito a rendere così fervido e innovativo il momento culturale compreso tra il regno di Amenofi III e quello degli immediati successori di Akhenaton.

Alcune delle acquisizioni del periodo amarniano erano però riuscite a filtrare e si erano mantenute nonostante il desiderio dell’autorità costituita (stato e clero) di far apparire che nulla fosse accaduto nel ventennio antecedente il regno di Tutankhamon.

L’effetto di vibrazione di certe opere amarniane si ritrova negli elaborati abbigliamenti del primo periodo ramesside, che mostrano un raffinato gioco di plisettatura che crea una movimentata alternsnza tra luce e ombra.

È il caso di questa statua di Sethy I, nella quale il complicato annodarsi del vestito, sotto il torace a destra, costituisce il centro delle pieghe che si irradiano verso l’esterno della figura, con un movimento centifrugo che non ha nulla da invidiare alle sculture di epoca amarniana, nonostante la resa muscolare sia più sobria.

L”effetto luministico dell’abito è controbilanciato da quello della parrucca, sulle cui trecce si sviluppano delle nervature discendenti.

Abbigliamento e parrucca formano una preziosa cornice al volto, che ha forme piene e i cui tratti riproducono l’effige idealizzato di Sety I.

Nonostante il naso arcuato e il taglio della bocca richiamino la statutaria thurmoside, gli occhi sono racchiusi da palpebre pesanti, reminescenze della tradizione post-amarniana.

La scultura proviene da Abido, località dove l’attività di Sethy I fu più intensa.

Ad Abido, Sethy I, fece erigere un tempio e un cenotafio dedicati al dio Osiride, per legittimare l’ascesa al trono d’Egitto della propria casata.

Originariamente, la statua doveva raffigurare il sovrano incedente con le braccia distese lungo i fianchi.

Il braccio sinistro sosteneva uno stendardo di cui è andata perduta l’estremità superiore, impedendo così di identificare la divinità raffiguratavi

Fonte

Tesori egizi nella collezione del Museo Egizio del Cairo – F. Tiradritti – fotografie Arnaldo De Luca – Edizioni White Star.

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L’OSIREION

Di Grazia Musso

I cenotafi ( dal greco kenotafion “tomba vuota”), ossia simulacri di tomba, erano utilizzati correntemente fin dalle prime dinastie dai faraoni egizi, che potevano avere più mastabe o piramidi, di cui una sola era la vera sepoltura, mentre gli altri erano monumenti funerari.

Tale usanza si basava sul simbolismo egizio, per cui si riteneva che la parola, l’immagine o il simulacro potessero sostituire l’oggetto reale.

Così i cenotafi furono usati perché i faraoni potessero essere presenti, con la sepoltura, tanto al nord quanto al sud, oppure ad Abydos, presso Osiris.

Lo scopo era essere accanto al dio, per assicurarsi la sopravvivenza nell’aldilà e la resurrezione.

Il cenotafio di Sethy I o Osireion si trova alle spalle del tempio di Sethy I dietro e in asse col tempio, ma vi si accede da nord.

Il monumento è la rappresentazione architettonica di una concezione cosmoligico-religiosa e rappresenta il tumulto primordiale ove nacque il mondo, circondato dalle acque primeve; è dunque costituita da una sorta di collina artificiale (una sala) circondata dall’acqua e da due file di cinque pilastri monolitici in granito rosa su cui appoggiavano gli architrave, la parte centrale era a cielo aperto.

Vi si legge la simbologia della collina, su cui probabilmente veniva seminato l’orzo, la cui nascita simboleggia a la resurrezione di Osiris.

E, rappresentando il cenotafio del dio, un’altra sala ha la forma di un sarcofago e un soffitto astronomico a profilo curvo con la dea Nut, il cammino del sole e il levarsi delle stelle.

Ricostruzione dell’Osireion

Fonti

Dizionario Enciclopedico dell’ Antico Egitto e delle civiltà nubiane – Maurizio Damiano – Appia – Mondadori.

Antico Egitto di Maurizio Damiano – Electra

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I TEMPLI RAMESSIDI AD ABYDOS

Di Grazia Musso

La XIX Dinastia si contraddistinte per un’intensa attività costruttiva.

In tutto il territorio egizio furono restaurati o ricostruiti gli edifici si culto che erano stati abbandonati o distrutti durante il periodo amarniano.

Nell’epoca ramesside Tebe continuò a essere il principale centro di culto del dio Amon – Ra.

Durante il breve regno del fondatore della XIX Dinastia, Ramses I, l’attività edilizia si espresse sopratutto nel compimento della sua sepoltura nella Valle dei Re e, a Karnak, nel vestibolo del secondo pilone, che allora costituiva l’ingresso principale del tempio di Amon-Ra.

Il figlio di Ramesse I, Sethy I avviò la costruzione del tempio ad Abydos che rappresenta uno dei monumenti più belli dell’antico Egitto, grazie al suo stato di conservazione, agli splendidi rilievi e ai restauri che li hanno riportato all’antico splendore.

Pianta del tempio di Sethy I

Il monumento fu voluto da Sety I per ragioni religiose ma soprattutto politiche: la sua costruzione era infatti intesa nella delicata politica di riequilibrio dei poteri religiosi portata avanti già da Ramses I e poi continuata dallo stesso Sethy I, al clero di Amon venivano adesso contrapposte altre divinità per scongiurare il pericolo dell’egemonia religiosa realizzatasi nella Dinastia precedente ; inoltre, costruendo il tempio di Abydos, il re si associava al culto di Osiri e, così facendo, egli perpetua a la legittimità della sua Dinastia.

Il monumento non venne portato a termine sotto Sethy ma sotto il figlio Ramses II, che completo’ la sala ipostila e aggiunse un pilone e due cortili, essi precedono due sale ipostila e i sette santuari dedicati alla triade di Abydos, ossia Osiris, Isis e Horus, e alle divinità dei tre maggiori centri politici o religiosi del Paese : Amon di Tebe, Ptah di Menfi, Ra-Horakhty di Eliopolis, il settimo santuario era dedicato allo stesso Sethy I divinizzato.

I resti dei magnifici rilievi sono visibili sulle pareti di mura superstiti nei cortili.

Questi sono i pilastri che si trovano di fronte all’ingresso attuale del tempio di Sethy I.
Un tempo questo era il fondo del primo cortile, poi alla struttura di Sethy I, il figlio Ramses II aggiunse un pilone e un cortile completando l’edificio del padre.
Oggi di questa parte esterna rimangono pochi resti, e quindi questa fila di pilastri appare come la Facciata attuale, che precede due sale ipostile e i sette santuari.
Sui pilastri è raffigurato Ramses II, abbracciato da varie divinità.

L’odierna facciata è data dal portico di fondo del secondo cortile, con una fila di dodici pilastri, quadrati ornati da scene con delle divinità e Ramses II su tutte le facce.

Il muro di fondo della seconda corte si trovano sette varchi per la sala ipostila, corrispondenti ai sette santuari, di cui quattro sono stati chiusi da Ramses II e decorati con rilievi del culto reso al padre.

Le due sale ipostile possiedono, rispettivamente due o tre file trasversali di dodici colonne papiroformi a umbrella chiusa.

Sul fondo della seconda sala ipostila si trovano gli ingressi dei sette santuari affiancati, che con ogni probabilità contenevano le barche sacre, ad eccezione di quello di Sethy I.

Nella seconda sala ipostila si trovano i rilievi meglio conservati che raffigurano le varie cerimonie che il re doveva celebrare.

La parete di fondo del santuario di Osiris, il terzo da destra, dà accesso alla parte terminale del tempio, dove sono situati due sale a dieci colonne e quattro colonne, e due serie di tre piccoli santuari.

In questa fotografia è raffigurato Sethy I, che riceve la vita, il simbolo ankh, dal dio Ra – Harakhty, una delle incarnazioni del sole degli orizzonti.
La divinità porge l’ankh alle narici del sovrano perché egli possa respirare l’essenza divina e ricevere la vita eterna.
Abydos, dal tempio di Sethy I, cappella di Ra-Harkhty.

Tornando alla seconda sala ipostila alla cui estremità sinistra si trova l’ingresso a un’ala laterale.

In questa parte è da notare, in un corridoio con il soffitto decorato a stelle, il rilievo in cui Sety I offre l’incenso ai cartiglio dei 76 faraoni scelti fra quelli che dall’origine della storia regnarono sull’Egitto: si tratta della “Tavola di Abydos”, una lista reale di notevole importanza per la cronologia d’Egitto

Dietro il tempio si trova l’importante cenotafio del re: l’Osireion, una straordinaria rappresentanza architettonica di una concezione cosmologico-religiosa collegata alla collina primordiale e a Osiris.

( prossimo intervento l’Osireion)

Fonte

Antico Egitto di Maurizio Damiano – Electra

Egitto la terra dei faraoni – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konenann

Mai cosa simile fu fatta, Nuovo Regno

RILIEVO CON SCENA DI GIUBILO

Di Grazia Musso

Calcare, altezza cm 51, lunghezza cm 105
Saqqara, trovato come materie di riutilizzo nel Serapeo
Scavi di Auguste Mariette 1859
Museo Egizio del Cairo – JE 4872

Questo frammento di rilievo nonostante sia stato ritrovato nel corso degli scavi di Mariette al Serapeo, proviene dalla tomba di un dignitario che aveva scelto di farsi seppellire a Saqqara non lontano da Menfi.

La scena doveva occupare l’angolo a sinistra in basso di una parete.

Lo stile e il modo di disporre le figure nello spazio si richiamano direttamente all’arte del periodo successivo all’epoca di Amarna ma anche, nella contrapposizione tra la compostezza delle figure maschili e la libertà di quelle femminili, all’esperienza decorativa del regno di Amenofi III, che aveva saputo elaborate le splendide scene di funerale delle tombe di Ramose e Userhat a Tebe.

Se in Ramose è Userhat è il cordoglio a fungere fa motore della composizione, qui tutto è incentrato su manifestazioni di giubilo per lo svolgimento di un avvenimento che dove a essere riprodotto nella parte superiore destra del rilievo.

La scena mostra a sinistra, un gruppo di donne, disposte su due file, ognuna con in mano un tamburello.

Il battere delle mani sugli strumenti e l’ondulare ritmato dei corpi da non senso di movimento che pervade tutto l’insieme.

I tamburelli, posti ad altezze diverse gli uni dagli altri, conferiscono ad ogni fila un andamento ondulatorio che ribadisce la ripetitività

È come se, da sinistra a destra, fosse rappresentata un’unica donna, ritratta in momenti diversi e successivi della danza.

Questo modo di trasporre il movimento su una composizione piana ha origini antichissime nell’arte egizia e il risultato può essere paragonato a quello che si otterrebbe osservando alcuni fotogrammi in successione di un film.

L’identità di ogni figura femminile è mantenuta attraverso la diversificazione degli elementi del vestiario e degli ornamenti.

In basso a destra, sono raffigurate due bambine nell’atto di suonare i legnetti.

Più composto, anche se dotato di un certo dinamismo, è il corteo di uomini di cui si preservano soltanto tre file, disposte in successione.

Le figure maschili sono rappresentate incedenti da destra verso il centro.

La diversa ampiezza del passo di ogni fila, decrescente da destra verso sinistra, dà l’impressione che gli uomini siano in procinto di fermarsi.

Le braccia sono alzate verso il cielo nel gesto che manifesta giubilo

La diversità del loro abbigliamento dimostra che ogni fila è composta da personaggi con funzioni e cariche specifiche.

I nomi di due sono noti dai geroglifici che accompagnano la scena: si tratta del sedjemash Aanakht e dello scriba Amonkhau.

Fonte

I tesori egizi nella collezione del Museo Egizio del Cairo – F Tiradritti – fotografie Arnaldo De Luca – Edizioni White Star

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LA XVIII DINASTIA

Di Grazia Musso

Il periodo della storia egiziana denominato “Nuovo Regno” può essere considerato come uno dei più floridi, sia dal punto di vista politico sia da quello storico-artistico.

È l’epoca degli Amenhotep ( I, II, III) e dei Tutmosis ( I, II, III,, IV), di Hatshepsut, dei Ramses ( I, II, III, IV-XI).

Di alcuni si possono tuttora vedere i volti osservando le mummie rinvenute nel 1881 nella cachette di Deir El – Bahari, nascondiglio al quale i sacerdoti tebani della XXI Dinastia ricorsero per preservare i corpi regali dalla profanazione.

Questo periodo, durato 465 anni dalla fondazione del Nuovo Regno alla scomparsa dell’ultimo ramesside, attraversò varie fasi, politiche e religiose: la prima parte della XVIII coincide con la cacciata degli Hyksos, mentre la svolta che portò all’inizio della seconda fase si ebbe con l’avvento di Amenhotep IV-Akhenaton.

L’arte toccò livelli di estrema ricercatezza….. nello scopo celebrativo di sovrani e nobili si affaccia anche il piacere estetico della creazione del bello che apre lo spirito alla contemplazione dell’opera.

A questo si aggiunge anche il fiorire delle mode, ciò si potrà notare sia nelle acconciature o nelle vesti, sia nelle scelte artistiche.

Fonte

Egitto la terra dei faraoni – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konemann

I tesori dell’antico Egitto nella collezione del museo egizio del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star

Antico Egitto – Maurizio Damiano – Electra

Foto dei libri su citati

Arte, Nuovo Regno, XVIII Dinastia

I DIPINTI DELLA CAPPELLA FUNERARIA DI NEBAMUN

Di Ivo Prezioso

Nuovo Regno, XVIII Dinastia, molto probabilmente tardo regno di Amenhotep III, forse inizio regno di Amenhotep IV (ca. 1350 a. C.). Provenienza Tebe. Ubicazione attuale: Londra, British Museum. Dieci frammenti furono acquistati come parte della prima collezione Salt nel 1823; l’undicesimo (EA37981) fu acquistato da George Waddington e Richard Hanbury nel 1821 e donato al museo da sir Henry Ellis nel 1833.

Pittura su base di intonaco in calce e fango.

Introduzione

Gli undici frammenti della tomba di Nebamun, conservati al British Museum, rappresentano probabilmente uno degli esempi più belli (se non il più bello in assoluto) finora noti dell’arte pittorica dell’Antico Egitto. L’ubicazione della tomba è molto incerta, poiché non è ancora stato possibile associare i frammenti ad alcuna cappella di Tebe. Oltre ai frammenti del British Museum, pezzi più piccoli si trovano ad Avignone, Berlino e Lione, mentre altri tre sono stati fotografati al Cairo negli anni quaranta. Dieci dei frammenti del Museo erano tra gli oggetti portati in Gran Bretagna come parte della prima collezione di Henry Salt. Il dipinto fu scoperto nel 1820, ma i documenti forniscono poche informazioni sull’ubicazione della cappella. Uno dei frammenti berlinesi, raffigurante uomini che catturano quaglie, è stato visto durante gli scavi del marchese di Northampton nell’area di Dra Abul Naga (estremità settentrionale della necropoli) nel 1898/9. Ciò probabilmente causò un danno considerevole alla cappella della tomba, la cui ubicazione andò perduta e ora potrebbe essere stata occultata da una struttura recente.

Sebbene i frammenti siano definiti come appartenenti a Nebamun, il nome del proprietario non è conservato in modo chiaro da nessuna parte. L’esempio meno rovinato è alla fine del testo del frammento EA 37976, dove, dopo il titolo “scriba e contabile del grano”, segue una serie di segni la cui ricostruzione più probabile è “Nebamun”. Il nome fu infatti danneggiato durante il periodo amarniano, quando ogni riferimento al dio Amon, veniva sistematicamente distrutto. Il titolo del proprietario non è particolarmente elevato, ma nella necropoli tebana, sempre riconducibili alla media e tarda XVIII dinastia, si trovano numerose altre tombe, piccole ma splendidamente decorate, di altri detentori di questo e altri titoli simili.

Ed ora passiamo ad illustrare in dettaglio questi splendidi frammenti.

Scena di caccia nelle paludi. (Frammento EA 37977). Larghezza: 98 cm.

Il dipinto più noto mostra Nebamun che partecipa ad una battuta di “caccia agli uccelli nelle paludi”(Immagini n. 1,2,3,4,5,6). E’ rappresentato in posizione eretta e dominante in una piccola barca di papiro, in compagnia della moglie, dietro di lui, vestita con i suoi abiti migliori e con la figlia seduta tra le sue gambe. Sta per lanciare un bastone contro una serie di diverse specie di uccelli presenti all’interno e sopra un boschetto di papiro, mentre ne ghermisce tre con l’altra mano. Un gatto ha in bocca un’anatra e tra gli artigli altri due uccelli. Sono presenti numerosi pesci nello stagno. I colori e l’attenzione ai dettagli sono stupefacenti. Una caratteristica sorprendente, notata negli anni ’90, è l’uso della foglia d’oro per l’occhio del gatto. Una scena di questo tipo è di solito bilanciata da un’altra che mostra il proprietario della tomba mentre arpiona i pesci, e la fiocina, infatti, si intravvede nell’angolo in basso a sinistra. Due dei frammenti del Cairo mostrano la testa del proprietario della tomba e il bambino tra le sue gambe.

Immagine n. 1 Frammento EA 37977 La scena di caccia nelle paludi. In origine c’era un’altra metà della scena, che mostrava Nebamun che infilzava un pesce (l’arpione che infilza il pesce è ancora visibile in basso a sinistra). Questa parte è andata perduta, se si eccettuano due vecchie fotografie di piccoli frammenti di Nebamun e della sua giovane figlia. Gli artisti hanno catturato la qualità squamosa e lucente del pesce. Come si può osservare la composizione è caratterizzata da un dirompente contrasto dinamico che si genera tra l’imponente figura di Nebamun (se vogliamo ancora piuttosto convenzionale e tradizionale nella sua posa ben piantata e dominante, con la moglie Hatshepsut alle spalle e la giovane figlia tra le gambe) e la grande abbondanza di figure in movimento. Questa sensazione è ancor di più esaltata dalla sorprendente varietà e raffinatezza della colorazione, nonché dall’estrema cura dei dettagli. Inoltre, è evidente come sia stata volutamente tralasciata la precisa collocazione in registri simmetrici e ordinati a tutto vantaggio di una spontaneità inusitata. A mio avviso, in questo capolavoro sono già perfettamente ravvisabili quelli che saranno gli sviluppi dell’arte amarniana che approderà, nei suoi migliori esempi, ad una libertà espressiva e formale assolutamente straordinaria. (©The British Museum Masterpieces of Ancient Egypt)

La composizione non è, come verrebbe facile pensare, una semplice rappresentazione dei piaceri della caccia, ma è parte integrante del programma decorativo della tomba: l’interpretazione più plausibile è che la scena sia formata da una complessa serie di simboli che alludono alla riproduzione e alla rinascita, in questo caso nell’aldilà, che sarebbero assicurate da tali raffigurazioni nella cappella funeraria. Le fertili paludi erano viste, infatti, come un luogo di rinascita ed erotismo. La caccia agli animali potrebbe rappresentare il trionfo di Nebamun sulle forze della natura mentre rinasceva. Domina l’enorme figura ambulante di Nebamun, sempre felice e sempre giovane, circondato dalla vita ricca e varia della palude.

Immagine n. 2 Frammento EA 37977, particolare. Un gatto fulvo cattura gli uccelli tra gli steli di papiro. I gatti erano animali domestici, ma qui potrebbe anche rappresentare il dio Sole che caccia i nemici della luce e dell’ordine. Il suo insolito occhio realizzato con foglia d’oro allude ai significati religiosi di questa scena. Gli artisti hanno riempito ogni spazio con dettagli vivaci. La palude è piena di fiori di ninfea e di farfalle Tigre della pianura. Queste ultime sono dipinte in modo libero, suggerendo il disegno e la consistenza delle loro ali. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin, The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera)

Immagine n. 3 Frammento EA 37977, particolare di Nebamun il cui nome significa “Amon è il mio signore”. (British Museum, Londra Foto © Osama S. M. Amin, The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Immagine n. 4 Frammento EA 37977, particolare. La moglie di Nebamun, Hatshepsut, è in piedi dietro di lui. Si notino l’elaborato copricapo e l’abito, che rimandano alla raffinatezza dell’epoca di Amenhotep III, nella quale sono ravvisabili chiari influssi orientali. (British Museum, Londra Foto © Osama S. M. Amin, The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Immagine n. 5 Frammento EA 37977, particolare. La figlia di Nebamun siede sulla barca sotto la figura del padre. Con la mano destra stringe la gamba destra del padre, mentre la mano sinistra stringe un fiore di ninfea. È nuda. Da notare l’acconciatura, con la tipica treccia dell’infanzia. (British Museum, Londra Foto © Osama S. M. Amin, The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Immagine n. 6 Frammento EA 37977 Ipotetica Ricostruzione dell’intera scena murale. Disegno di C. Thorne e R. B. Parkinson. Fotografie di altri frammenti per gentile concessione dell’Association d’Egyptologique Reine Elizabeth, Bruxelles. (British Museum, Londra Foto © Osama S. M. Amin, The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Scena del Banchetto: Frammenti EA 37984 (larghezza 99,5 cm.), EA 37981 (Larghezza 50 cm.), EA 37986 (Larghezza 126 cm.)

Di questa scena, sono sopravvissuti 3 frammenti, i quali, disposti come mostrato (Immagine n. 7), rappresentano i quattro registri della rappresentazione di un banchetto. Tre dei registri mostrano ospiti intervenuti a questo evento, alcuni in coppia, altri in gruppi dello stesso sesso. Sia gli uomini che le donne sono vestiti con raffinati abiti bianchi con sottili soprabiti che aggiungono una tonalità di giallo all’ indumento principale. Tutte le donne hanno folte parrucche lunghe, mentre gli uomini indossano per lo più acconciature che arrivano alle spalle, anche se alcuni sono rasati (questa caratteristica sembra verificarsi solo nel gruppo degli uomini, dove gli stili si alternano).

Immagine n. 7: I Frammenti EA 37984, EA37981, EA 37986, così come attualmente esposti al British Museum. Un’intera parete della cappella mostra un banchetto in onore di Nebamun. Servitori e servitrici nude attendono amici e parenti del defunto. Gli ospiti sposati siedono a coppie su sedie raffinate, mentre le giovani donne si girano e parlano tra loro. Questa scena erotica di relax e ricchezza è qualcosa di cui Nebamun potrà godere per l’eternità. Gli ospiti riccamente vestiti sono intrattenuti da danzatori e musicisti, che siedono a terra suonando e battendo le mani. Le parole della loro canzone in onore di Nebamun sono scritte sopra di loro: “Il Dio della terra ha fatto crescere la sua bellezza in ogni corpo… i canali sono di nuovo pieni d’acqua e la terra è inondata dall’amore per lui”. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Il terzo registro mostra due gruppi di musiciste e cantanti, con una coppia di danzatrici nude nel gruppo di sinistra. I servitori, uomini e donne, servono tutte le coppie; ospiti e i musiciste recano sulla testa coni di grasso profumato. Queste ultime sono uno dei rari esempi nell’arte egizia in cui il soggetto è rappresentato di fronte anziché di profilo. Tali deroghe alle normali convenzioni si riscontrano solo nelle figure secondarie di rappresentazioni come questa.

Anche se si pensa che le scene del banchetto siano in qualche modo da porre in relazione col Festival della Valle di Tebe, quando la statua di Amon giungeva dal tempio di Karnak per visitare i santuari della sponda occidentale, non si tratta solo del semplice riflesso di una celebrazione. Vengono consumate bevande oltre che cibo e le figure portano alle loro narici fiori di loto (ninfea) o frutti di mandragola. L’intossicazione sembra un elemento importante e sia il loto, sia la mandragola con le loro proprietà narcotiche o allucinogene aiutavano i banchettanti ad avvicinarsi alla divinità.

Questi e altri simboli suggeriscono che queste scene esprimono ancora una volta il desiderio di rinascita dopo la morte, che era uno degli scopi della cappella tombale.

I frammenti superstiti, nella composizione originaria del dipinto, hanno la seguente sequenza: EA37984, EA37981, EA37986 (Immagini nn. 8, 9, 10 )

Nelle immagini seguenti e relative didascalie Immagini nn. 11, 12, 13 ) sono mostrati particolari del frammento EA37984.

Immagine n. 11 Frammento EA 37984, particolare. Giovani uomini siedono su file di sgabelli, accanto a un gruppo di giovani donne, sedute su sedie con cuscini. In un punto, gli artisti hanno modificato il disegno di questi sgabelli di legno e hanno corretto i loro primi schizzi con vernice bianca. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Immagine n. 12 Frammento EA 37984, particolare. Alcune delle musiciste sono ritratte mostrando i loro volti a figura intera. Questo è molto insolito nell’arte egizia e dà un senso di vivacità a questi personaggi che sono disegnati in modo meno formale rispetto agli ospiti più facoltosi. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Immagine n. 13 Frammento EA37984, particolare. Le giovani danzatrici sono rappresentate in modo fluido e armonioso. Sono nude, a parte i gioielli. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Nebamun ispeziona bovini e oche: Frammenti EA 37979 (larghezza 67,5 cm.), EA 37978 (Larghezza 115,5 cm.), EA 37976 (Larghezza 97 cm.)

Oltre alle rappresentazioni più esoteriche, le tombe della XVIII dinastia ne contengono altre, apparentemente, di vita quotidiana. Questi tre frammenti provengono dalla stessa parete, che mostrava due volte il proprietario della tomba, seduto su uno sgabello mentre ispezionava due scene, una di oche e una di bovini (Immagine n. 14).

Immagine n. 14 I frammenti EA37979, EA37978, EA37976 così come attualmente esposti al British Museum. Questi 3 dipinti fanno parte di una parete che mostra Nebamun mentre ispeziona le sue oche e i suoi bovini. Egli osserva gli allevatori che gli portano gli animali; i suoi scribi ne registrano la quantità. I geroglifici descrivono la scena e la conversazione dei dipendenti, che parlano e litigano tra loro, mentre fanno la fila. Nebamun è raffigurato come un uomo ricco e autorevole, che controlla un gran numero di servi e di animali. Tutto è studiato per mostrare il prestigio di Nebamun; è, infatti raffigurato in una scala più grande rispetto alle altre persone e in una posa formale. Anche la sua pelle è dipinta in modo diverso. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera)

Si è conservata solo una di queste rappresentazioni di Nebamun (frammento EA 37979), che lo ritrae su un sedile pieghevole con schienale (Immagine n. 15). Nella mano sinistra tiene un bastone e nella destra lo scettro dell’autorità e un piccolo fascio di fiori. La sagoma in bianco e nero immediatamente sotto di lui è una rappresentazione della morbida pelle della seduta della sedia.

Immagine n. 15 Frammento EA37979. Nebamun siede su una sedia e ispeziona le sue oche e il suo bestiame. Sono visibili i resti di cinque registri verticali di geroglifici dipinti in policromia. (© Nigel strudwick, The British Museum Masterpieces of Ancient Egypt, pag. 174)

Nel frammento EA 37978, disposto a destra del precedente, (Immagine n. 16), gli allevatori sono raffigurati nelle loro mansioni in due sottoregistri; a sinistra uno scriba, che si distingue per l’abito più elaborato e la tavolozza sotto il braccio, presenta un pezzo di papiro a Nebamun, presumibilmente, con il conteggio delle oche.

Immagine n. 16 Frammento EA37978. Il registro superiore, frammentario, mostra lavoratori in piedi, davanti a uno stormo di oche, mentre presentano un cesto di uova a due scribi seduti, che registrano i prodotti. Nel registro inferiore gli allevatori arrivano con una grande quantità di oche e un uomo presenta altri uccelli in stie. Uno scriba sta leggendo l’elenco dei prodotti alla grande figura seduta di Nebamun (Visibile nel frammento EA37979), verso il quale erano orientati entrambi i registri superiori. I tre registri verticali e un registro orizzontale di testi geroglifici dipinti di nero sono rivolti nella stessa direzione delle persone che pronunciano ciò che è scritto. Lo scriba tiene sotto il braccio il suo astuccio scrittorio e presenta un rotolo di papiro a Nebamun. É ben vestito e presenta un leggero accumulo di grasso sullo stomaco, a indicare la sua posizione agiata. Accanto a lui, ci sono cassapanche per i suoi registri e una borsa contenente i suoi strumenti di scrittura. I contadini si inchinano e fanno gesti di rispetto verso Nebamun. L’uomo dietro di loro impugna un bastone e dice loro: “Sedetevi e non parlate!”. Le oche sono dipinte come un’enorme e vivace massa che becca il terreno e sbatte le ali. (© Nigel strudwick, The British Museum Masterpieces of Ancient Egypt, pag. 175)

Nella scena inferiore (Immagine n. 17), i mandriani guidano il loro bestiame, che viene contato e registrato da scribi rappresentati a sinistra.

Immagine n. 17 Frammento EA 37976. É diviso in due registri. Nel registro superiore una mandria di bovini viene portata a Nebamun; davanti ai bovini i mandriani si inchinano a uno scriba in piedi che effettua le registrazioni.. La didascalia geroglifica verticale è danneggiata e sono leggibili solo alcune frasi. Nel registro inferiore un uomo guida il bestiame verso alcuni scribi seduti. Sopra, sono ancora visibili due registri orizzontali di geroglifici. L’alternanza dei colori e dei tratti dei bovini crea un superbo senso di movimento. Gli artisti hanno volutamente omesso di rappresentare alcune zampe dei bovini per preservare la chiarezza del disegno. Il mandriano sta dicendo al contadino che lo precede in coda: “Forza! Allontanatevi! Non parlate in presenza del lodato! Egli detesta la gente che parla… Passate avanti con calma e ordine… Egli conosce tutti gli avvenimenti, lo scriba e responsabile del grano di [Amon], Neb[amun]”. (© Nigel strudwick, The British Museum Masterpieces of Ancient Egypt, pag. 175)

Le scene sono accompagnate da didascalie idealizzate di ciò che avrebbero potuto dire alcuni degli uomini presenti; il testo più lungo della scena del bestiame è pieno di elogi per Nebamun.

Come in tutti questi dipinti, il livello di dettaglio è notevole; ogni creatura è chiaramente differenziata, grazie all’uso accurato di pigmenti diversi, in modo che nessun animale di colore simile sia adiacente.

Immagine n. 18 Frammento EA 37976, particolare. Il nome del dio Amon è stato cancellato in questa didascalia, anche quando compare nel nome di Nebamun. Poco dopo la sepoltura di Nebamun, il faraone Akhenaton (1352-1336 a.C.) fece cancellare il nome di Amon da tutti i monumenti nell’ambito delle sue riforme religiose. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Scene come queste hanno anche un significato più profondo; proiettano la personalità e la ricchezza di Nebamun nell’aldilà e aiutano a creare un mondo in cui il suo spirito possa risiedere dopo la morte.

Immagine n. 19 Ipotetica Ricostruzione dell’intera scena comprendente i tre frammenti illustrati. (©Disegno di C. Thorne e R. B. Parkinson, https://www.britishmuseum.org/collection/object/Y_EA37979)

Portatori d’offerte: Frammento EA 37980 (Altezza massima, 41 cm.)

Il frammento (Immagini n. 20-21-22-23) descrive una processione di servi, vestiti in modo semplice, che presentano a Nebamun offerte di cibo, consistenti in spighe di grano e animali provenienti dal deserto. Dal momento che le cappelle tombali erano predisposte in modo che la gente potesse portare oboli in memoria dei defunti, è piuttosto comune che sulle loro pareti venisse riprodotta una simile scena.

Immagine n. 20 Un corteo di servitori, vestiti in modo semplice, porta le offerte, spighe di grano e animali del deserto, come cibo per Nebamun.Tra questi, una giovane gazzella e due lepri del deserto. Il bordo inferiore indica che questa era la scena più bassa di questa parete. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Immagine n. 21 Questo servitore trasporta una piccola gazzella di Dorcas (nota anche come gazzella del deserto). È ancora viva e la tiene stretta per evitare che si liberi. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Tra i personaggi dipinti spiccano in particolare i due servitori centrali quello a sinistra ha fra le braccia una gazzella viva che colpisce per la disposizione e per l’occhio che sembra esprimere al contempo tenerezza e spavento. L’altro, invece, tiene per le orecchie due lepri del deserto. Gli animali si caratterizzano fortemente per la pelliccia minuziosamente particolareggiata, i baffi e le lunghe orecchie, oltre alla posa molto naturale. Il disegno, molto accurato, e la composizione, tanto equilibrata quanto dinamica, rendono questa scena, tutto sommato piuttosto convenzionale,molto fresca e vivace.

Immagine n. 22 Il servitore che appare al centro dell’immagine tiene per le orecchie due lepri del deserto. Gli animali hanno una pelliccia meravigliosamente dettagliata e lunghi baffi. La superba fattura e la composizione rendono questa scena, piuttosto comune, molto fresca e vivace. Gli artisti hanno anche variato i semplici abiti dei servitori. Per uno dei gonnellini, l’artista ha cambiato idea e ha dipinto una serie di pieghe diverse rispetto alla prima versione, visibili attraverso la vernice bianca. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Immagine n. 23 Ipotetica Ricostruzione dell’intera scena comprendente i tre frammenti illustrati. (©Disegno di C. Thorne e R. B. Parkinson, https://www.britishmuseum.org/collection/object/Y_EA37980)

Offerte per Nebamun: Frammento EA 37985 (Altezza: 104,20 centimetri, Larghezza: 61 centimetri)

Questo frammento (Immagini nn. 24-25-26-27) è ciò che rimane di quella che doveva essere la scena culmine dell’intero ciclo di dipinti.

Raffigura le offerte funerarie presentate a Nebamun e colpisce per la varietà e vivacità dei colori posti ancor più in risalto dall’utilizzo di uno sfondo bianco. Presenta, inoltre, quattro registri verticali superstiti di iscrizioni geroglifiche, anch’esse policrome.

Immagine n. 24. Questa era la scena più importante della cappella sepolcrale. È dipinta in uno stile formale con uno sfondo bianco anziché crema per farla risaltare. Mostra un’enorme pila di cibo prelibato posta davanti al defunto Nebamun e a sua moglie (perduta), con vino e vasi di profumo decorati. Il figlio Netjermes (perduto) offre loro un alto bouquet di papiro e fiori, simbolo della festa annuale del dio Amon, allorquando i parenti si recavano a visitare i defunti. La didascalia geroglifica contiene preghiere funerarie e un elenco di offerte. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Immagine n. 25: Frammento EA 37985, particolare. Le offerte di cibo comprendono frutti di sicomoro, uva, pagnotte di forma diversa, ma anche un’anatra arrosto e delle carni, che solo i ricchi potevano permettersi. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Immagine n. 26: Frammento EA 37985, particolare. Grandi giare di vino sono incorniciate da grappoli d’uva e foglie di vite. In molti punti il verde e il blu sono scomparsi, poiché questi colori furono applicati con pigmenti macinati grossolanamente e che, in seguito, si sono staccati. Sul lato destro, in corrispondenza della gamba di Nebamun, sono visibili in alcuni punti, sotto il colore di fondo, tracce di linee di griglia rosse. Queste aiutavano gli artisti a disporre le figure, ma furono utilizzate solo in questa scena perché era la più importante e convenzionale della tomba-capella. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera)

Immagine n. 27: Frammento EA 37985. Probabile ricostruzione della scena. (©Disegno di C. Thorne e R. B. Parkinson, https://www.britishmuseum.org/collection/object/Y_EA37985)

Rilevamento nei campi di Nebamun: Frammento EA 37982 (Altezza: 45,8 centimetri, Larghezza: 106,70 centimetri)

Nebamun era il contabile responsabile del grano presso il grande Tempio di Amon a Karnak.

In questo frammento (Immagini n. 28-29-30-31) si rappresenta la valutazione dei raccolti, a fini fiscali. Si conservano cinque registri verticali di geroglifici; la parte restante è divisa in due registri, raffiguranti un carro trainato da cavalli sopra e un carro trainato da altri equidi sotto.

Immagine n. 28 Questa scena mostra dei funzionari che ispezionano i campi. Un contadino controlla i confini del campo. Nelle vicinanze, due carri per il gruppo di funzionari attendono all’ombra di un sicomoro. Un altro frammento più piccolo appartenente a questa (vedi Immagine n. 30), ora al Museo Egizio di Berlino, mostra la raccolta e la lavorazione del grano. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Il tutto faceva parte di una più ampia scena di attività agricole. A sinistra, di fronte a una coltura di grano, un uomo anziano, con in mano un bastone, si china di fronte a un piccolo segno di confine e giura, come riportato nel testo geroglifico, che la stele è posizionata nel posto giusto. Alla sua sinistra si intravvede ciò che resta di un corteo di personaggi che lo accompagnavano; sopra il grano, quanto rimane di una quaglia in volo.

Immagine n. 29 Il vecchio contadino viene mostrato calvo, mal rasato, mal vestito e con l’ombelico sporgente. Sta pronunciando un giuramento dicendo: “Poiché il Grande Dio che è nel cielo resiste, la pietra di confine è esatta!”. Il “Capo dei Misuratori del Granaio” (in gran parte perduto, nella parte superiore sinistra) tiene una corda decorata con la testa dell’ariete sacro di Amon per misurare i campi del dio. Dopo la morte di Nebamun, la testa fu scalpellata, ma più tardi, forse sotto Tutankhamon, qualcuno la restaurò maldestramente con gesso e la ridisegnò. (British Museum, Londra. Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

La parte destra della scena presenta i due sottoregistri con carri ed equini; quelli sottostanti sembrano curiosare nell’albero raffigurato sulla destra e costituiscono la parte più singolare di questo frammento in quanto non sembrano essere degli abituali cavalli egizi. Forse si trattava di qualche altra razza di equidi, la cui identificazione è oggetto di dibattito.

Immagine n. 30 Questa scena, conservata a Berlino, mostra uomini che catturano quaglie con una rete. Si pensa che la tomba di Nebamun si trovi a Dra Abu el-Naga in quanto questo frammento fu trovato lì nel 1890. (Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Esistono pochissimi altri esempi di scene simili. Ce ne sono altre due che mostrano lo stesso insolito tipo di cavallo, e tre che presentano il controllo della stele di confine. Tutte queste altre tombe sono databili tra la metà e la fine della XVIII dinastia, tutte si trovano a Tebe e tutte appartengono a uomini che esercitavano professioni simili: chiaramente, doveva trattarsi di un motivo decorativo peculiare di un determinato gruppo sociale e rimasto in voga solo per un breve periodo.

Immagine n. 31 Ricostruzione dell’intera scena: disegno di C. Thorne e R. B. Parkinson. Fotografie del Museo di Berlino frammenti di J. Liepe, © Agyptisches Museum, Berlino. (Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera)

Altri frammenti più piccoli di questa scena sono conservati presso l’ Agyptisches Museum di Berlino (Immagini n. 30 e 31).

Un giardino con laghetto: Frammento EA 37983 (Altezza: 64 centimetri, Larghezza: 73 centimetri)

Ed eccoci dunque all’ultimo dei frammenti conservati al British Museum (Immagini n. 32-33-34-35-36) .

Questa rappresentazione sembrerebbe provenire dalla stessa parete che ospitava la scena del frammento precedente (EA37982).

Immagine n. 32 Il giardino di Nebamun nell’aldilà è simile ai giardini terreni dei ricchi dell’antico Egitto. Lo stagno è pieno di uccelli e pesci, circondato da bordure di fiori e filari di alberi. Gli alberi da frutto comprendono sicomori, palme da dattero e palme dum; i datteri sono raffigurati in diversi stadi di maturazione. Sulla destra del dipinto, una divinità (la dea Nut?) si sporge da un albero e offre frutti, presumibilmente, a Nebamun (ora perduto). A sinistra della vasca, come narra ciò che rimane delle colonne di geroglifico, un albero di sicomoro parla e saluta Nebamun come proprietario del giardino. (© Nigel Strudwick, The British Museum Masterpieces of Ancient Egypt, pag. 176)

Un piccolo specchio d’acqua ospita pesci, piante e uccelli, mentre gli alberi che lo circondano sono palme da dattero, palme dum, sicomori e mandragole. Nell’angolo superiore destro, una figura femminile, che è parte integrante di un albero (si tratta, probabilmente di una divinità sotto questa forma), porge un vassoio di offerte, contenente per lo più frutti degli alberi adiacenti e vino o birra. Scene analoghe lasciano supporre che più a destra doveva esserci la figura del proprietario della tomba che le riceveva. Gli artisti avevano accidentalmente dipinto in rosso la pelle della dea, ma successivamente la ridipinsero nel corretto colore giallo.

Immagine n. 33 Particolare del frammento che evidenzia la flora e la fauna ospitata nello stagno. Come si può vedere era circondato da piante da fiore, disposte intorno ai bordi. Le onde erano dipinte con un pigmento blu più scuro, che è andato in parte perduto, così come il verde degli alberi e dei cespugli. (Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

Immagine 34 Una zoomata sull’immagine precedente, in cui è chiaramente rilevabile il tratto fresco e spontaneo con cui sono rappresentati pesci, volatili e vegetali presenti nel piccolo specchio d’acqua. (© Nigel Strudwick, The British Museum Masterpieces of Ancient Egypt, pag. 176 e https://www.britishmuseum.org/collection/object/Y_EA37983)

Ciò che resta del testo nell’angolo superiore sinistro è il discorso del sicomoro, un’altra divinità sotto forma di albero.

Ancora una volta la scena è ricca di simbolismi: le piante, gli uccelli e i pesci alludono alla rinascita e il frutto della palma dum, che contiene acqua, è un potente nutrimento per la vita nell’aldilà. Come nella scena del banchetto (frammenti EA37981-37984-37986), la presenza della mandragola può essere posta in relazione con le sue proprietà allucinogene.

Immagine n. 35 Particolare del frammento. La dea che spunta dall’albero offre fichi di sicomoro e vasi di vino o birra. L’artista colorò accidentalmente la sua pelle di rosso, ma poi l’ha ridipinse in giallo, il colore convenzionale della pelle di una dea. (Foto © Osama S. M. Amin The Egyptian Tomb-Chapel Scenes of Nebamun at the British Museum, pubblicato il 26 Luglio 2016 in Ancient History et Cetera).

La vasca è vista dall’alto con le tre file di alberi disposte lungo i bordi.

Immagine n. 36 Ricostruzione della scena sulla parete originale. (©Disegno di C. Thorne e R. B. Parkinson, https://www.britishmuseum.org/collection/object/Y_EA37983

Fonti:

Nuovo Regno, Statue, XVIII Dinastia

LA STATUETTA DI KHA

Di Patrizia Burlini

Nr. inv.: S. 8335 (statuetta) – 8336 (ghirlanda)
Materiale: Legno (statuetta) – vegetali (ghirlanda)
Dimensioni: 48 x 12 x 27,5 cm
Datazione: 1425–1353 a.C.
Periodo: Nuovo Regno
Dinastia: XVIII dinastia
Regno: Amenhotep II / Tutmosi IV / Amenhotep III
Provenienza: Deir el-Medina / tomba di Kha (TT8)
Acquisizione: Ernesto Schiaparelli
Collocazione: Sala 07 Vetrina 05 – Museo Egizio Torino

Tra le scoperte più importanti di sempre a Deir El Medina va annoverata la tomba intatta di Kha e Merit, gioiello del Museo Egizio di Torino. Tra i tanti meravigliosi oggetti trovati, uno dei miei preferiti è la statuetta di Kha, con ghirlande di fiori freschi.

Per l’iscrizione, si veda: https://laciviltaegizia.org/2023/01/03/la-statuetta-di-kha-liscrizione/

Qui sotto la didascalia del Museo:

“Statuetta di Kha”

Osservando la disposizione del corredo nella tomba si nota una peculiare composizione di oggetti che ha probabilmente il fine di restituire l’immagine di Kha seduto sul suo seggio mentre riceve le offerte. Proprio davanti al suo sarcofago esterno, in una posizione di rilievo al centro della camera funeraria, era infatti collocata una splendida sedia con spalliera, decorata con immagini floreali e con iscrizioni volte ad assicurare all’anima del defunto “ogni cosa buona e pura”. Sopra un telo decorato, adagiato sulla sedia, erano posizionati vari oggetti: al centro si trova una statuetta in legno del defunto, ornata da due ghirlande miniaturistiche poste intorno alle sue spalle e ai suoi piedi; un ushebty era appoggiato alla spalliera, mentre un sarcofago in miniatura, del tutto simile ai sarcofagi esterni quadrangolari di Kha e Merit, conteneva un altro ushebty e i modelli di alcuni strumenti di lavoro per ushebty (una zappa e un bilanciere).

Mia foto 2022