Di Piero Cargnino

A Shabaka succede il fratello Shebitqo (o Shebitku), entrambi figli di Pianki.
Shebitqo, almeno inizialmente, si appropria di un ruolo di prestigio nella politica internazionale in modo particolare nel Medio Oriente. Il suo praenomen o nome del trono, Djedkare, significa “perseverare è l’anima di Ra”; sua moglie era una sorellastra figlia di Pianki, Arty – tanto si evince da un frammento della statua JE 49157 del Sommo Sacerdote di Amon Haremakhet, figlio di Shabaka, rinvenuta nel tempio di Mut a Karnak.

Shebitqo regnò forse dodici anni (Sesto Africano gliene attribuisce quattordici, Eusebio di Cesarea dodici, in realtà la data attestata più alta a livello archeologico è il 3° anni di regno).
In politica estera, Shebitqo, dovette sostenere il difficile confronto con la potenza assira che per la seconda volta si rivolse contro Israele alla cui richiesta di aiuto il faraone nero non poté sottrarsi. La vicenda della difesa di Gerusalemme è avvolta dall’alone della leggenda: sembra infatti che Shebitqo non si sia mai congiunto con le truppe nubiane del fratello Taharqa richiamate per l’occasione ed inviato in aiuto delle città fenice contro re Sennacherib che assediava Gerusalemme. L’assedio si concluse inverosimilmente con la fuga precipitosa dell’esercito assiro, causata da un avvenimento che le fonti tramandano come miracoloso. La Bibbia parla dell’intervento di un angelo sterminatore, Erodoto di un esercito di topi che avrebbe reso inservibili le armi dei nemici. Resoconti ambedue inverosimili; secondo gli storici si trattò forse di un’improvvisa pestilenza.

Certo è che Gerusalemme si salvò, ma non grazie a Shebitqo. E qui va detto che l’egittologo Brunet, prima e Baker poi, hanno fatto notare che i regni di Shabaka e Shebitqo andrebbero invertiti. Michael Bányai nel 2013 ha pubblicato, in una rivista mainstream, molti argomenti a favore di tale inversione. Dalle prove archeologiche evidenziate nel 2016/2017 appare chiaro che Shebitqo regnò prima di Shabaka; ciò risulta evidente nel bordo superiore dell’iscrizione sulla stele di Karnak.
Baker, e poi Frederic Payraudeau scrissero che la “Divina Adoratrice di Amon” Shepenupet I, l’ultima Adoratrice libica, era ancora in vita durante il regno di Shebitqo perché compare in atto di eseguire riti, descritta come “vivente” sul muro ed all’esterno della cappella Osiride-Héqadjet costruita durante il suo regno. All’interno, Amenirdis I, sorella di Shabaka, è rappresentata come Adoratrix con un nome di incoronazione.

Pertanto Sepenupet I successe a Amenirdis I come “Divina Adoratrice di Amon” durante il regno di Shebitqo; questo dettaglio dimostra che Shabaka non può precedere Shebitqo.
Una delle prove più evidenti che Shabaka governò dopo Shebitqo è stata dimostrata dalle caratteristiche architettoniche delle piramidi reali kushite a El Kurru. Solo nelle piramidi di Pianki (Ku 17) e Shebitqo (Ku 18) le camere funerarie sono strutture a taglio aperto con un tetto a sbalzo, mentre le sottostrutture delle camere funerarie completamente scavate si trovano nelle piramidi di Shabaka (Ku 15), Taharqa (KU 1) e Tantamani (KU 16). L’evidenza del design della piramide mostra anche che Shabaka deve aver governato dopo, e non prima, Shebitqo. Ciò favorisce anche una successione Shebitqo-Shabaka nella XXV dinastia.
Va detto inoltre che nella statua del Sommo Sacerdote di Amon, Haremakhet, figlio di Shabaka, si definisce
<<……..figlio del re di Shabaka, giustificato, che lo ama, Unico confidente di re Taharqa, giustificato, Direttore del palazzo del re di Upper e il Basso Egitto Tanutamani, possa egli vivere per sempre……..>>.

Da notare che sulla statua di Haremakhet non viene fatto assolutamente cenno a Shebitqo, che dovrebbe aver governato tra Shabaka e Taharqa. L’assenza di questo re è strana poiché l’intento del testo della statua era quello di rendere una sequenza cronologica dei re che regnarono durante la vita di Haremakhet. Questa sarebbe un’ulteriore prova a sostegno del fatto che fu Shebitqo a regnare per primo e Shabaka gli succedette. Una possibile spiegazione per l’omissione di Shebitqo dalla statua di Haremakhet era che Shebitqo era già morto quando Haremakhet nacque sotto Shabaka.
Per concludere vorrei evidenziare il fatto che da parte della loro patria nubiana ci siano giunte ben poche tracce sia di Shabaka che di Shebitqo, a parte le piramidi di Kurru ed un cimitero di cavalli sempre a Kurru. Su di una stele al Museo Egizio di Torino sono raffigurati Shabaka e Shebitqo seduti insieme (Shebitqo è seduto dietro Shabaka) di fronte ad un tavolo delle offerte. Secondo William J. Murnane questa è una prova che ci sia stata una coreggenza reale tra questi due re. Il Museo di Torino, prima, poi Robert Morkot e Stephen Quirke, hanno analizzato la stele ed hanno confermato che l’oggetto è un falso. Per la maggior parte degli studiosi non ci fu alcuna coreggenza tra Shabaka e Shebitqo.
Fonti e bibliografia:
- Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
- Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
- Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
- Frédéric Payraudeau, “Retour sur la succession Shabaqo-Shabataqo”, 2014
- Robert Morkot, “The Black Pharaohs: Egypt’s Nubian Rulers”, The Rubicon Press, 2000 Henry Breasted, “The Philosophy of a Memphite Priest”, Leipzig, 1901