Di Piero Cargnino

Per secoli il titolo di “Sposa del Dio” era riferito alla moglie del faraone con un valore religioso mai chiaramente spiegato.
Il titolo di “Divina Sposa di Amon” (Hemet Netjer) fu introdotto durante la XVIII dinastia come titolo onorifico e costituiva un privilegio della regina o di principesse rigidamente appartenenti alla famiglia Reale (salvo rare eccezioni), con il quale venivano insignite le mogli, le madri o le sorelle del sovrano, quali sacerdotesse di Amon. La presenza della Divina Sposa di Amon sul palco per la Festa Sed era indispensabile, il suo compito prioritario era quello di “soddisfare la potenza creatrice del dio”.

La prima “Divina Sposa di Amon” fu Ahmose Nefertari, la Grande Sposa Reale di Ahmose I, iniziatore della XVIII dinastia. Spesso il titolo veniva tramandato da madre a figlia come nel caso della regina Hatshepsut e di sua figlia Neferure, che andrà poi sposa a Thutmosi III. Il titolo cadde in disuso verso la fine della dinastia con lo scisma amarniano di Akhenaton, ma fu poi ripreso, in forma più che altro onorifica già dalla XIX dinastia.

Per tutta l’epoca Ramesside il faraone tornò ad esercitare in piena autonomia il potere che gli era riconosciuto. Con l’avvento della XXI dinastia, nota come la “Dinastia dei Profeti di Amon”, l’incoronazione di un sacerdote quale “Primo Profeta di Amon”, ingenerò l’assunzione di un maggior potere da parte del clero tanto che si può parlare di Teocrazia.

A questo punto anche la casta delle “Divine Spose di Amon” ne trasse beneficio. Al titolo originario venne loro attribuito anche quello di “Divina Adoratrice di Amon” (Dwat Netjer), carica che col tempo si evolvette al punto da divenire indipendente persino dal faraone stesso. Quest’ultimo titolo veniva attribuito in un primo tempo a una figlia del faraone ma, venendo meno il potere centrale, iniziò ad essere attribuito ad una figlia del Primo Profeta, e fu proprio con la nomina a Divina Adoratrice della figlia di Pinedjem I, Primo Profeta di Amon durante la XXI dinastia, che si creò un vero e proprio regolamento che prevedeva che le Divine Adoratrici di Amon dovevano restare nubili e vergini a vita.

Ad esse veniva attribuito il potere di consacrare monumenti e celebrare i rituali, godevano inoltre del privilegio di possedere lussuose dimore dove erano accolte le giovinette destinate a succedergli alle quali venivano impartite vere e proprie lezioni per la loro formazione futura. A dimostrazione dei benefici che il titolo comportava basta pensare che la Divina Adoratrice possedeva enormi ricchezze, controllava un gran numero di funzionari e, come solo al faraone era permesso, poteva fare offerte agli dei.

Solo le giovani gradite al faraone potevano ambire a tale titolo e per essere certi che ciò si verificasse il titolo poteva essere tramandato esclusivamente per adozione del successore da parte della Sposa del dio in carica e aveva carattere ereditario, in quanto una Divina Adoratrice non poteva essere sostituita.
Una volta investita dell’incarico alla nuova Sposa veniva consegnato un cartiglio con il suo nuovo nome derivato sempre dalla radice di Mut, in onore alla sposa celeste del Dio.

Gli attributi principali della Divina Adoratrice in carica li riscontriamo in numerosi rilievi dove appaiono nella loro ampia risonanza: “mano del dio” (in egizio: Djeret Netjer); “colei che rallegra la carne del dio”; “colei che si unisce al dio”; “colei che ha la gioia di vedere Amon”. Ma sarà solo durante il Terzo Periodo Intermedio, in particolare sotto la XXV dinastia che il titolo assumerà un’importanza assai rilevante, oltre al potere religioso, che già possedevano, le “Divine Adoratrici di Amon” acquisirono un notevole potere politico di controllo su Tebe, città sacra al dio Amon, e sulla regione circostante soppiantando quello precedente del “Primo Profeta di Amon”, provvedimento che i sovrani adottarono nell’intento di limitare lo strapotere dei sacerdoti.

Al fine di valorizzare ulteriormente il loro potere venne disposto che il loro nome venisse inscritto in un cartiglio, simbolo della regalità. Basti pensare che la Divina Adoratrice Nitokris I giunse persino ad adottare la titolatura regale attribuendosi un nome Horo. Anche se limitato alla sola regione di Tebe, durante la XXV dinastia, indipendentemente dal caos in cui versava l’Egitto, la tebaide mantenne la sua notevole autonomia sotto il governo delle “Divine Adoratrici di Amon” che costituivano quella che molti chiamano la “Dinastia delle Divine Adoratrici di Amon”.

Ritengo doveroso citare almeno i nomi di queste fiere donne che seppero, anche nei momenti più difficili, reggere il governo della tebaide, cosa che uomini guerrieri non seppero fare: Shepenupet I, Amenirdis I, Shepenupet II, Amenirdis II, Nitocris I, Ankhnesneferibra, Nitocris II. Tanto gli è dovuto. Con l’avvento della XXVI dinastia i Persiani restituirono il titolo a fanciulle vergini, nate da famiglie locali.

Fonti e bibliografia:
- Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
- Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
- Edda Bresciani, “L’Antico Egitto”, De Agostini, Novara, 2000
- Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
- Kenneth Kitchen, “Il terzo periodo intermedio in Egitto (1100–650 a.C.)” 3a ed, Warminster: 1996
- Jurgen von Beckerath, “Das Verhältnis der 22. Dynastie gegenüber der 23. Dynastie”, 2003
- Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, 9ª ed., Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
- Christian Jacq, “Le donne dei faraoni”, Mondadori, 1998