C'era una volta l'Egitto, Età Tarda

IL FARAONE APRIE 

(HAAIBRA WAHIBRA)

Di Piero Cargnino

Alla morte di Psammetico II sale al trono il figlio Aprie (Haaibra Wahibra). Il Canone Reale gli assegna un periodo di regno che, per questa fase storica pare eccessivamente lungo; rifacendoci a Sesto Africano (che lo chiama Akmenrah) avrebbe regnato ventinove anni che pare concordare con i dati archeologici mentre Eusebio di Cesarea, come Erodoto, gliene attribuiscono ventisei.

Oltre al fatto di comparire nella lista reale, Aprie è noto perché compare su di una stele da Tebe, un coperchio di vaso da El-Lahun e su parecchi scarabei di cui uno proviene da Biblo.

Dovrebbe aver regnato sulla maggior parte dell’Egitto dato che i ritrovamenti a suo carico si trovano sparsi un po’ in tutto il paese.

La sua Grande Sposa reale pare essere stata Khaesnebu.

Dall’Antico Testamento lo troviamo citato nel libro di Geremia quando, poco dopo la sua salita al trono, il re di Giuda Sedechia, certo dell’appoggio dell’esercito egizio, si ribellò a Nabucodonosor di Babilonia. Aprie non intervenne direttamente contro l’esercito babilonese ma si limitò a sbarcare un contingente di guerrieri sulle coste siriane che attaccarono le città di Biblo, Arvad e Sidone, fedeli a Nabucodonosor.

Quando Gerusalemme venne conquistata dalle truppe babilonesi  nel 587 a.C. Apries era già tornato in Egitto con i suoi uomini. La Bibbia cita la collera del dio degli ebrei per questo mancato intervento diretto:

ma non successe nulla di tutto ciò.

Diversi profughi ebrei riuscirono a scampare e si rifugiarono in Egitto, Apries li accolse assegnandogli come insediamento l’isola di Elefantina dove gli permise anche di erigere un tempio al loro dio. Superfluo dire che la descrizione di questi avvenimenti non ci provengono da fonti egizie , o per carenza di fonti archeologiche o per scelta da parte degli egiziani; ci sono invece fornite da fonti greche, babilonesi e dalla Bibbia.

Sul fronte interno assistiamo a pochi cambiamenti, anche Aprie tenne ad esaltare, in campo artistico e religioso, la tradizione intrapresa dai suoi predecessori. Continuò a favorire la comunità greca a scapito di quella libica dove aumentò il malumore nella casta militare che si sentiva messa da parte nelle posizioni di potere.

Successe che un tempo un capo libico, Ardikran, chiese aiuto ad Aprie per attaccare un avamposto greco, la città di Cirene, fondata sulla costa libica circa 60 anni prima da un avventuriero dorico di nome Battos. Aprie accettò di aiutarlo ma essendo l’esercito egiziano composto in gran parte da mercenari greci, inviò un contingente composto da libici ed egizi. L’esercito però venne sconfitto ed i superstiti si ammutinarono. Per far fronte a questa situazione, Aprie inviò un altro esercito sotto la guida del generale Amasis, che aveva già sedato un ammutinamento di truppe greche che combattevano alla frontiera con la Nubia. Subito il suo esercito lo acclamò sovrano, Aprie armò dunque un nuovo esercito che inviò contro Amasis ma questo venne sconfitto ed Aprie fu catturato. L’usurpatore Amasis non infierì su Aprie ma lo trattò con benevolenza, ma il vecchio sovrano fece un ulteriore tentativo di recuperare il trono, sconfitto venne giustiziato.

Nonostante tutto Amasis rispettò il suo predecessore al quale riservò gli onori funebri e lo fece seppellire, rispettando i rituali, nel tempio di Neith a Sais.

Aprie fece costruire tra l’altro due obelischi gemelli di granito rosa che Roma, ovviamente, non si lasciò sfuggire. Recuperati da Sais in epoca imperiale (90 d.C.) vennero trasportati a Roma dove costituirono ornamento al tempio di Iside al Campo Marzio, il culto della dea Iside contava molti seguaci nell’antica Roma. Gli obelischi vennero abbattuti e rotti durante il periodo dell’imperatore Teodosio che perseguiva l’abolizione dei culti pagani.

Uno dei due, l’obelisco della Minerva, così è chiamato oggi, è collocato a Roma nella piazza della Minerva davanti alla Basilica di Santa Maria, è stato eretto sulla schiena di un elefante di marmo scolpito da Ercole Ferrata su disegno del Bernini nel 1667. L’intero complesso monumentale viene chiamato dal popolo il “Pulcin della Minerva” dove Pulcin sta ad indicare le ridotte dimensioni dell’elefante.

Alto 5,47 metri l’obelisco conserva sui quattro lati iscrizioni in geroglifico che dicono che fu eretto in onore del faraone Aprie.

L’obelisco gemello, anch’esso restaurato venne donato alla città di Urbino, dove si trova tutt’ora in Piazza Rinascimento di fronte alla chiesa di San Domenico, per volere del cardinale Annibale Albani, come celebrazione del pontificato di Clemente XI (Giovanni Francesco Albani) in occasione del rinnovamento del tessuto urbano voluto dalla famiglia Albani.

Fonti e bibliografia:

  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano , 2003
  • Salima Ikram, “Antico Egitto” , Ananke, 2013
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Franco Mazzini, “I mattoni e le pietre”, Urbino, Argalia, 2000
  • Jurgen von Beckerath, “Chronologie des Pharaonischen Agypten”, Ed. Zabern, 1997
  • Kenneth Kitchen, “Il terzo periodo intermedio in Egitto (1100–650 a.C.)” 3a ed, (Warminster: 1996)

Lascia un commento