Di Ivo Prezioso
Ne “La funzione di una piramide“ si è fatto cenno ad una comunità di individui operanti nella città della piramide, cui ci si riferisce con l’appellativo di “Khentiu-She”. Credo sia utile fornire qualche dettaglio in più su questo termine che ha posto non pochi problemi di interpretazione agli egittologi.
Dalle testimonianze scritte e pittoriche dell’Antico Regno conosciamo un gruppo di persone, indicate sotto il nome di khentiu-she (ḫntjw- š), che da un lato erano collegate al palazzo del sovrano in carica e, dall’altro, rientravano nel personale di culto dei templi piramidali reali. Il loro ruolo esatto e il loro significato sono difficili da comprendere, poiché le fonti disponibili non forniscono un quadro coerente. Molto è già stato scritto al riguardo e sono state proposte diverse traduzioni: “impiegato”, “residente della città delle piramidi”, “addetto”, “approvvigionatore”, “guardia”, “affittuario di terre”, “sacerdote khenti-she”, “servitore”.
Negli ultimi venticinque anni, i ritrovamenti di papiri nel tempio piramidale di Neferefra ad Abusir (Immagine n. 1) e gli scavi nella regione della capitale dell’Antico Regno intorno a Memphis e alle necropoli reali ad essa associate, hanno portato alla luce nuovo materiale che mantiene viva la discussione.

Il significato del termine
Per avvicinarsi al significato della denominazione ḫntj- š, si è ricorso innanzitutto ad un’analisi del termine stesso. Sono documentate molte grafie diverse, tra cui quelle con il segno della collina come determinativo (Immagine n. 2), ma senza alcuna differenza semantica riconoscibile.

Per quanto riguarda la struttura della parola, c’è un accordo di fondo sul fatto che ḫntj- š sia un termine composto. Esso è costituito dal termine di relazione ḫnt, seguito dal sostantivo š, la cui indipendenza è indicata dal trattino diacritico scritto occasionalmente (Immagine n. 3).

Che non si tratti di una parola quadripartita ḫntŠè ulteriormente dimostrato dalla forma femminile ḫnt(j)t- š (Immagine n. 4) e dalla dettagliata grafia del plurale.

e la prima pagnotta (t) fungono da complementi fonetici del simbolo trilittero ḫnt (Khenti) a sinistra (i tre vasi). La seconda pagnotta è la desinenza -t del femminile. La traslitterazione è ḫnt(j)t- š, mentre la lettura convenzionale è Khentit-she.La preposizione ḫnt significa “più avanti di”, che può avere un significato locale, ma è anche usato nel senso figurato di “numero uno, primo”; quest’ultimo spesso presente in epiteti di divinità*. Entrambi indicano una posizione di rilievo del portatore della denominazione rispetto a š. Tuttavia, le opinioni divergono su cosa implichi questa posizione, su cosa si intenda per š e, di conseguenza, sul modo in cui il portatore della designazione še l’intero termine ḫntj-š possano essere tradotti e interpretati.
š in relazione al significato di “stagno”, “giardino”, “tenuta/proprietà”.
La parola šha un’ampia gamma di significati. Le linee d’acqua all’interno del geroglifico suggeriscono un significato di base di “specchio d’acqua”, che può riferirsi sia a bacini naturali sia a bacini artificiali. Nel decreto di Pepy I, in favore delle due città piramidali di Snofru a Dahshur, gli stagni “š(w)” sono menzionati come base per la tassazione, insieme ai “mr”(canali e pozzi).
Lo scavo di uno stagno e la creazione di un giardino facevano parte della realizzazione della casa di un alto funzionario. Ad esempio, il funzionario Metjen, all’inizio della IV dinastia, riferisce di aver costruito una casa “pr” di 100 cubiti di lunghezza e 100 cubiti di larghezza, nella quale realizzò uno š molto grande e realizzò varie piantumazioni.
Le scene tombali indicano chiaramente che la designazione š poteva essere applicata all’intero giardino che circondava lo stagno. šera usato anche per designare vaste aree con alberi, pascoli per capre, aiuole di verdure, piantagioni di frutta, stagni con piante di loto e papiro e laghetti per uccelli abbastanza grandi da permettere alle barche di navigare. Simbolicamente, un giardino con uno stagno corrispondeva anche a un luogo di sepoltura, che era la dimora dell’esistenza ultraterrena** e avevano un significato che andava oltre la morte del proprietario, in quanto vi si producevano offerte per il suo culto funerario. Poiché le condizioni locali delle necropoli non consentivano di solito la costruzione di giardini tombali anche di piccole dimensioni, i tavoli per le offerte in forma di bacino ne assumevano magicamente la funzione***. Il simbolismo di questi giardini-stagno andava al di là di un significato puramente reale, come il rinfresco, la pulizia, la fonte di frutta e verdura o l’intrattenimento: in senso astratto, essi incarnavano l’idea di fertilità e rigenerazione, che avrebbero magicamente garantito ai defunti.
L’uso del termine šanche per i giardini più estesi e le aree periferiche del deserto può aver portato a uno spostamento di significato. In grafie come quella raffigurata in (Immagine n. 5), che riportano una t sotto la š, la š originale era probabilmente intesa come išt, col significato di tenuta/proprietà.

Tali grafie potrebbero quindi non essere errori, ma reinterpretazioni del termine tradizionale****. Un documento in cui si può assumere il significato di šcome “tenuta” ed escludere un riferimento a uno specchio d’acqua è l’iscrizione tombale di Washptah, un visir vissuto durante la V dinastia, nella quale viene menzionato un oggetto in pietra calcarea, probabilmente un pezzo di corredo della tomba, ḥr š dt(.ỉ), “nella (mia) tenuta personale” nella città piramidale di Sahure. In definitiva, šaveva un’ampia gamma di significati, da “stagno” (reale e metaforico) a “giardino” (intorno a una piscina), fino a “tenuta”.
Continua…
* Cfr. ad esempio gli epiteti di Anubi ḫntj-Imntjw (primo degli occidentali), e ḫntj sḥ-nṯr (che precede la tenda di Dio). Anche per quanto riguarda i re defunti il termine “nella” della locuzione “nella loro piramide” , ḫntj era occasionalmente usato al posto della preposizione m, come ad esempio nel titolo di Netjeraperef dell’inizio della IV dinastia: ḥm-nṯr Snfrw ḫnt(j) ẖˁ-Snfrw – “sacerdote di Snofru primo della piramide “Snofru splende”. Tali grafie potrebbero quindi non essere errori, ma reinterpretazioni del termine tradizionale. Un documento in cui si può assumere il significato di S come “tenuta” ed escludere un riferimento a uno specchio d’acqua è l’iscrizione tombale di Washptah.
** Nella tomba di Ankhmahor, il š n(j) (pr-)dt “giardino della proprietà personale” è rappresentato quasi come un’istituzione astratta, personificata come un portatore di offerte.
*** Questo è particolarmente evidente in reperti nei cui angoli sono stati intagliati alberi di sicomoro o disegnate barche.
È verosimile interpretare “š” come lavoro realizzato in pietra?
Per š, è stato preso in considerazione anche il significato di “opera in pietra”.
L’iscrizione di Niankhsekhmet è spesso usata come prova di questa interpretazione. Il testo riporta che questo funzionario ricevette dal re due false porte. Sahura le fece completare nel portico di uno dei suoi palazzi e il lavoro fu eseguito in presenza del re stesso. La seguente scrittura, ḫpr šrˁ nb (Immagine n. 6) è stata finora valutata in due diversi modi: come opera (in pietra) o come area su cui sorgeva il palazzo con il portico.

Tuttavia, non ci sono altre prove per una traduzione di š come “lavorazione della pietra”. Il titolo ỉmj-r(3) š (Immagine n. 7), che compare spesso tra i capi delle spedizioni in cava, è stato apparentemente visto in questo contesto e tradotto come “supervisore del lavoro in cava” o “supervisore della lavorazione della pietra”.

Ma ciò non è convincente perché in questa interpretazione un’attività sarebbe equiparata all’oggetto lavorato (pietra) o al luogo di lavorazione (cava) e di solito, per le attività manuali, la parola utilizzata era “k3t”.
Che š in questo titolo non abbia nulla a che fare con “pietra” o “cava” è dimostrato dalla variante più dettagliata del titolo (immagine n. 8) , ỉmj-r(3) š n mšˁ (“sorvegliante della š dell’esercito”), dove š si riferisce probabilmente al “recinto” dell’esercito di spedizione, cioè al suo accampamento, la cui creazione e manutenzione doveva essere organizzata e supervisionata da un membro dello staff esecutivo dell’esercito.

Come dimostrano gli scavi di Wadi el-Jarf nel Golfo di Suez, questi accampamenti non erano solo luoghi di pernottamento per i partecipanti alle spedizioni, ma comprendevano anche zone per i vari tipi di lavoro artigianale necessari per le forniture e le attrezzature della spedizione, magazzini e luoghi di lavoro per i rispettivi amministratori. Per il termine ỉmj-r(3) š sarebbe quindi appropriata la traduzione “sorvegliante dell’accampamento”, mentre va scartato il significato di “lavoro (in pietra)”, “lavoro di cava”. Per š se ne ricava, quindi, un significato di area in cui le truppe di spedizione potevano accamparsi e venivano rifornite.
š inteso come distretto collegato al re
š si riferiva anche ai terreni su cui sorgevano gli edifici reali. Il capomastro del re Isesi, il visir Senedjemib-Inti, menzionò nella sua iscrizione funeraria la š di un edificio (il segno ḥwt con un disegno interno mal conservato) appartenente al palazzo ḥb-sd di Isesi con una dimensione di circa 525 x 231 m. Tali dimensioni sono paragonabili a quelle del complesso di Djoser. Pertanto, š probabilmente designava, in questo caso, il terreno di costruzione del grande recinto wsḫt in cui insistevano il palazzo cerimoniale e altre strutture di culto per la festa Sed del sovrano. Il re premiava i funzionari meritevoli nel š. I documenti venivano emessi in presenza del re nel š n pr-ˁ3 (she della Grande Casa). Un’ortografia con pr come determinativo (immagine n. 9) fa di š n pr-ˁ3 un’istituzione praticamente immateriale.

Una simile grafia si trova anche in un titolo che, purtroppo, non si è conservato completamente: imj-r(3) iz [///] š pr-ˁ3 ( “sorvegliante della camera di … della she della Grande Casa”. Un titolo che aveva una conformazione simile: ỉmj-r(3) sšrw nswt š pr-ˁ3 (supervisore della biancheria reale della she della Grande Casa), indica che i prodotti di valore, compresi i tessuti, erano conservati nella š pr-ˁ3.
Poiché esistono poche sequenze di titoli in cui ỉmj-r(3) špr-ˁ3 è collegato a titoli come “supervisore della biancheria reale” e/o “supervisore dei gioielli del re”, il primo è stato tradotto anche come “supervisore della tessitura della Grande Casa”. Non essendoci altre connessioni tra š e la tessitura, il parallelo con il già discusso titolo imj-r(3) š (sorvegliante dell’accampamento) sembra essere più appropriato. Anche un insediamento (para)militare avrebbe senso come elemento della Grande Casa, dal momento che le forze militari erano direttamente assegnate al palazzo. Possiamo immaginare che si trattasse di un complesso permanente di edifici con alloggi per il personale, uffici amministrativi, strutture, magazzini per le attrezzature e per i preziosi proventi delle spedizioni. Il titolo ỉmj-r(3) š pr-ˁ3 può quindi essere inteso come “supervisore dell’accampamento del palazzo”. Poiché esiste anche una forma duale (Immagine n. 10) ỉmj-r(3) šwj pr-ˁ3, per il controllo generale è possibile che ci sia stato più di un accampamento, probabilmente due.

Questi titoli di sorvegliante dimostrano che š n pr-ˁ3 era un’area distinta che apparteneva al palazzo ma non necessariamente era identificabile con esso.
La “she della Grande Casa” comprendeva anche strutture di culto. Lo indica una manifestazione particolare del dio del sole: Rˁ-ḥr-š -(n)- pr-ˁ3 (Ra nel recinto del palazzo). La presenza parallela di un Ḥwt-Ḥr-ḥr-n- pr-ˁ3 (Hathor nella she del palazzo) in una voce della pietra di Palermo (Immagine n. 11), che in precedenza è stata ignorata a causa di un’interpretazione errata, depone contro la traduzione di š n pr-ˁ3 come “lago del palazzo”, come ritenuto da Goelet e Bogdanov.

Qui la donazione di un altare ciascuno per Ra e Hathor “nella she della Grande Casa” (ḥrš n pr-ˁ3) è riferita Neferirkara. Si potrebbe obiettare che š n pr-ˁ3 non indichi la posizione dei due altari, ma faccia parte del nome delle divinità. Però, gli altari sono scritti tra i nomi delle divinità e il toponimo ḥrš n pr-ˁ3. Dai titoli dei sacerdoti sappiamo che Hathor era venerata, tra le altre divinità, in santuari ed almeno alcuni di essi furono costruiti nella “š n pr-ˁ3”. Il già citato capomastro Senedjemib/Inti riferisce, ad esempio, di aver curato la decorazione della “cappella mrt di Isesi che si trova nel “š n pr-ˁ3” (Immagine n. 12). Una cappella mrt in un “š n pr-ˁ3” è attestata anche per Teti.

Poco si conosce in merito a questo tipo di santuario, che è sempre associato al nome di un re. Il loro culto si concentrava principalmente su Hathor, ma anche su suo figlio Ihi e sul sovrano. Da ciò nasce l’ipotesi che i santuari mrt fossero luoghi del matrimonio simbolico del re-Horus con Hathor per aumentare la fertilità non solo della coppia reale ma anche di uomini, animali e campi”.
**** Ciò può valere anche per la definizione di personale ḫntj-š (Khentiw-She)
Fonte: The Khentiu-she di Petra Andràssy(Humboldt-Universität zu Berlin)