EVOLUZIONE DELL'ARCHITETTURA FUNERARIA, Luce tra le ombre

I RECINTI FUNERARI REALI DI ABYDOS E HIERAKONPOLIS

Le tombe reali della I e II dinastia a Umm-el Qaab, nei pressi di Abydos, furono scavate interamente da Petrie tra il 1900 e il 1902 e la loro enorme rilevanza apparve chiara sin dal primo momento. A partire dalla fine del secolo scorso, gli scavi di Günter Dreyer, hanno aggiunto nuove conoscenze e consentito la localizzazione di tombe di sovrani persino più antiche. Tuttavia i recinti reali di Abydos, situati a circa un chilometro e mezzo a nord della necropoli, presentano degli aspetti ancora dibattuti dagli archeologi.

Dal 1982 queste strutture sono state analizzate con attenzione sempre crescente e soggette a nuovi scavi ed indagini sotto l’egida del Pennsylvania Yale-Institute of Fine Arts, della Abydos Expedition condotta dalla New York University, diretta da W.K. Simpson e David O’Connor, e dall’ Abydos Early Dinastic Project diretto da David O’ Connor e Matthew Adams. Il secondo team, in particolare ha focalizzato il suo impegno nella localizzazione e nello scavo definitivo di tutte le rovine ancora inesplorate ricorrendo anche all’uso di esami magnetici.

Immagine n. 1 Nell’angolo meridionale di Shunet el-Zebib è parzialmente visibile il muro perimetrale. I danni subiti dalla struttura sono evidenti, ma è in atto un programma di conservazione (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 78-79).

I recinti di Abydos sono strutture costruite per i sovrani della I e II dinastia sepolti a Umm el-Qaab. Definiti talvolta dagli studiosi, come “Talbezirke” ( vale a dire “luoghi della valle” oppure “palazzi funerari”) mostrano di essere stati elementi di importanza pari alle tombe stesse e possono essere ragionevolmente considerati come i diretti antenati dei successivi complessi piramidali. Uno di questi recinti, il più tardo, costruito per il re Khasekhemwy (Immagini 1-2-3) alla fine della II Dinastia si presenta ancora come un’ imponente struttura ed è chiamato localmente “Shunet el-Zebib”. In alcuni punti il muro in mattoni crudi si avvicina all’altezza originaria che, probabilmente raggiungeva gli 11 metri, e circoscrive un’ area di circa un ettaro. Tutte le altre strutture, raggruppate nelle vicinanze, anch’esse realizzate in mattoni, sono gravemente danneggiate e spoglie sicché possono essere studiate e rivelate solo attraverso gli scavi.

Immagine n. 2 La modanatura della facciata nord-orientale della recinzione di Khasekhemwuy (Shunet el-Zebib) è ancora in buono stato di conservazione (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 78-79).

Il recinto di Khasekhemwy è il più grande monumento del Periodo Protodinastico ad essersi conservato ancora eretto (un’altra sua cinta muraria la ritroviamo a Hierakonpolis, ma misura circa la metà) e fu esplorato per la prima volta su mandato di Auguste Mariette negli anni 60 del 1800, ma non si riuscì a determinarne né la datazione, né la funzione. Nel 1903, l’archeologo inglese E.R. Ayrton lo attribuì a Khasekhemwy e poco lontano localizzò una recinzione di Peribsen, il suo predecessore. Suggerì, inoltre, che un terzo recinto, nei pressi di un villaggio copto ancora oggi esistente, risalisse all’ Epoca Protodinastica. Gli studi condotti su quanto ne rimane, però, fanno propendere per una datazione più tarda.

Immagine n. 3 Una diversa inquadratura del recinto di Khasekhemwy ripresa da Sylvie Favre Brian (©Franck Monnier “L’Univers Fascinant des Piramides d’Égypte”, pag. 24)

Tra il 1911 ed il 1914 l’ egittologo inglese Thomas Eric Peet rinvenne le tracce di un altro recinto associato a sepolture sussidiarie molto simili a quelle che circondavano le tombe reali della I dinastia a Umm el-Qaab.

Nel 1922 Petrie confermò che si trattava di una cerchia di mura associata alla regina madre Merneith e rinvenne a nord-ovest di questa due immensi rettangoli concavi contenenti tumulazioni accessorie risalenti ai re Djer e Djet. Inoltre, a sud-ovest del recinto di Merneith trovò un’ altra probabile recinzione che prudenzialmente chiamò “Mastaba occidentale”.

Fino al 1986 sul sito non furono eseguite altre esplorazioni, ma nel 1966 Barry Kemp aveva suggerito che la “Mastaba occidentale” fosse effettivamente un recinto e che non si poteva escludere l’esistenza di ulteriori mura in mattoni all’interno dei rettangoli sepolcrali di Djer e Djet. Fondamentalmente d’accordo con lui, Werner Kaiser, nel 1969, propose che gli eventuali recinti potessero essere stati eretti in legno e stuoie anziché in mattoni. Entrambi gli studiosi, cui si associò anche Günter Dreyer, erano comunque concordi sul fatto che le recinzioni dimostrassero che le tombe reali di Umm el-Qaab erano inumazioni e non cenotafi come qualcuno ancor oggi sostiene. In seguito, l’attività dell’ Abydos Early Dinastic Project ha permesso di ampliare considerevolmente le nostre conoscenze sui recinti di Abydos. E’ stato, infatti, localizzato il settore nord-ovest (caratterizzato dalla presenza di una porta monumentale) del recinto di Peribsen, del tutto ignorato dai primi scavatori; acquisita la conferma dell’esistenza della cinta in mattoni di Djer econseguentemente, dell’altra appartenuta a Djet. Inoltre, è stato definitivamente accertato che la “Mastaba occidentale” è a tutti gli effetti una recinzione muraria.

Immagine n. 4 Mappa del sito nel primo periodo dinastico (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 80).

Nel 2001 ha preso il via l’indagine magnetica dell’intera area che ha rapidamente condotto all’emozionante scoperta di ulteriori due recinti. Appare quindi chiaro che per ogni tomba reale di Umm el-Qaab fu realizzata una cinta lontana, nell’area che oggi viene indicata come “Necropoli Nord”. Questa localizzazione pone tali edifici decisamente più vicini all’antica città, al margine della piana fluviale, rispetto alle tombe vere e proprie realizzate nell’area desertica (Immagini 4-5-6).

Immagine n. 5 Localizzazione dei recinti del primo periodo dinastico (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 81).

A Hierakonpolis, il recinto di Khasekhem (il primo nome di Khasekhemwy), esplorato solo sporadicamente in passato, è stato oggetto di studio sistematico da parte di Renée Friedman. Diversamente da quelli rettangolari di Abydos, presenta una pianta quadrata ed occupa un’area di circa 0,49 ettari; in alcuni punti conserva ancora un’altezza di 11 metri. Qualunque fosse il suo scopo è improbabile che contenesse una tomba del sovrano a Hierakonpolis, della quale non è mai stata ritrovata traccia.

Immagine n. 6 I muri e l’interno del recinto di Aha, qui ripreso da nord-ovest,furono scavati in misura consistente già nell’antichità. La cappella interna è visibile in lontananza. Sullo sfondo si distingue Shunet el-Zebib, mentre a destra si osserva il muro di un cimitero cristiano moderno, sovrapposto all’angolo occidentale della struttura di Aha (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 81).

I re della II dinastia precedenti a Peribsen, furono inumati a Saqqara e non ad Abydos e si suppone che le loro tombe fossero completate da recinti separati dei quali, tuttavia, non è stato possibile datarne con certezza i ruderi che potrebbero anche appartenere ai complessi piramidali edificati dopo quello di Djoser.

Le vestigia del recinto di Khasekhemwy ad Abydos sono sorprendenti, ma essendo antiche di oltre 4600 anni, cominciano a mostrare segni di instabilità e minacciano di crollare.

Immagine n. 7 Il recinto di Khasekhemwy a Hierakonpolis (© http://www.hierakonpolis-online.org/inde…/explore-the-fort).

Grazie alla concessione della United States Agency for International Development Fund, tramite l’Egyptian Antiquieties Project dell’ American Research Center in Egitto, sono state messe in atto le iniziative intese a documentare, stabilizzare e conservare questo grande monumento.

Nel 1991, inaspettatamente, si rinvennero dodici enormi fosse per barche (altre due furono localizzate nel 2000), disposte in fila all’esterno del versante nord-orientale della tomba di Khasekhemwuy (Immagini n. 8-9).

Immagine n. 8 In primo piano si possono osservare i resti di alcune fosse per barca situate a nord-est di Shunet el-Zebib, visibile sullo sfondo (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 82-83).

Databili alla I dinastia, questi elementi costituiscono un ulteriore importante collegamento tra Abydos, i monumenti reali protodinastici e i ben più tardi complessi piramidali. Anche questi ultimi, infatti, sono talvolta contraddistinti dalla presenza di “tombe” per barche oppure di cavità che ne richiamano la forma. Ad Abydos, ora lo si può asserire con certezza, queste installazioni sono del tutto simili, se non completamente identiche, nella configurazione e nel contenuto; inoltre, una vera barca di legno, lunga circa 23 metri era mantenuta in assetto da una trincea scavata poco al di sotto della superficie del deserto.

Immagine n. 9 In questa mappa sono illustrate le quattordici fosse per barca che furono dedicate all’anonimo proprietario del recinto della “Mastaba Occidentale” (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 82).

Le imbarcazioni, accuratamente inserite in una muratura di mattoni crudi, sporgevano di circa 50 centimetri rispetto al livello del suolo. Raggiunta poi la sommità del natante, la cavità che ne derivò fu colmata anch’essa con mattoni e all’estremità fu aggiunta una muratura a contrafforte. Di conseguenza la fossa, estesa longitudinalmente per 26,3 metri, finì per risultare notevolmente più lunga del natante stesso. Tutta la parte superiore veniva poi intonacata e imbiancata. L’aspetto finale delle sovrastrutture ricalcava il profilo della barca che ospitavano, mentre il contrafforte ne rappresentava la “prua” o la “poppa”.

La fila di quattordici fosse doveva quindi apparire, nel suo insieme, come una flotta ormeggiata nel deserto; impressione ulteriormente rafforzata dalla presenza di un piccolo masso posto su alcune di esse come ad indicare un dispositivo di ancoraggio o di ormeggio (Immagine n. 10).

Immagine n. 10 Due fosse rivelano la prua o la poppa delle imbarcazioni inumate. Degno di nota è il piccolo masso sulla sagoma a sinistra. Probabilmente era un’ancora oppure una pietra di attracco (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 83).

Fosse simili sono presenti anche in associazione con le tombe d’élite della I dinastia a Saqqara e a Helwan, ma in numero di solo una per sepolcro e di solito più piccole e meno elaborate di quelle di Abydos. Queste inumazioni navali, risalgono alla stessa epoca del recinto della Mastaba Occidentale, il cui proprietario regale rimane ancora oscuro ed in ogni caso risultano essere più antiche del recinto di Khasekhemwuy, che fu eretto 200 anni dopo, se non di più.

Nel 2000 è stata riportata alla luce parte di un imbarcazione al fine di poter analizzare i problemi relativi allo scavo e alla conservazione e per cominciare ad indagare sulla struttura stessa delle barche. Il segmento rinvenuto ha rivelato che gran parte del fasciame si trova in situ, ma si presenta estremamente fragile, mentre il resto è stato degradato dagli insetti xilofagi (Immagine n. 11). Tuttavia, l’esperta consulente Cherl Ward, poté facilmente stabilire che le tavole erano assemblate tra loro per mezzo di funi intrecciate che passavano attraverso occhielli ricavati nel legno.

Immagine n. 11 Primo piano della fossa per barca n. 10 parzialmente scavata: parte del fasciame è ancora intatta anche se i pozzi intrusivi lo hanno distrutto su entrambi i lati (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 83).

Le imbarcazioni non sono provviste né di ponte né di castello, ma la ricercatrice è convinta che fossero funzionali e non semplicemente dei giganteschi modelli: dotate di scafi bassi e affusolati, un equipaggio composto da una trentina di rematori sarebbe stato in grado di farle navigare velocemente.

Le barche di Abydos costituiscono un elemento di enorme importanza per gli archeologi in quanto hanno abbondantemente raddoppiato il numero di vascelli in legno rinvenuti in Egitto e sono inoltre, le più antiche imbarcazioni al mondo, finora scoperte (Immagine n. 12) .

Immagine n. 12 Pianta di una tipica imbarcazione non scavata. Sebbene frammentario, a causa di distruzioni successive, lo scavo manitene la forma di imbarcazione. All’interno è visibile (linee più scure) il profilo dello scafo di legno.

Nonostante l’incompletezza delle testimonianze disponibili, appare chiaro che i recinti di Abydos avessero una funzione preminentemente funeraria e che, per quanto riguarda il loro aspetto, mutarono relativamente poco nel corso degli oltre 300 anni in cui si svolse il Periodo Protodinastico.

Le connessioni con le contemporanee tombe di Umm el-Qaab e con le sepolture supplementari associate entrambe alla I dinastia, indicano chiaramente il loro utilizzo in questo ambito. Sia i cortigiani e i servitori sacrificati, sia le barche sepolte rientrano in quella tipica concezione riconducibile all’idea di un proseguimento delle mansioni da svolgere in favore del sovrano tanto nel contesto della tomba stessa, quanto nell’ambito del recinto.

Le tombe di Umm el-Qaab databili alla I e alla II dinastia si differenziano per la loro planimetria, ma molto probabilmente, tutte erano ricoperte da una sovrastruttura costituita da un tumulo di sabbia e ghiaia, racchiuso da mura di contenimento in mattoni o pietra (come nel caso di Khasekhemwuy) e affiancato a sud-est da una cappella. In pratica, allorquando si dava avvio alla realizzazione di una tomba, iniziava anche la costruzione di un recinto nella Necropoli Nord.

Alcuni sepolcri, forse addirittura tutti, venivano dotati di una cappella utilizzata per il culto del defunto.

Con il passare del tempo, i recinti si diffusero su un’ampia area (estesa all’incirca per 10 ettari) non occupata da altre tombe se non da quelle supplementari che venivano disposte ordinatamente attorno ad alcune (o forse tutte) recinzioni della I dinastia. Queste seguono invariabilmente lo stesso modello, anche se si notano cambiamenti nei dettagli architettonici che sembrano indicare, più che altro, trasformazioni nella pratica dei rituali; le dimensioni possono differire, ma resta comunque del tutto simile la loro planimetria. Il recinto di dimensioni minori è quello di Aha, scoperto nel 2001 ed esteso su una superficie di 0,07 ettari, quello di Merneith e la “Mastaba Occidentale” occupano mediamente circa 0,18 ettari, quelli di Djer Peribsen 0,55 ettari, mentre la cinta di Khasekhemwuy, la più grande, ricopriva un’area di 1,07 ettari. Tutti si presentano sostanzialmente omogenei nella loro forma rettangolare e seguono l’orientamento da nord-ovest a sud-est; inoltre in tutte le facciate esterne si aprono delle nicchie che ricalcano uno schema virtualmente identico, costituito da semplici incavi su tre facciate ed uno più articolato e complesso a nord-est o, in qualche caso ad est. Ciascun recinto disponeva di un accesso presso gli angoli nord ed est ed alcuni erano dotati di ingressi aggiuntivi. Le pareti erano sempre intonacate con fango, tranne quelle dell’edificio di Khasekhemwuy che presentano un ulteriore rivestimento di intonaco biancoE’ stata, inoltre, accertata la presenza di una cappella nei recinti di Aha, DjerPeribsen Khasekhemwuy ubicata invariabilmente nella metà sud-orientale della cinta.

L’accesso ad est, relativamente più elaborato, era dotato di una sala interna che permetteva l’ingresso al recinto: veniva lasciata sempre aperta ed era situata abbastanza vicino alla cappella. Durante la I dinastia, questo elemento doveva essere considerato molto importante: lo dimostra il fatto che, mentre le tombe sussidiarie erano collocate ad una certa distanza, quelle più grandi, e presumibilmente di maggior prestigio, erano raggruppate nelle sue immediate vicinanze.

Alcuni particolari sembrano indicare che le variazioni occorse nel rituale con il passare del tempo, abbiano determinato cambiamenti nelle forme architettoniche. Durante la I dinastia, infatti, l’accesso nell’angolo settentrionale si caratterizzava per una pianta molto semplice e veniva sigillato poco dopo il completamento del recinto in modo da prendere l’aspetto di una nicchia molto profonda orientata verso l’esterno. Fu utilizzato solo per un breve periodo ed era probabilmente correlato ai rituali che si svolgevano nella metà nord-occidentale della cinta. Nei recinti della tarda II dinastia, invece, l’ingresso nord divenne più elaborato: era profondamente incassato, dotato di una sala interna e, apparentemente, non veniva sigillato. Tutto ciò suggerisce che il passaggio settentrionale avesse acquisito una maggiore rilevanza e, probabilmente, fu utilizzato per ripetuti ingressi rituali.

Per gran parte del Periodo Protodinastico, la cappella ubicata presso l’ingresso orientale fu di modeste dimensioni e relativamente semplice. I tempietti dei recinti di Aha Peribsen erano dotati di solo tre camere con pianta quasi del tutto identica e, come quello, Djer avevano una dimensione di 86,5 metri quadrati. La cappella di Khasekhemwuy era, invece, decisamente più grande, misurando ben 290,7 metri quadrati, e conteneva undici o più sale, il che lascia supporre che al suo interno vi si svolgevano cerimoniali molto più sofisticati rispetto a quelli praticati nelle cappelle precedenti. Quello che doveva accomunare questi tempietti è la natura dei riti incentrati, plausibilmente, su un’immagine del sovrano defunto.

Il recinto di Khasekhemwuy, caso unico per Abydos, era circondato da un muro perimetrale più basso rispetto a quello principale, dando così origine ad un corridoio scoperto tutto intorno al monumento, utilizzato ragionevolmente anch’esso per i rituali (Immagine n. 13) .

Immagine n. 13 Particolare del muro sud-occidentale e perimetrale di Shunet el-Zebib (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Connor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 80-81).

Un elemento sorprendente, emerso dalle indagini, è costituito dal fatto che si sono trovate prove che tutti i recinti di Abydos venivano abbattuti. E’ probabile che questa demolizione fosse l’atto finale del rito funebre celebrato per il sovrano (oppure conseguenza dell’ inizio della costruzione della cinta per il re successivo) e che rappresentasse una sorta di “sepoltura” simbolica al fine di assicurare che sia il recinto sia la relativa cappella, esattamente come i servitori e le barche, restassero completamente ed eternamente disponibili per il possessore defunto.

La cinta di Khasekhemwuy fu, invece, lasciata intatta forse perché molto più imponente delle altre, il che bastava a garantirne l’ imperitura fruizione (Immagine n. 14).

Immagine n. 14: Una suggestiva immagine dello Shunet el-Zebib il recinto della Seconda Dinastia del re Khasekhemwy (circa 2700 a.C.) guardando verso nord al tramonto, 1988. Foto di David O’Connor © North Abydos Expedition (ex Penn-Yale-IFA), per gentile concessione del Penn Museum.

L’altro recinto di Khasekhemwuy, eretto a Hierakonpolis, presenta notevoli diversità: simile per quanto riguarda il muro perimetrale, ha una pianta quadrata e non rettangolare, è dotato di una cappella posta in posizione centrale anziché verso l’estremità meridionale e, inoltre, possiede solo un accesso invece di due. Infine, le iscrizioni presenti dimostrano che ospitava un culto dedicato al re, ma non esplicitamente funerario (Immagine n. 15).

Immagine n. 15: Il recinto di Khasekhemwy, noto anche come forte di Hierakonpolis (Courtesy of the Hierakonpolis Expedition © Archaeology’s InteractiveDig)

Un team austro-tedesco guidato dall’archeologa Christiana Köhler dell’Università di Vienna sta studiando la tomba della regina Merneith (Immagine n. 16), ad Abydos, quasi sicuramente la donna più potente della I Dinastia.

Immagine n. 16 Il complesso funerario della regina Meret-Neith ad Abydos durante gli scavi. La camera funeraria della regina si trova al centro del complesso ed è circondata dalle tombe secondarie dei cortigiani e dei servitori. (© E. Christiana Köhler, Università di Vienna https://medienportal.univie.ac.at/…/5000-year-old-wine…/)

Recenti scavi dimostrano la sua particolare importanza storica: i ricercatori hanno trovato vino e altri corredi funerari risalenti a 5000 anni fa, che alimentano l’ipotesi che Merneith sia stata la prima donna faraone dell’antico Egitto, circa 1500 anni prima della più famosa Hatshepsut. Il team ha scoperto nuove informazioni significative su questa importante figura femminile del primo periodo dinastico. Fu, infatti, la donna più potente del suo tempo, l’unica ad avere una propria tomba monumentale nel cimitero reale di Abydos. I nuovi scavi portano alla luce nuove, entusiasmanti informazioni su questa donna unica e sulla sua epoca. Il team archeologico ha, infatti, rinvenuto tracce di un’enorme quantità di corredi funerari, tra cui centinaia di grandi giare per il vino (Immagine n. 17).

Immagine n. 17 Giare di vino di 5.000 anni fa nella tomba della regina Meret-Neith ad Abydos sono nella loro posizione originale e in parte ancora sigillate (© E. Christiana Köhler, Università di Vienna https://medienportal.univie.ac.at/…/5000-year-old-wine…/)

Alcune di esse erano molto ben conservate e persino ancora sigillate nel loro stato originale e contenevano i resti di vino risalente a 5.000 anni fa. Inoltre, le iscrizioni attestano che Merneith fu responsabile di uffici governativi centrali come il tesoro, il che rafforza ulteriormente la ipotesi della sua enorme rilevanza storica e politica.

Il suo monumentale complesso funerario, che comprende le tombe di 41 cortigiani e servitori oltre alla sua camera funeraria, fu costruito con mattoni di fango crudo, argilla e legno. Grazie agli accurati metodi di scavo e all’impiego di nuove tecnologie archeologiche, il team è stato in grado di dimostrare che le sepolture furono realizzate in diverse fasi costruttive e in un periodo di tempo relativamente lungo. Questa osservazione, insieme ad altri indizi, mette in discussione (almeno in questo caso) l’idea di un sacrificio umano come parte del rituale nelle sepolture reali nella I dinastia, ipotizzata già a partire dalle prime ricerche, generalmente accettata, ma mai definitivamente e incontrovertibilmente dimostrata.

Il team lavora nell’ambito di una collaborazione interdisciplinare e internazionale tra il Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano, l’Istituto Archeologico Germanico del Cairo, l’Università e il Politecnico di Vienna in Austria, nonché l’Università di Lund in Svezia. Il progetto è finanziato dall’Austrian Science Fund (FWF) e dalla Deutsche Forschungs- und Forschungs- und Forschung (DFG).

In una dichiarazione del Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano, il Dott. Mustafa Waziri, Segretario Generale del Consiglio Supremo per l’Archeologia, ha confermato l’importanza della scoperta. Secondo questo comunicato, le giare sono state rinvenute in eccellenti condizioni e i resti di vino al loro interno risalgono a circa 5.000 anni fa. Oltre a queste giare, il team ha anche svelato una collezione di arredi funerari che getta luce sulle pratiche e le credenze funerarie del periodo. Ulteriori rivelazioni sono arrivate dal Dott. Dietersh Rao, direttore dell’Istituto Germanico del Cairo che ha dichiarato che gli scavi hanno fornito nuove informazioni sulla vita e sul regno della regina Merneith (o Meret-Neth): alcune iscrizioni affermano, infatti, che ricoprì una serie di importanti incarichi governativi incluso un ruolo nella conservazione del tesoro. Pertanto, la scoperta aggiunge dettagli alla storia della vita di questa antica sovrana enigmatica, ma evidentemente molto importante.

Christiana Köhler, dell’Università di Vienna, ha riferito: «Il vino non era più liquido e al momento non siamo riusciti a determinare se fosse rosso o bianco. Abbiamo trovato molti residui organici, vinaccioli (Immagine n. 18) e forse tartaro, al momento in fase di ulteriori analisi scientifiche. Si tratta probabilmente della seconda più antica testimonianza diretta del vino»

Immagine n. 18 I vinaccioli rinvenuti, risalenti a circa 5.000 anni fa (© E. Christiana Köhler, Università di Vienna https://medienportal.univie.ac.at/…/5000-year-old-wine…/)

Reggente o consorte, Merneith si distingue nella storia egizia per il suo nome legato alla dea Neith. Il suo nome significa, infatti, “amata da Neith“. Si ritiene che abbia assunto le redini del potere in Egitto intorno al XXX secolo a.C., dopo la scomparsa del marito Djet, probabilmente il terzo o quarto faraone della I Dinastia, poiché il loro figlio, Den, era troppo giovane per salire al trono. Questo periodo di amministrazione sarebbe durato solo fino al raggiungimento della maggiore età del figlio.

Tuttavia, i documenti rimangono contrastanti sul fatto che Merneith sia stata la prima o, forse, seconda regina a governare l’Egitto in questo modo. Alcuni egittologi hanno sostenuto che la prima sia stata Neithhotep, mentre altri hanno escluso che ci siano state donne al potere prima di qualche secolo dopo la I Dinastia egizia.

Nel frattempo, la testimonianza più convincente di un potenziale regno si trova Umm el-Qaab nei pressi di Abydos. Immersa tra tombe reali maschili, la Tomba Y (Immagine n. 19) reca il nome di una donna, Merneith e la nuova scoperta delle giare per il vino al suo interno contribuisce a rafforzare questa ipotesi.

Immagine n. 19 Mappa del sito archeologico Umm al-Qaab, nella città di Abydos in cui è evidenziata la tomba di Merneith

Oltretutto, sebbene sia assente da alcuni elenchi di sovrani, la famosa Pietra di Palermo dell’Antico Regno riporta il suo nome. Ulteriori prove della sua influenza emergono da un sigillo trovato nella tomba di Den, che elenca i re della I Dinastia. Qui, in tra i sovrani indiscutibilmente maschi legati al dio Horus, il titolo distintivo di Merneith recita: Madre del Re“. D’altra parte, il dibattito continua a essere molto acceso dal momento che alcuni studiosi si oppongono al suo regno da sola, indicando un altro sigillo che elenca i sovrani della I, escludendo Merneith.

La tomba della regina Merneith fu scoperta a Umm el-Qa’ab da Flinders Petrie, in un’area associata ad altri faraoni della I Dinastia. Alcune delle prove più convincenti furono rinvenute in due stele di pietra che identificavano la tomba come sua. Questa nuova recente scoperta promette di fare ulteriore chiarezza su alcuni aspetti della storia egizia delle prime dinastie e offre una comprensione più approfondita delle pratiche funerarie reali dell’epoca.

Le strutture piramidali dell’antico Egitto derivano chiaramente dalla piramide a gradoni costruita a Saqqara dal re Djoser all’inizio della III Dinastia, ma è interessante cercare di comprendere come questa struttura, eretta immediatamente dopo i monumenti di Khasekhemwy (Immagini n. 20-21), sia in qualche modo correlata con le tombe reali protodinastiche e con i relativi recinti separati di Abydos.

Immagine n. 20 La tomba di Khasekhemwuy, qui ripresa da un’altra angolazione, fu scavata da Petrie durante la sua spedizione del 1901 a Umm el Qa’ab e da lui chiamata “Tomba V”. La sua forma trapezoidale, con una lunghezza di 68,97 metri, una larghezza minima di 10,04 metri e una larghezza massima di 17,06 metri, la distingue dalle altre tombe reali del sito. È costituita da una camera funeraria centrale, costruita con blocchi di calcare squadrati ed é circondata da diverse camere più piccole, comunicanti, con pareti in mattoni crudi, che probabilmente servivano da deposito.
A differenza delle altre tombe reali di Umm el-Qa’ab, la tomba di Khasekhemwi ha due ingressi, uno a nord e l’altro a sud. (©The Ancient Egypt site https://www.ancient-egypt.org/…/tomb-v-at-umm-el-qaab.html

Intanto, ci occupiamo delle differenze che sono ovviamente evidenti e riguardano innanzitutto le dimensioni. Il complesso di Djoser, così come pervenne alla sua forma finale, era enorme se paragonato a quelli dei suoi predecessori, dal momento che occupava una superficie di 15 ettari (vale a dire 14 volte più grande del recinto di Khasekhemwy) e fu realizzato interamente in pietra e mattoni crudi. Tutta l’area era circondata da un recinto in cui, al posto di uno spazio vuoto e di una cappella, fu realizzato un fitto insieme di costruzioni e cortili con al centro una tomba sovrastata da una imponente piramide a gradoni alta 62 metri.

Immagine 19 L’angolo meridionale di Shunet el-Zebib, mostra i danni inflitti dall’uomo ai quali si sono aggiunti quelli arrecati dalla moltitudine di uccelli che hanno nidificato all’interno della struttura (© I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag.85).

In origine, però, il complesso era decisamente più piccolo, di pianta più semplice ed evidentemente ispirato agli archetipi protodinastici, trattandosi di un recinto con passaggi presso gli angoli nord-est e sud-est, esattamente come ad Abydos, anche se le nicchie esterne si presentavano maggiormente elaborate. Lo spazio interno conteneva una tomba coperta da un basso tumulo in pietra, molto simile a quello delle tombe reali di Umm el Qa’ab, e poche altre strutture. Da questa disposizione iniziale si diede l’avvio ad uno sviluppo architettonico che condusse alla realizzazione del complesso così come è giunto sino a noi.

E’ tuttavia abbastanza probabile che il modello iniziale non fosse direttamente suggerito dalle tombe protodinastiche e dai recinti di Abydos, quanto piuttosto dai monumenti funerari regali della II Dinastia situati a Saqqara nelle vicinanze. Qui, infatti, sono state identificate due tombe ciascuna delle quali presenta una grande rete di magazzini sotterranei ricavati nella roccia, una camera sepolcrale e altre sale e gallerie disposte a sud. Non sappiamo come si presentassero le sovrastrutture, ma è verosimile che seguissero fondamentalmente la stessa pianta dei recinti di Abydos, sebbene con alcune considerevoli modifiche.

Ad Abydos, infatti, tomba e recinto erano separati essendo la prima posta lontano nella zona desertica, mentre il secondo si ergeva nei pressi della pianura alluvionale. A Saqqara, come osservava Kemp, evidentemente, non ci fu motivo di tenere separati i due elementi e forse la superficie sovrastante l’intera tomba ipogea era delimitata da un recinto realizzato, presumibilmente, in mattoni crudi. L’estensione del sepolcro lascia presupporre che quest’ultimo doveva avere più o meno le stesse dimensioni dei quello di Peribsen ad Abydos con una camera funeraria probabilmente situata nella metà meridionale della cerchia, sovrastata da un tumulo in superficie e forse affiancata da una cappella a sud come nel caso di Umm el-Qa’ab. E’ possibile che il restante spazio fosse vuoto con l’ingresso alla tomba disposto all’estremità settentrionale: in questo modo, le processioni funerarie avrebbero avuto accesso al recinto attraverso un passaggio presso l’angolo nord-orientale, mentre il tumulo e la cappella sovrastanti la tomba erano forse accessibili grazie ad un altro ingresso presso l’angolo sud-orientale.

Si ipotizza che i monumenti reali di Saqqara, relativi alla II Dinastia, avessero un aspetto molto simile a quello della prima fase del complesso di Djoser tranne che per il fatto che tomba e tumulo di quest’ultimo furono spostati più a nord. Comunque, è plausibile che sia la tomba sud sia la vicina cappella del complesso di Djoser, entrambe prive di funzione, commemorassero la vera tomba e la cappella reale che si trovano grosso modo la stessa posizione nei recinti reali della II Dinastia presenti a Saqqara.

Anche osservando il complesso monumentale di Djoser nella sua disposizione finale, restano evidenti e rilevanti le correlazioni con i prototipi delle prime dinastie, ivi compreso l’utilizzo continuativo del recinto a pianta rettangolare, mentre il monticello che sovrastava la tomba protodinastica evolve nella tipica struttura piramidale a gradoni dilatandone enormemente le proporzioni. Tale forma si rese necessaria per stabilizzare l’ ingente massa di muratura in pietra soggetta a forti pressioni interne.

Inoltre, come già si è fatto cenno poc’anzi, la maggior parte delle strutture cultuali risalenti alla prima fase costruttiva sembrano non aver rivestito alcun aspetto funzionale, trattandosi di ambienti riempiti esclusivamente di detriti, ad eccezione di uno o due piccole camere simboliche. In pratica, analogamente ai recinti protodinastici di Abydos che venivano dotati di servitori sacrificati e successivamente demoliti per al fine di passare pienamente nell’Aldilà, anche il complesso di Djoser fu concepito inizialmente, e in gran parte, affinché il re potesse servirsene nell’Oltretomba; le attività dei vivi, di conseguenza, non necessitavano che di pochi ambienti come il tempio funerario.

Anche le inumazioni delle barche di Abydos possono essere considerate come “trait-d’union” tra i monumenti protodinastici e i più tardi complessi piramidali, trattandosi di prototipi di ricoveri per imbarcazioni e/o di fossati aventi tale forma che furono allestiti sporadicamente anche per le piramidi della IV Dinastia e di epoca più tarda.

In definitiva, ogni monumento funerario regale di Epoca Protodinastica consisteva di due parti distinte: la tomba, situata a Umm el-Qaab ed il rispettivo recinto, che ne era parte integrante, edificato circa quattro chilometri più a settentrione, nella necropoli Nord.

Le attività di scavo più recenti ed il riesame di quelle precedenti, stanno fornendo indizi sempre più probanti su quali fossero le funzioni rituali specifiche e i significati simbolici di queste strutture. Si può ragionevolmente concludere che i recinti reali ed i sepolcri di Abydos vanno considerati, nel loro complesso, come i prototipi del complesso della Piramide a Gradoni di Djoser (Immagine n. 22), mentre i monumenti reali della II Dinastia presenti a Saqqara giocarono un sostanzioso ruolo di mediazione ed integrazione. L’ architettura funeraria regale protodinastica, in particolare quella di Abydos, quindi, fu il punto d’origine della principale direttiva di sviluppo che condurrà ai complessi piramidali e le cui tracce sono riscontrabili finanche nelle tombe del Nuovo Regno.

Immagine n. 20 Ricostruzione del complesso di Djoser (©Franck Monnier et Paul François, pubblicato in “L’ Univers Fascinant Des Pyramides d’ Égypte, pag 27).

Fonte:

Foto di copertina di isawnyu

2 pensieri su “I RECINTI FUNERARI REALI DI ABYDOS E HIERAKONPOLIS”

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