È una delle coppie più famose di bracciali di Psusennes I; di forma ad anello semplice, in oro e lapislazzuli, hanno un diametro esterno di 7,6 cm e sono formati da due “sezioni” disuguali, incastrate l’una nell’altra e chiuse da un fermo sempre in oro.
Il bracciale è cavo per ridurne il peso, ed ha una decorazione costituita da un fregio che orna la parte superiore ed inferiore a onde dorate su fondo blu probabilmente di ispirazione cretese. Il blu dei lapislazzuli evocherebbe qui le acque primordiali da cui si formano le onde d’oro, la carne degli dei.
Il dettaglio della lavorazione
Sulla parte centrale un’iscrizione intarsiata anch’essa in lapislazzuli invoca “Vita al Re dell’Alto e Basso Egitto, Signore delle Due Terre, Aakheperre Scelto da Amon, dotato di vita come Ra, eternamente. Vita al figlio di Ra, maestro delle apparizioni, Psusennes Amato da Amon, dotato di vita come Ra, eternamente”.
Le foto ufficiali di Montet, sulle quali si vedono bene le iscrizioni sul lato esterno
All’interno questi bracciali recano solo un simbolo per identificare il sinistro (“iabt”, oriente) dal destro (“wnmy”, occidente) seguendo l’abitudine egizia di orientarsi verso sud ed avere quindi l’est a sinistra e l’ovest a destra. Curiosamente, però, i due bracciali erano stati invertiti sulla mummia del Faraone.
La trascrizione del decoro e delle iscrizioni effettuata da Montet
La foto ufficiale del Museo Egizio
FONTI:
Pierre Montet, La nécropole royale de Tanis (Parigi, 1951):
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau de Psousennes à Tanis (1951)
Tanis: tesori dei faraoni, Henri Stierlin e Christiane Ziegler , Seuil, 1987
Tesori d’Egitto – Le meraviglie del Museo Egizio del Cairo, Francesco Tiradritti
Se ancora non credete alla “Maledizione di Tanis” che ha relegato i tesori scoperti da Pierre Montet in una sorta di limbo perpetuo, guardate questo oggetto.
E’ la copertura della mummia di Psusennes I, posta sopra il corpo del Faraone ed idealmente continuazione della maschera funeraria del re.
Lunga 1,25 m e larga 42 cm, è ricavata da un’unica lastra d’oro lavorata a sbalzo. Le mani del Faraone reggono il flagello ed il pastorale; al di sotto una divinità alata splendidamente incisa con la testa d’ariete e gli usuali simboli shen abbraccia il re defunto.
Particolare della copertura
Le iscrizioni verticali rivolgono un’invocazione a Nut, la cui parentela con Psusennes, identificato come Anubi e come i quattro figli di Horus, è ribadita dalle altre iscrizioni.
A livello dei piedi, Iside e Nephti sono rappresentate in lutto, con una mano sulla fronte.
Iside e Nephti in lutto nella trascrizione delle incisioni fatta da Montet. Ho rovesciato l’immagine per renderla più facilmente leggibile; essendo praticamente sul piede della copertura le due dee sono raffigurate capovolte rispetto al testo al centro della copertura stessa
Un altro piccolo capolavoro, praticamente sconosciuto e di cui è difficilissimo trovare foto.
FONTI:
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau de Psousennes à Tanis (1951)
Museo Egizio del Cairo, JE 85788 e 85789 (collana) – Montet 510
Questo magnifico pettorale era al collo della mummia di Psusennes I insieme ad altri tre molto simili, seppure di fattura inferiore
Lo scarabeo, alto 6,5 cm e largo 4,5 cm, è stato ricavato da un diaspro verde molto scuro ed incastonato in oro. La sua morfologia è riprodotta molto fedelmente e nei minimi dettagli, rivelando una conoscenza ed un’osservazione molto attenta unita ad una straordinaria padronanza dell’esecuzione
Le sue ali sono composte da 21 linee orizzontali, incastonate in oro a cloisonné egiziano con pietre policrome ad alternanza di colori caldi e freddi utilizzando diaspro rosso, pasta di vetro nera, rossa e blu.
La foto originale di Montet
Davanti allo scarabeo, posto orizzontalmente, c’è il cartiglio del Faraone in oro, le cui estremità poggiano, ai lati, sulle ali. È inciso con il nome di nascita del faraone Psusennes I “Pasebakbaenniut Merimon” (letteralmente ‘la stella è apparsa in città, amata da Amon’).
La lavorazione del cartiglio è – incredibilmente – anch’esso in cloisonné egiziano: ogni segno è lavorato individualmente, con minuscole cellette delimitate da contorni in oro e riempite con pietre colorate o pasta vitrea, con una resa finale perfetta.
Il forte significato simbolico è sottolineato dalla presenza del segno ‘shen’. lo scarabeo spinge instancabilmente il cartiglio con il nome del re, mentre si trascina dietro il segno ‘shen’ che simboleggia l’eternità.
Inoltre, per aumentare il potere dell’amuleto, per accentuarne la protezione, sul retro è inciso il capitolo 30 del Libro dei Morti, che invoca cuore del defunto a non testimoniare contro di lui durante il giudizio finale della psicostasia.
Il retro del pettorale; sul castone dello scarabeo è inciso il Capitolo 30 del Libro dei Morti
La foto di Montet del retro di questo collare evidenzia meglio il testo sul retro del castone
Il ciondolo era appeso, mediante due anelli fissati alle ali dello scarabeo, ad una doppia catena di perle oblunghe, in oro e pietre multicolori.
Questa catena, lunga 42 cm, è rifinita con un delicato e grazioso contrappeso floreale, formato da strisce di pasta vitrea incastonate in oro, un perfetto complemento per questo pettorale.
Il pettorale con la splendida collana che lo accompagna
FONTI:
Pierre Montet, La nécropole royale de Tanis (Parigi, 1951):
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau de Psousennes à Tanis (1951)
Tanis: tesori dei faraoni, Henri Stierlin e Christiane Ziegler , Seuil, 1987
Tesori d’Egitto – Le meraviglie del Museo Egizio del Cairo, Francesco Tiradritti
Museo Egizio del Cairo, JE 85751 (Montet 484). Oro e pietre dure. Diametro 35 cm, peso 8 kg
Pierre Montet ritrovò sulla mummia di Psusennes I ben tre collari shebyu, composti da dischetti d’oro forati al centro ed infilati in file concentriche chiuse da una piastra ornata da pendenti (cat. 482, 483 e 484).
La collana 483, con cinque fili di dischetti d’oro, una chiusura a piastra pressoché identica ed una serie di pendenti più semplice
Questa particolare forma della collana caratterizzava, in una forma molto più semplice, il cosiddetto “Oro dell’Onore” con cui il Faraone ricompensava i suoi funzionari più fedeli (lo abbiamo visto al collo di Kha al Museo Egizio di Torino, ad esempio).
L’Oro dell’Onore al collo di Kha
Il peso notevolissimo dell’oro delle collane ha creato diversi problemi alla loro preservazione nella forma originale. Al momento della chiusura del sarcofago è probabile che si fossero già spostati dalla sede originale; l’umidità ha distrutto i fili su cui erano inseriti i dischetti e l’apertura della bara d’argento, che era rimasta saldamente incastrata nel secondo sarcofago, ha ulteriormente contribuito al deterioramento.
Alcune parti siano state coinvolte nel furto avvenuto al Museo del Cairo nel 1943 ed alcune di esse non sono mai state recuperate.
Questa specifica collana, di circa 35 cm di diametro, ha sette fili formati da cinquemila minuscoli dischetti d’oro, per un peso totale dicirca 8 kg. Le altre due collane shebyu sono a cinque fili e pesano circa 6 kg ciascuna, per un totale di 20 kg d’oro al collo del Faraone…
Sul petto presenta una grande chiusura cloisonné, una piastra alta 6,2 cm e raffigurante i cartigli reali affiancati da due divinità. A destra, il dio Amon rappresentato con la corona a due piume; a sinistra la dea Mut che indossa la doppia corona ed un ureo regale sulla fronte. Entrambi impugnano un simbolo ankh (vita) ed uno scettro was (potere).
La piastra di chiusura, un altro capolavoro dell’arte orafa egizia
La parte superiore della chiusura è decorata con un disco solare alato. Tutti gli elementi decorativi della chiusura sono intarsiati con pietre semipreziose (corniola rossa, lapislazzuli e feldspato verde).
Dalla chiusura si dipartono 10 pendenti che si ramificano; l’artista che ha creato questa collana è riuscito a sviluppare un intero fascio di catenelle d’oro, che lungo la loro lunghezza sembrano moltiplicarsi dividendosi, “sbocciando” così in una sontuosa cascata d’oro. Ogni “giunzione” e ogni estremità è adornata con nappe simili a fiordalisi; in totale erano 110, scesi a 98 dopo il furto del 1943.
Ci sono versioni discordanti su come queste collane venissero indossate: secondo alcuni la collana veniva portata con la chiusura sulla nuca, in modo che la cascata delle catenelle ricordasse una capigliatura d’oro; secondo altri veniva portata sul torace ad adornare il petto del faraone.
La foto ufficiale del Museo Egizio e quella originale di Montet
FONTI:
Pierre Montet, La nécropole royale de Tanis (Parigi, 1951):
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau de Psousennes à Tanis (1951)
Tanis: tesori dei faraoni, Henri Stierlin e Christiane Ziegler , Seuil, 1987
Tesori d’Egitto – Le meraviglie del Museo Egizio del Cairo, Francesco Tiradritti
Museo Egizio del Cairo, JE 85779 e 85780. Oro e pietre dure. Lunghezza aperto 23.5 cm, altezza 4.5 cm
Pierre Montet scrisse nei suoi resoconti degli scavi a Tanis che
“La mummia, tutta vestita d’oro, riposava nella sua bara d’argento con le sue sei collane, ventidue braccialetti da polso, quattro braccialetti al ginocchio e alla caviglia, pettorali, scarabei e amuleti, copridita e sandali d’oro, più di trenta anelli, e tutto di splendido gusto”
Alcuni oggetti sono straordinariamente moderni nel loro stile, come questa coppia di bracciali in oro e lapislazzuli. Furono ritrovati aperti, all’altezza delle ginocchia del Faraone (uno addirittura completamente a pezzi), e non è stato possibile determinarne la posizione originale, anche se è possibile che fossero indossati sotto al ginocchio.
Sono suddivisi in quattro sezioni dalla chiusura e da tre cerniere, costituite da piastre verticali di 35 mm di altezza; ogni sezione è formata da cinque elementi a mezzaluna, alternativamente in oro e lapislazzuli incastonati in oro. Ogni elemento è indipendente, agganciato alle piastre verticali con piccole cerniere in oro, un lavoro incredibilmente raffinato.
Il bracciale aperto e chiuso
Le piastre riportano i cartigli del Faraone (Psusennes Miamon) alternati al titolo di primo Profeta di Amon all’esterno, dove sono incisi su un fondo blu lapislazzulo. All’interno troviamo invece ripetuto per quattro volte “Nato dal Sommo Sacerdote di Amon, Nesbanebdjed (Smendes I)”, che in realtà fu suo nonno.
La discendenza da Smendes I ribadita all’interno dei bracciali
La chiusura era con uno spillone che attraversava i piccoli tubuli delle cerniere principali, perfettamente mimetizzata con le altre piastre.
I bordi superiore e inferiore del bracciale sono costituiti da perline tubolari, infilate orizzontalmente, sempre alternate tra oro e lapislazzuli. Nel simbolismo egizio sappiamo che l’oro costituiva la carne degli dèi, mentre il blu dei lapislazzuli evocava sia il cielo stellato che l’oceano primordiale.
I bracciali nelle foto di Montet; da notare quello ritrovato completamente “smontato”
FONTI:
Pierre Montet, La nécropole royale de Tanis (Parigi, 1951):
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau de Psousennes à Tanis (1951)
Tanis: tesori dei faraoni, Henri Stierlin e Christiane Ziegler , Seuil, 1987
Tesori d’Egitto – Le meraviglie del Museo Egizio del Cairo, Francesco Tiradritti
Museo Egizio del Cairo, JE 85821. Dimensioni 16.6 x 9.9 cm, spessore 0.7 mm. Oro
Le “piastre per imbalsamazione” venivano posizionate sopra l’incisione praticata sull’addome del defunto per estrarre gli organi interni durante il processo di mummificazione.
Entrate nell’uso comune durante il Nuovo Regno, furono utilizzate fino all’Età Tolemaica, anche se normalmente di materiali meno nobili. Il loro significato esoterico era quello di “guarire” la ferita necessaria per la pratica di mummificazione del defunto ed impedire che spiriti maligni potessero profanarne il corpo.
La piastra di Psusennes I era cucita sulle bende che ricoprivano l’incisione grazie a quattro fori sugli angoli della piastra stessa. L’importanza simbolica di questo oggetto è testimoniata dall’estrema cura riservata ai dettagli dell’incisione, che vede al centro un occhio protettivo udjat circondato dai quattro figli di Horus, che sappiamo sovrintendere alla protezione degli organi interni del defunto e che abbiamo visto riprodotti sui vasi canopi del Faraone.
Ogni divinità (da sinistra Hapi, Imsety, Duamutef e Qebehsenuf) è raffigurata con indosso un gonnellino corto ed un collare usekh; ognuna ha inoltre un ureo regale sulla fronte. I loro nomi sono incisi sopra le loro teste insieme al cartiglio del Faraone “L’Osiride Psusennes Meriamon, giusto di voce”.
FONTE: Pierre Montet, Les constructions et le tombeau de Psousennes à Tanis (1951)
Museo Egizio del Cairo, JE 85914-17. Alabastro, foglia d’oro e bronzo
I quattro vasi canopi di Psusennes I erano stati deposti davanti al sarcofago in granito rosa, senza nessun naos a contenerli.
Sono realizzati in alabastro ricoperto da una sottilissima foglia d’oro che si è brunita in molte parti.
Qebehsenuf a testa di falco
Anche i coperchi sono erano ricoperti di foglia d’oro con una decorazione dipinta, azzurra verticale e ricordare il nemes faraonico, e rossa e azzurra ad imitare un collare variopinto.
Su tutte le teste spicca un ureo in bronzo dorato e decorato.
L’ureo sulla testa di Duamutef
Le iscrizioni associano come d’abitudine Iside e Imsety al vaso con testa umana, Nephti ed Hapi al vaso con testa di babbuino, Neith e Duamutef a quello con testa di sciacallo, ed infine Selqit e Qebehsenuf a quello con testa di falco. I quattro canopi contenevano rispettivamente il fegato, i polmoni, lo stomaco e l’intestino del defunto.
Hapi a testa di scimmia
All’interno non c’erano, come nel caso di Sheshonq, piccoli sarcofagi ma direttamente gli organi interni che si sono ovviamente deteriorati.
Le quattro teste nelle foto originali di Montet
I quattro canopi al Museo Egizio
FONTI:
Pierre Montet, La nécropole royale de Tanis (Parigi, 1951):
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau de Psousennes à Tanis (1951)
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau d’Osorkon II à Tanis (1947)
Nozomu Kawai, Royal Tombs Of The Third Intermediate And Late Periods: Some Considerations (1998)
Foto: Aidan McRae Thomson, Hans Ollermann, Merja Attia, Getty Images
Museo Egizio del Cairo, JE 85912; lunghezza: 185 cm
Come abbiamo visto, il 28 febbraio 1940, alla presenza del Re Faruk I, Pierre Montet procedette all’apertura del sarcofago nero di Psusennes.
Non ci è dato di sapere che cosa si aspettasse Montet dopo due sarcofagi “riciclati”; forse un terzo sarcofago usurpato, forse un cartonnage sulla mummia del Faraone.
Invece no.
La bara d’argento appena scoperta, ancora all’interno del sarcofago nero. Si noti come si adatti perfettamente.Dall’alto spicca l’ureo in oro massiccio.
Aperto il sarcofago si presentò agli occhi un capolavoro assoluto dell’arte funeraria egizia, di un valore inestimabile: una bara in argento massiccio ed oro, creata appositamente per Psusennes.
In realtà non è argento puro ma una lega composta prevalentemente da argento, con oro e rame. Un valore inimmaginabile al tempo, dal momento che l’Egitto non aveva miniere d’argento e doveva importarlo.
Il Faraone è rappresentato come Osiride, con le mani sul petto che impugnano il flagello ed il pastorale. I tratti del viso sono idealizzati e ricordano i ritratti reali del periodo Ramesside. Una fascia d’oro circonda la fronte (ricordate quella sulla mummia di Tutankhamon?), ornata da un ureo in oro massiccio. Gli occhi sono intarsiati con pasta di vetro colorata e delineati in nero.
La fascia d’oro che cinge la fronte del Faraone a chiudere il nemes
Il re indossa il “nemes” e la barba cerimoniale, di cui si vedono chiaramente i lacci che la fissavano alla testa realizzati in rilievo.
Nella foto ufficiale di Montet si vede bene il laccetto di sostegno della barba cerimoniale, realizzato in rilievo
Al collo è raffigurato un ampio collare inciso nell’argento, che termina con fiori di loto rivolti verso l’alto.
La foto ufficiale del Museo del Cairo
Tre uccelli con le ali spiegate sono raffigurati sul petto e sullo stomaco; le loro ali si estendono fino alla vasca della bara. I tre uccelli – rispettivamente con una testa di avvoltoio, di ariete e di falco – stringono tra gli artigli gli usuali anelli “shen” (potere).
La bara d’argento di Psusennes compete con quella d’oro di Tutankhamon per munificenza dei materiali usati e per il senso artistico del suo autore
In due righe di iscrizioni che scendono fino ai piedi, il re fa un’invocazione a Nut molto simile a quelle trovate sui sacrari di Tutankhamon, ripetuta due volte:
“Parole dette dall’Osiride, il Signore delle Due Terre Aakheperre Psusennes: Oh madre Nut, stendi le tue ali su di me e fai che io sia imperituro come le stelle eterne”
Lo schema di Montet delle iscrizioni sulla bara d’argento. Si vede bene la triade di uccelli con le ali distese; sul piede Iside e Nephti
Il resto della bara è decorato con un motivo rishi, una decorazione caduta in disuso alla fine della XVIII Dinastia ma tornata in auge nella XXI. Infine, ai piedi del coperchio sono raffigurate le dee Iside e Nephti. Nut è invece rappresentata in piedi sul dorso della vasca della bara.
Il dettaglio della lavorazione rishi della bara
Nut in piedi sul dorso della bara, dove arrivano le punte delle ali
La vasca andò completamente in pezzi nell’estrazione dal sarcofago in granito nero e richiese un lunghissimo lavoro di restauro al Museo Egizio del Cairo
Argento, “le ossa degli dèi”.
Lo sguardo di Psusennes, fisso nell’eternità
FONTI:
Pierre Montet, La nécropole royale de Tanis (Parigi, 1951):
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau de Psousennes à Tanis (1951)
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau d’Osorkon II à Tanis (1947)
Nozomu Kawai, Royal Tombs Of The Third Intermediate And Late Periods: Some Considerations (1998)
Foto: Aidan McRae Thomson, Hans Ollermann, Merja Attia, Meretseger Books
Oro e pasta vitrea, h 48 cm, larghezza 38 cm. Museo Egizio del Cairo, JE 85913
È lei.
È quella che è sempre stata “l’altra maschera”. Perché i riflettori sono sempre stati puntati su quella, stupefacente, di Tutankhamon.
La maschera appena estratta dalla bara d’argento, prima della ripulitura.
È stato il più grande cruccio di Montet fino alla sua morte: che “l’altra maschera” non ricevesse le dovute attenzioni, il dovuto posto tra i capolavori dell’arte orafa egizia; come un padre dispiaciuto perché non vengono apprezzate le doti del proprio figlio.
Il confronto tra le due maschere: nonostante anche Psusennes sia ritratto in età giovanile, il volto di Tutankhamon appare molto più fanciullesco, le guance e gli zigomi pieni e rotondi. Psusennes è chiaramente un adulto imvece.
Le due maschere, divise da quasi tre secoli, si guardano in questo gioco di immagini. Si vede bene l’allacciatura della barba cerimoniale sulla maschera di Psusennes
È composta da due pezzi che si incastrano, uno frontale ed uno dorsale. Copriva completamente la testa ed il torace della mummia, ma non la schiena.
Il retro della maschera, che “termina” all’altezza della nuca
La realizzazione è in lamina d’oro, ma è molto più sottile di quella di Tutankhamon (0.6 mm contro gli 1.5-3.0 mm di quella di Tutankhamon). La sottigliezza della lamina d’oro ha fatto sì che si danneggiasse parecchio nella deposizione del Faraone nella bara d’argento.
La vista laterale completa permette di vedere i danni sul nemes dovuti alla sottigliezza della lamina d’oro
Il Faraone è raffigurato giovane (Psusennes regnò per quasi 50 anni e morì invece in età avanzata). Gli occhi, le sopracciglia ed il laccetto della barba cerimoniale sono incastonati sulla base in oro, e sono in pasta vitrea nera (sclera bianca in calcite). La barba è stata realizzata separatamente ed applicata al volto successivamente.
Le foto “ufficiali” di Montet
Sulla fronte, come sulla bara d’argento, è inserito il solo ureo, sempre in oro.
Il particolare dell’ureo sulla fronte
La decorazione sul petto del Faraone è composta da dodici collane di dischetti, seguite da due serie di foglie ed una di fiori di loto.
Dentro la sua teca, Psusennes sembra guardare melanconico le frotte di turisti che si ammassano nella sala vicina, pensando alla “maledizione di Tanis”
FONTI:
Pierre Montet, La nécropole royale de Tanis (Parigi, 1951):
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau de Psousennes à Tanis (1951)
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau d’Osorkon II à Tanis (1947)
Nozomu Kawai, Royal Tombs Of The Third Intermediate And Late Periods: Some Considerations (1998)
Foto: Aidan McRae Thomson, Hans Ollermann, Merja Attia, Meretseger Books
Museo Egizio del Cairo, JE 85911 lunghezza: 220 cm; larghezza: 65 cm; altezza 80 cm
Il sarcofago esterno di Psusennes I, appartenuto a Merenptah, ne racchiudeva un secondo, antropomorfo in granodiorite nera, anche questo proveniente probabilmente dalla XIX Dinastia.
La prima foto del sarcofago
Pierre Montet esamina il sarcofago appena scoperto
Questa volta non ci è noto il nome del legittimo proprietario, forse un funzionario vissuto sotto Ramses II o Merenptah stesso; sicuramente non è un sarcofago reale in quanto mancano le insegne del potere faraonico (flagello e pastorale) e non c’è traccia di ureo ed avvoltoio sulla fronte. Nonostante l’apparenza massiccia, Montet rileva che “le pareti del sarcofago sono molto sottili, tanto da avere delle rotture sul lato destro”
La foto originale di Montet, che era rimasto molto colpito dall’espressività del volto ritratto
Tra in primo ed il secondo sarcofago un certo numero di oggetti è andato perso per sempre a causa delle infiltrazioni d’acqua: sono stati identificati i resti di almeno sei bastoni ricoperti con una foglia d’oro che avvolgeva anche il pomo a fiore di loto (eppure non risulta che Psusennes avesse un piede equino…), tre spade la cui lama in bronzo è andata distrutta ed una mazza cerimoniale.
Si intravede Nut sul torace del defunto, appena sotto le braccia incrociate sul petto
Le iscrizioni fanno tutte riferimento a Psusennes. Ancora una volta, la figura predominante è Nut, che stende le sue ali sul torace della figura scolpita:
“Io sono Nut, [ho] messo le mie due braccia su di te, ti stringo al mio petto.” Il Faraone implora il suo aiuto: “Stenditi su di me affinché io sia posto tra le stelle imperiture e non muoia mai”.
Nut (dettaglio)
Una voluminosa parrucca striata che arriva fino alle spalle circonda il viso del defunto. Le orecchie sono state lasciate scoperte, mentre un corto pizzetto adorna il mento. Gli occhi a mandorla e la bocca finemente ricurva secondo alcuni studiosi potrebbero indicare un’opera del periodo post-amarniano.
Il naso è stato leggermente danneggiato quando è stato chiuso il sarcofago esterno in granito rosso
Il corpo del sarcofago è decorato con colonne di testo e rappresentazioni delle divinità funerarie. Sulla sinistra due dei figli di Horus, Hapi e Qebehsenuf, ai lati di Anubi e Thoth declamano il loro supporto al defunto:
“Io sono Hapi, sono venuto a proteggerti, ho rimesso al loro posto la testa e le membra” e “Sono Qebehsenuf, ho riunito le tue ossa, ho portato il tuo cuore”
I figli di Horus sul fianco del sarcofago insieme ad Anubi e Thot
Sulla destra, gli altri due figli di Horus, Imsety e Duamutef, insieme ad Anubis si rivolgono a Thot per proteggere il re e per rigenerarlo come hanno fatto per Osiride.
“Io sono Imsety, io sono tuo figlio, Osiride amato dagli dei…sono venuto a proteggerti, come do stabilità alle case per ordine di Ra”
“Io sono Duamutef, sono tuo figlio, Horus, vieni a vendicare Osiride per colui che l’ha ferito e fallo resuscitare per sempre”
Due occhi udjat permettono al defunto di vedere all’esterno del sarcofago.
I due occhi udjat sul fianco del sarcofago
Ai piedi del coperchio, Iside veglia su Psusennes stendendo le sue ali.
Iside ai piedi del sarcofago, una rappresentazione tipica nel Nuovo Regno
FONTI:
Pierre Montet, La nécropole royale de Tanis (Parigi, 1951):
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau de Psousennes à Tanis (1951)
Pierre Montet, Les constructions et le tombeau d’Osorkon II à Tanis (1947)
Nozomu Kawai, Royal Tombs Of The Third Intermediate And Late Periods: Some Considerations (1998)
Foto: Aidan McRae Thomson, Hans Ollermann, Merja Attia, Meretseger Books