E' un male contro cui lotterò

EPILOGO: CIÒ CHE RESTA DI LORO

Di Andrea Petta e Franca Napoli

La medicina egizia, come molti altri aspetti della civiltà faraonica, rimase pressoché immutata fino all’invasione persiana del 525 BCE, che pose fine alla XXVI Dinastia, ed a quella macedone del 332 BCE. Già alla fine della XXVI Dinastia, i greci stabilirono però una loro città nel Delta, Naukratis, iniziando una fitta rete di interscambi commerciali e culturali che coinvolse ovviamente la medicina. Non per niente in questo periodo nasce la medicina greca.

Una ricostruzione di Naukratis durante il suo periodo di massimo splendore: allungata lungo l’ampio ramo occidentale del Nilo, densamente popolata di case in stile egiziano e santuari greci ed egiziani. Immagine di Grant Cox

L’immutabilità della cultura egizia, precursore in qualche modo del “mos maiorum” dei Romani, bloccò anche lo sviluppo della medicina, che rimase sempre legata alla diagnosi nosografica (vedi: https://laciviltaegizia.org/…/20/la-professione-medica-2/). Ma lo sviluppo di Alessandria, con il suo museion e la sua biblioteca, fornì l’occasione per travasare il sapere medico egizio e permettere un nuovo “balzo” con la medicina greca.

Ippocrate viaggiò molto in Egitto da giovane; i suoi allievi si formarono a cavallo tra Cos ed Alessandria, interagendo con l’Egitto fino ad assorbirne molte conoscenze ed usanze.

Ippocrate di Cos. Viaggiò molto in gioventù, imparando in Egitto gli elementi della medicina dei Faraoni e rielaborandola utilizzando le nuove conoscenze, fino ad essere considerato (tralasciando i suoi svarioni) il “padre” della medicina moderna.

Studiò ad Alessandria Erofilo di Calcedonia – che si suppone abbia praticato la dissezione dei cadaveri per meglio comprendere la fisiologia umana. Grazie ad Erofilo si iniziò a comprendere le funzioni cerebrali, iniziando a correggere la clamorosa svista dei medici egizi che attribuivano le funzioni cognitive al cuore (anche se il concetto di “metu” portò per molto tempo a fare confusione tra vasi, nervi e tendini). Il suo nome viene tuttora perpetuato nella torcula herophili, la confluenza posteriore dei seni venosi cerebrali che drenano il sangue dal cervello.

Erofilo di Calcedonia. Visse tra il 335 ed il 280 BCE circa, e fu il primo, vero anatomista della storia.
La Facoltà di Medicina di Parigi (Paris Cité) celebra così Erofilo di Calcedonia, come l’autore della prima dissezione

Galeno, anche lui studente ad Alessandria nel II secolo CE, dal canto suo spazzò via il concetto egizio che le arterie fossero piene solo d’aria, ed insieme ad Erasistrato – che per primo descrisse le valvole mitrale e tricuspide del cuore, fece fare un balzo alle conoscenze vascolari superate solo nel XVI secolo da Harvey.

Di Erasistrato non ci sono pervenute statue. Questo dipinto, “Erasistrato alla scoperta della causa della malattia di Antioco” fu dipinto da Jacques-Louis David nel 1774 e valse al giovane pittore francese il Prix de Rome per la pittura, portandolo a vivere per cinque anni a Roma.

La medicina egizia e quella greca per un po’ marciarono separate, poi si fusero sempre di più e si travasarono in quella romana. L’avvento però della cristianità ebbe due serie conseguenze.

La chiusura dei templi – e delle scuole degli scribi – portò alla perdita della possibilità di leggere i geroglifici ed il demotico. I papiri medici divennero illeggibili; per motivi ignoti non furono tradotti in altre lingue, se non parzialmente, e quelli tradotti erano per lo più nelle biblioteche dei Nestoriani, che vennero allontanati dopo il Concilio di Efeso del 431 CE e portarono la loro sapienza più a oriente. Nacque così la medicina araba, che “tornò” in Europa solo con il Rinascimento.

Galeno di Pergamo in una delle tante ricostruzioni postume. Secondo molti studiosi proprio Galeno (e non Ippocrate) dovrebbe essere considerato il padre della medicina moderna in quanto studioso della fisiologia. Purtroppo nelle sue opere si tramandarono anche gli errori (in primis l’uso scellerato del salasso in moltissime patologie), che di fatto bloccarono lo sviluppo della medicina nel mondo cristiano fino al XVI secolo.

Della medicina egizia ci rimangono le conoscenze erboristiche; il concetto di “trasmissione” tra le varie parti del corpo attraverso i vasi (i “metu”); rimase per molto tempo l’idea di poter conoscere il sesso del nascituro vedendo germogliare questo o quel cereale, piccole cose qua e là che abbiamo visto in questi mesi.

Ma soprattutto ci rimane il concetto stesso di “medico”, il “sinu”, che vide la luce per la prima volta sulle rive del Nilo, dove iniziò a dire: “è un male contro cui lotterò” e che continua a lottare anche oggi.

E' un male contro cui lotterò

LE CONOSCENZE ANATOMICHE

Di Andrea Petta e Franca Napoli

Abbiamo visto come la formazione dei medici avvenisse sia con la comunicazione diretta docente/discepolo (spesso genitore/figlio) sia presso le Per-Ankh, le Case della Vita. Non abbiamo certezze sul fatto che si praticasse anche la dissezione dei cadaveri, ma alcune descrizioni di traumi e delle loro conseguenze del papiro Edwin Smith suggeriscono che, almeno nei casi eccezionali, fosse effettuata. È molto probabile che i medici, soprattutto durante la loro formazione, assistessero ai rituali di imbalsamazione per la mummificazione per studiare gli organi interni. D’altra parte gli imbalsamatori riuscivano ad estrarre gli organi interni da un’incisione relativamente piccola ed estraevano il cervello attraverso l’osso etmoide, di soli 2 cm di diametro, rivelando un’abilità notevole.

Le incisioni praticate nel Nuovo Regno per l’asportazione degli organi interni. Da notare che la lunghezza del taglio era generalmente inferiore ai 15 cm (da “Tutankhamen il Faraone dimenticato” di Philipp Vanderberg).
Set di uncini per l’asportazione del cervello

Le opere di Erofilo di Calcedonia, un medico greco che studiò ad Alessandria nel periodo tolemaico, andate perse ma citate da Celso e Galeno, dimostrerebbero la dissezione fosse praticata in quel periodo (forse anche su condannati a morte ancora in vita…).

Erofilo di Calcedonia: da quanto riportato da Celso e Galeno in epoca tolemaica si praticava la dissezione anche sui prigionieri condannati a morte

Il corpo era diviso in 36 parti principali, ognuna con una sua divinità protettrice come descritto nel Libro dei Morti. Abbiamo già incrociato le divinità associate agli organi interni, protetti dopo la morte dai figli di Horus:

  • Iside per il fegato (protetto da Imsety, a testa umana, dopo la morte)
  • Nephti per i polmoni (protetti da Hapi, a testa di babbuino)
  • Neith per lo stomaco (protetto da Duamutef, a testa di sciacallo)
  • Selket per l’intestino (protetto da Qebehsenuef, a testa di falco)

Ma abbiamo anche Hathor a proteggere gli occhi, Anubi per le labbra e così via.

Neith sovrintende anche la crescita dei capelli (io devo averla fatta arrabbiare tempo fa…), mentre Ra è legato al viso ed ai lineamenti.

Tutti erano comunque “coordinati” da Thot, che era il nume tutelare dell’individuo.

Vaso canopico destinato a contenere il fegato del defunto con la testa di Imsety e l’invocazione ad Iside, ad esso correlata (Metropolitan Museum di New York, Collezione Davis)

Erano però parte del corpo anche il “ka”, che essendo l’essenza vitale dell’individuo governava la percezione ed il piacere, il “ba”, che possiamo semplificare come la personalità dell’individuo – o meglio la personificazione della sua forza vitale – e l’”ib”, che controllava la volontà ed era identificato come il cuore spirituale.

In generale nel pensiero egizio ogni persona era un microcosmo in cui si specchiavano e coesistevano gli elementi: il “corpo solido” (la terra), il “corpo liquido” (il Nilo), il “calore” (Ra, il sole) ed il respiro (il vento)

In totale esistono più di 100 termini egizi legati all’anatomia (molti legati alla testa ed al cranio). Da notare che i geroglifici per definire le parti esterne del corpo sono derivati per lo più dall’anatomia umana, mentre per gli organi interni si utilizzavano spesso simboli legati agli animali, evidenziando una conoscenza dell’anatomia comparata. Tipico esempio è il simbolo per “cuore”, che è un cuore di bue.

Un’idea della vastità della conoscenza anatomica egizia: le parti del cranio (da “Il tempio dell’uomo” di De Lubicz)

I “METU”

Nonostante questa conoscenza già avanzata per quei tempi, ci sono “scivoloni” grossolani inattesi. I più evidenti sono riferiti al cervello (la cui funzione rimase sconosciuta agli Egizi nonostante gli interventi di chirurgia cranica effettuati) ed ai vasi.

Infatti un solo termine, “metu”, descriveva nervi, tendini, arterie e vene, che sono quindi considerati come appartenenti allo stesso sistema (curiosamente, questa abitudine si è tramandata fino ai giorni nostri con il termine arabo “irk”).

Il numero totale dei “metu” principali era 22 (Papiro di Berlino 163b); quando il termine veniva applicato alle arterie la precisione è sorprendente (la circolazione degli arti inferiori è descritta in maniera paragonabile a quella moderna) ma…nelle credenze egizie TUTTI i liquidi corporei si muovevano nei “metu”. Quindi sangue, urina, feci, muco e liquido seminale, nonché l’aria respirata, si muovevano dal cuore, arrivavano all’ano e di lì venivano ridistribuiti dopo aver espulso le sostanze nocive per il corpo. Nella persona sana questi “succhi” si muovevano in armonia; quando questa armonia veniva meno insorgevano le malattie.

Rimane controverso se gli Egizi avessero compreso appieno la circolazione sanguigna; se da una parte nel Papiro Ebers compare il concetto che il cuore parli alle altre parti del corpo attraverso i “metu” (854a), dall’altra si ribadisce che le arterie contengano aria (855e). Bisogna comunque tenere conto nuovamente che la traduzione dei termini è spesso molto difficile.