A cura di Andrea Petta
Oggi abbandoniamo per un attimo la storia degli uomini per un aspetto “tecnico”, legato comunque alle tecnologie a disposizione degli eredi degli scopritori che stiamo seguendo.
Il sarcofago di Sethi I è probabilmente il reperto più famoso delle esplorazioni di Belzoni in Egitto. Se ne è già parlato diffusamente sul Gruppo, e mostrato in quasi tutte le salse.

Giusto come memo, è lungo 284 cm, largo 112 e alto 81, ed è in alabastro egiziano traslucido spesso da 4.5 a 11.4 cm. Originariamente bianco, è diventato col tempo di color miele scuro a causa dell’inquinamento londinese e della cattiva conservazione al Soane Museum dove è arrivato dopo le peripezie che abbiamo visto.

È inciso sia sulla parte interna che su quella esterna con brani del Libro delle Porte, incisioni un tempo riempite con il cosiddetto “blu Egitto” ora quasi del tutto scomparse anche a causa della pulizia impropria del sarcofago negli anni (ma la candeggina su un sarcofago egizio???). L’interno del sarcofago è decorato con un’immagine splendida della dea Nut che sta diventando via via sempre meno visibile.
Nel 2017 è stata effettuata una copia del sarcofago in occasione di una mostra sul bicentenario della scoperta della tomba. È stata utilizzata una tecnica di imaging detta “fotogrammetria” che unisce immagini ad altissima risoluzione alla loro posizione spaziale. Sono state necessarie 4500 immagini scattate con una fotocamera Canon 5D (lo scrivo solo perché sono un canonista…) su una slitta motorizzata su 3 assi.


Lo “scheletro” del sarcofago riprodotto è in poliuretano modellato roboticamente e coperto da migliaia di strati di inchiostri acrilici fotosensibili sviluppati dalla Océ – ciascuno strato di 2-40 micron – fino ad ottenere uno “strato” di 1.5 cm assolutamente fedele all’originale. Visto che la “stampa” è stata fatta a settori, i giunti sono stati rifiniti a mano con vernici acriliche ed il tutto ricoperto da uno strato di cera per simulare la lucentezza del materiale originale. Lo stesso procedimento è stato applicato ai frammenti del coperchio ritrovato da Belzoni.



La copia fisica è stata usata per la mostra; la copia digitale è stata invece conservata per verificare nel tempo lo stato di conservazione del sarcofago originale e cercare di prevenire ulteriori danni.
Non solo: dulcis in fundo, il “blu Egitto” ha una caratteristica peculiare: è composto prevalentemente da un raro minerale naturale, la cuprorivaite (CaCuSi4O10) che ha la proprietà di assorbire la radiazione visibile riemettendo una radiazione infrarossa (IR). Con la fotocamera modificata per rilevare gli infrarossi, sono state ottenute immagini straordinarie delle iscrizioni che saranno utilissime sia per studiare in maniera organica le iscrizioni che per intervenire sul restauro dell’originale, ove possibile.
Quando si dice che copiare può servire per proteggere…


3 pensieri su “COPIARE PER PROTEGGERE”