Testi

“MEDU NETJER” – LA PAROLA SACRA

I GEROGLIFICI

A cura di Piero Cargnino

Per gli appassionati di Storia Antico Egizia la parola “geroglifici” è ormai un luogo comune ma siamo sicuri di conoscerne bene l’origine ed il significato? Ne dubito. Nel mio piccolo ho voluto con questo articolo, che spero sia di vostro gradimento, farvi partecipi delle mie esperienze di studio, partiamo dall’inizio.

Con il termine “storia” si usa comunemente definire quel periodo della storia umana che inizia con la comparsa della scrittura, ovvero la storia documentata o registrata, prima era preistoria. Non si può dire che la preistoria finisce ed inizia la storia nello stesso momento in tutto il mondo in quanto ciò dipende dallo stato di evoluzione delle varie popolazioni e dal periodo in cui la scrittura venne adottata. In linea di massima si può parlare di storia a partire dal 3200-3500 a.C., periodo nel quale compaiono le prime scritture in Mesopotamia con la cuneiforme, (Sumeri), ed in Egitto, con i geroglifici.

E’ appunto nel Periodo Protodinastico che iniziamo a trovare le prime rappresentazioni che si distinguono dai semplici graffiti per dirci qualcosa, i primi geroglifici. Il termine deriva dal greco hieroglyphikós che significa: hieròs “sacro” e glýphos “scrittura”. Fu però questo un grande errore di interpretazione da parte dei greci quando vennero in contatto coi geroglifici. In antico egiziano quelle rappresentazioni che chiamiamo geroglifici non avevano affatto quel significato.

I primi scribi che tracciarono quei simboli non intendevano affatto “scrivere”, non avrebbe avuto alcun senso, essi chiamavano i geroglifici con il termine “medu netjer” che letteralmente significa “parola di dio”, (o parola sacra), con riferimento al dio Thot al quale era attribuita l’invenzione di quella che chiamiamo comunemente scrittura. Il significato da loro attribuito era molto più profondo e mistico, non scrittura ma “Parola”.

Il prof. Alessandro Roccati, allora docente di egittologia all’Università di Torino, del quale ho avuto l’onore di assistere ai suoi corsi di geroglifico, ci teneva in modo particolare a precisare che: ”…….mentre la scrittura nasce per trasmettere qualcosa a qualcuno, i geroglifici nell’antico Egitto, almeno per il terzo millennio a.C., non dovevano trasmettere niente a nessuno……”. Innanzitutto perché la cultura allora esistente non prevedeva la necessità di di trasmettere ad altri idee o concetti se non oralmente, ma soprattutto perché i geroglifici erano conosciuti solo dagli scribi e, neppure il faraone, forse avrebbe saputo interpretarli. Nessuno li doveva, o poteva, leggere perché non era quello lo scopo per cui venivano incisi, infatti nell’Egitto antico non venivano rappresentati, come in epoche successive, sui muri di palazzi o templi, ma esclusivamente dove nessuno avrebbe potuto leggerli, all’interno delle tombe, che poi venivano chiuse e sigillate per sempre. Il prof. Roccati aggiungeva: “……I geroglifici venivano incisi semplicemente per esistere, essi rappresentavano formule che il faraone avrebbe utilizzato per superare le molte insidie che avrebbe incontrato nel suo percorso verso la Duat, nient’altro……”.

Le prime iscrizioni presenti in età thinita rivelano una completezza nell’esecuzione già costituita il che fa pensare ad un periodo di maturazione antecedente. Se si tiene conto che i primi accenni di iscrizione geroglifica risalgono alla tavolozza di Narmer mentre i più recenti si trovano nell’isola di File e risalgono, salvo alcune eccezioni, al 394 d.C., significa che questa “scrittura” è stata utilizzata ininterrottamente per circa 3500 anni, anche se, in epoche successive, principalmente a scopo decorativo e di propaganda. La cosa più sorprendente è che in questi oltre tremila anni la scrittura geroglifica non subisce evoluzioni significative, nasce perfetta ed anzi, col passare del tempo, si nota, al contrario, una certa decadenza dovuta forse alle mutate convinzioni degli stessi scribi.

I geroglifici possono essere decifrati partendo da destra verso sinistra o dall’alto verso il basso e viceversa, a seconda della direzione dello sguardo degli uomini o animali rappresentati. Sempre facendo miei i concetti esposti dal prof. Roccati, utilizzo il termine “decifrare” e non “leggere” perché i geroglifici si decifrano non si leggono ne si traducono. Decifrazione che, dopo vari tentativi da parte di altri studiosi, tra cui lo scienziato inglese Thomas Young, riuscì all’egittologo francese Jean François Champollion, nel 1822, il quale sostenne che la scrittura egizia fosse una combinazione tra fonetica, ideogrammi e pittogrammi.

Grazie sopratutto alla famosa “Stele di Rosetta”, che riporta un’iscrizione divisa in tre registri di differenti grafie: geroglifico, demotico e greco antico. L’iscrizione è il testo di un decreto di epoca tolemaica risalente al 196 a.C. emesso in onore del faraone tredicenne Tolomeo V Epifane in occasione del primo anniversario della sua incoronazione. Poiché si tratta pressoché dello stesso testo, la stele ha offerto, grazie alla parte in greco, una chiave decisiva per la comprensione dei geroglifici. Nel suo libro, presentato nel 1824, “Resoconto del sistema geroglifico degli antichi Egizi”, Champollion riportava l’insieme delle sue ricerche sui nomi degli Dei e dei faraoni egiziani, esponendo l’organizzazione di insieme della scrittura egizia in segni fonetici e ideografici: i segni fonetici sono i venticinque segni che indicano una consonante, (il primo vero alfabeto della storia dell’umanità), a cui si aggiungono i segni per i gruppi di due o tre consonanti; i segni ideografici invece designano direttamente l’oggetto o sono determinativi per distinguere parole formate dalle stesse consonanti ma di diverso significato.

Per la scrittura corrente, si sviluppò, in seguito, una forma di corsivizzazione del geroglifico, che permetteva una grafia più rapida, in quanto maggiormente adatta a essere tracciata con un calamo, cioè una canna tagliata allo scopo e intinta nell’inchiostro. Lo ieratico veniva utilizzata per redigere documenti civili, (atti, rapporti, processi, conti, ecc.), testi di letteratura e trattati scientifici, soprattutto su papiro ma anche su ostraka o pietra, “ieratico”, dal greco ieraticòs, (sacedotale).

Verso la fine della XXV dinastia si sviluppò nel Basso Egitto un tipo di scrittura chiamato “demotico” derivato da forme di scrittura usate nel Delta. Questo tipo di scrittura veniva utilizzato principalmente nei documenti più comuni, destinati al popolo. Un esempio più antico di scrittura demotica è presente nella “Stele del Serapeo” a Saqqara e risale al 650 a.C. circa. Mentre oggi possiamo interpretare il significato dei geroglifici, quello che non riusciremo mai a sapere è come suonasse la lingua dei faraoni. Si sa solo che apparteneva al ceppo linguistico delle lingue afro-asiatiche ed era imparentata con quelle berbere e semitiche. Forse alcuni termini egizi sopravvivono ancora nella lingua liturgica dei Copti, (i cristiani d’Egitto). Con i geroglifici verranno ricoperte le pareti delle camere funerarie dei faraoni, dei loro sarcofagi, le mura dei templi dove assumeranno un significato di rappresentanza e di decorazione insieme, ci racconteranno la storia dell’Egitto, le battaglie. Quelli incisi all’interno delle tombe o piramidi continueranno a rappresentare un sostegno per il defunto indicandogli la via dell’aldilà. Da parte mia voglio ringraziare in modo particolare il Prof. Roccati per la passione con la quale ci ha introdotti alla comprensione dei geroglifici.

Fonti e bibliografia:

  • Alessandro Roccati, “Introduzione allo studio dell’egiziano”, Roma 2008
  • Alessandro Roccati, “Egittologia”, Libreria dello Stato, Roma, 2005
  • Christian Jacq, “Il segreto dei geroglifici”, Piemme, Casale Monferrato, 1997
  • Sergio Pernigotti, “Leggere i geroglifici”, La Mandragora, Casalecchio di Reno (BO), 1988
  • Maria Carmela Betrò, “Geroglifici”, Mondadori, Milano, 1995
  • David Sandison, “L’arte egiziana nei geroglifici”, Idea Libri, Rimini, 1997
  • Mark Collier e Bill Manley, “Come leggere i geroglifici egizi£, Giunti, Firenze, 2003
  • Alan Gardiner, “Egyptian Grammar being an introduction to the study of hieroglyphs”, Griffith Institute, Ashmolean Museum, Oxford, by Oxford University Press, 1957

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