C'era una volta l'Egitto, Testi

IL LIBRO DELLE DUE VIE

LA PERGAMENA PIU’ ANTICA DEL MONDO

A cura di Piero Cargnino

Ad agosto 2015, in occasione dell’ultimo Congresso Internazionale di Egittologia, tenutosi a Firenze, è stato annunciato il ritrovamento da parte dell’archeologo Wael el-Sherbiny, associato all’università di Lovanio (Belgio), un rullo di pergamena di circa 2,5 metri di lunghezza, interamente coperto sulle sue due facce di geroglifici delicati e di illustrazioni colorate.

Questo testo la cui lunghezza totale era di 5 m, vecchio di 4000 anni, è apparso tra centinaia di vecchi frammenti di papiro e manoscritti conservati al Museo Egizio del Cairo. Sembra che sia il più vecchio e lungo manoscritto su cuoio mai trovato in Egitto. Il documento, decorato di divinità e di entità sovrannaturali dai potenti poteri magici, risalirebbe infatti al tempo del Medio Regno (2000-1780 a.C.), ovvero 100 anni prima del testo finora considerato il più antico di tutti i documenti egizi: il Libro dei Morti, risalente all’inizio del Nuovo Regno (1500 a.C.).

La mappa degli inferi trovata in una bara egiziana è fatta VIRAL – (Fonte FayerWayer)

Secondo l’egittologo el-Sherbiny, l’origine del documento, che è presente nelle raccolte del Museo del Cairo da 70 anni, non è potuta essere precisamente stabilita. Pare sia stato acquistato da un antiquario locale dall’Istituto Francese di Archeologia Orientale intorno alla Prima Guerra mondiale, restituito poi al Museo Egizio del Cairo, appena prima dell’inizio del secondo conflitto mondiale.

“Molte illustrazioni che decorano questa pergamena non erano mai stati visti prima d’ora”, spiega l’egittologo francese Pascal Vernus, ex direttore alla scuola Pratique des Hautes Etudes (EPHE).

Sarcofago con il Libro delle due vie – (Ph. by larazzodeltempo

La pergamena riporta una versione estesa di una composizione di testi risalenti al Medio Regno (XI e XII dinastia) e che solitamente decoravano il fondo delle bare lignee rettangolari provenienti dalla necropoli di Deir el Bersha ed in quanto tali vengono chiamati “Testi dei Sarcofagi”. Si tratta del cosiddetto ‘Libro delle Due Vie”, il cui contenuto comprende formule funerarie e rituali magico-religiosi, è un testo molto oscuro, sembra sia molto grande, appare come una sorta di carta topografica del Duat che indicizza i vari luoghi dell’Aldilà, con i suoi pericoli, i suoi custodi e la lista delle formule magiche da pronunciare per superare tutte le prove lungo il tragitto.

Sono solo sei gli altri testi dello stesso tipo che sono giunti fino a noi, ma solo sotto forma di papiri, conservati nelle sabbie del deserto grazie al clima secco, mai di pergamena, essendo questa un supporto molto più fragile e meno resistente nel tempo. 

Il Libro delle Due Vie

Noi ora seguiremo la descrizione del “Libro delle Due Vie” attingendo all’opera di Mario Tosi (cit. in fonti). In esso viene descritto il viaggio del defunto attraverso due strade che conducono all’Aldilà collegando l’Oriente con l’Occidente.

Le “Due Vie” sono due strade sorvegliate da guardiani paurosi e sono ben divise l’una dall’altra, quella superiore, dipinta in turchino, rappresenta un canale che si estende sinuoso toccando parecchie località dove compaiono figure ostili e geni del fuoco per raggiungere infine la “Campagna della Felicità” il cui sovrano è Osiri. Il defunto percorre la via, identificato con il dio Thot-luna, “Occhio di Horo”. Il viaggio si presenta come una traversata del cielo notturno, da notare l’assenza di barche in questa via d’acqua. Quella inferiore, dipinta in nero, si presenta come una via di terra che attraversa le distese liquide popolate da guardiani minacciosi. Il defunto la percorre stando sulla barca solare del dio Ra, al quale poi si assimila. In questo caso il tragitto si presenta come una traversata del cielo diurno. La meta finale è il territorio di Horo l’anziano, “il signore del cielo il cui occhio destro è il Sole ed il sinistro la Luna”.

Superate le numerose curve le due vie si incontrano nella prima tappa del percorso del defunto, “Rosetau”, ovvero la necropoli in generale dove entrerà in contatto con il mondo sotterraneo. Qui dove le due vie si incontrano, all’ingresso di Rosetau, sono presenti i “mastiu” (cioè accovacciati), ovvero geni con in mano dei serpenti. Il defunto, recando con se Maat che qui assume la forma di Iside che dalla prua guida la barca durante il viaggio, in compagnia di Ra, nella notte, attraverso una porta monumentale, entra in una grande sala detta “Il Castello della Luna”. Intanto sulla barca “il Sole che brilla nella notte” inizia a fare capolino sotto forma di scarabeo. Segue un inno alla gloria di Maat.

Continua intanto il viaggio del defunto che ora dovrà attraversare sette porte (in seguito citate anche nel “Libro dei Morti” al capitolo 144), che sono difese da terribili guardiani. Superate le prime quattro, il defunto si ritrova in un vestibolo dove tre porte conducono a tre stanze parallele destinate ciascuna a tre diverse entità. La prima a sinistra è riservata a colui che è posto nel “Luogo del refrigerio del cielo”, “l’akh purificato, immortale e dio”. Quella a destra appartiene ad Osiri dove il dio compare su un’isola con la sua barca detta “Colei la cui vita è duratura”, ossia il dio millepiedi Sepa. Su di un’altra isola compaiono le membra di Osiri disperse da Seth, non è chiaro il significato ma si suppone che le membra sparse del dio facciano riferimento a tutti i distretti d’Egitto.

Il defunto, superata l’ultima porta si ritrova nel territorio della luce, il “Cielo signore di ogni Cielo”, le tenebre sono sparite perché egli “ha rischiarato la notte” e può contemplare la perfezione di Ra. Qui il signore supremo è Horo l’anziano, identificato con Ra, la sua barca è preceduta da varie divinità che con archi e giavellotti respingono il serpente Apopi. Il tutto simboleggia la lotta finale contro lo spirito del male alla quale il defunto partecipa con Ra (il Sole) e Thot (la Luna). Le “Due vie” sono separate da un lago di fuoco assolutamente insuperabile.

Dal “Libro delle Due Vie”, durante il Nuovo Regno, prenderanno lo spunto due rituali, il “Libro dell’Amduat” ed il “Libro dei Morti”.

Fonti:

Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle Divinità dell’Antico Egitto”, Ananke 2004 Web – Scienze e Futuro n° 821 – luglio 2015

Oggetti rituali, Testi

LE TAVOLE D’OFFERTA

Di Nico Pollone

Le tavole d’offerta, in raffigurazione pittorica, in incisione e in forme e dimensioni diverse, compaiono a partire dall’antico regno. La cosa più semplice per offrire una offerta era un tappetino con sopra una pagnotta di pane. L’evoluzione culturale e religiosa, li ha trasformati in “tavoli” delle offerte, scolpiti o dipinti con immagini di offerte tipiche , come pane, birra, carni e pollami. Se la famiglia non avesse più fatto offerte, si pensava che le immagini delle offerte avrebbero sostenuto il defunto.
Il pezzo più antico che ho trovato è in versione molto contenuta rispetto al numero delle offerte rispetto alle successive esposizioni di offerte.
E’ la stele della principessa egizia Nefertiabet della IV dinastia, figlia del faraone Cheope (foto sotto)

Le “tavole” consistono in una elencazione di vari prodotti della vita quotidiana raffigurati in immagine e/o in forma scritta (Testo geroglifico) davanti o in prossimità del personaggio a cui sono dedicate o in manufatti appositi, di varie forme ritrovate in varie tombe.

Tavola d’offerta della cappella di Idu

Caso raro ma non unico è quello di Kaisebi, dove l’elencazione delle offerte è collocato nello spazio centrale di una falsaporta (foto sotto):

Il numero di queste offerte è estremamente variabile. Parte da poche rappresentazioni fino ad arrivare ad elenchi che ne contengono più di cento.
In appositi riquadri o caselle è scritto il nome dell’offerta e a volte il numero.
A volte, la quantità è espressa in riquadro apposito, e in alcuni casi accompagna il disegno della categoria a cui si riferisce (es. pollame, carne, spezie, ecc.).
Un’altra aggiunta può essere la rappresentazione reale di un uomo in offerta di quel particolare prodotto (es. tomba of Khuwi. foto sotto).

La disposizione delle offerte, a un primo impatto visivo, sembra non avere un senso logico ma può sembrare solo un insieme di elencazioni di offerte, raggruppate tra loro per affinità.
Esiste invece un preciso ordine che riguarda praticamente tutte le rappresentazioni con le simili quantità di offerte che sono riuscito a consultare.
Non so se sia un “copia-incolla” o se rispetti una regola prefissata, magari imposta da un
“cerimoniale”. Ho chiesto un parere a un importante egittologo e la risposta è stata questa:

….NON esiste uno schema. Esistono dei modelli di lavoro, variabili nelle scuole. Sono solo linee guida e non regole fisse che nella conservatrice ma non dogmatica società egizia, sarebbero stridenti.

La risposta è quella di un docente, non di facile interpretazione (almeno per me).

Passo a indicare i punti di confronto delle tavole.

Prima osservazione:

L’inizio della rappresentazione è sempre preceduta da due caselle che non sono offerte vere e proprie, ma rappresentano (in forma scritta) due atti di purificazione. Il primo con abluzione di acqua e il secondo con fumigazione d’incenso.
Esempio:

Illustrazione tavola d’offerta della cappella di Mery Nesut

Seconda osservazione:

Dopo le due parole che indicano una purificazione, sono elencati i sette oli sacri.

Questi erano utilizzati nella preparazione del cadavere, per la mummificazione o per ungere occhi e bocca del corpo o della statua del defunto durante il “Rituale dell’apertura della bocca”.
Nelle tavole d’offerta reali, in corrispondenza con il nome dell’olio era ricavata una coppelle dove l’olio era realmente versato. (vedi foto sotto)

Tutte le versioni delle tavole sono concordi nell’elencare i sette oli. (in molte varianti di scrittura).

Tavola d’offerta di Defdji

Terza considerazione:

A questa ulteriore serie (mediamente 8), le offerte appartengono a diverse categorie,
tutte però sembrano indicare una sorta di indicazione alla persona, nel senso di tolettatura e alla purificazione, alle strutture funerarie.
Ad es:

  • le creme per il trucco degli occhi, le stoffe/abiti, per la persona.
  • L’incenso, il natron, tavolo d’offerta, preparazione ambiente e purificazione.
  • Offerta al re, offerta nell’ampia sala, a un luogo e a una simbolica citazione al re in quanto dio?

Anche questa serie è una costante per quasi tutte le tavole d’offerta.

Quarta considerazione:

La casella qui rappresentata (nella quasi totalità collocata in diciottesima posizione ) raffigura un qualcosa di non facile interpretazione.
Essa infatti non è una offerta vera e propria, ma una espressione di un qualcosa che non riesco a interpretare.
La traslitterazione è quasi universalmente tradotta in: sit down! (siediti!)che non sembra coerente con una lista di offerte.

Come determinativo è sempre impiegata una figura umana accovacciata assimilabile quasi sempre a A1

“La traduzione più attinente sarebbe piuttosto: “prender possesso”, come l’abitante
di un luogo che vive grazie alle offerte (cosa che d’altro canto è chiaramente simbolizzata dal gesto di tendere la mano verso la tavola, ossia come detto precedentemente “prendere possesso”).”

Questa interpretazione mi è stata suggerita da un amico. Però non mi convince molto, soprattutto perché non riesco a trovare collegamenti a questa traduzione con la parola , e anche i raffronti con i testi delle piramidi di diversi autori non danno questa interpretazione, confermando la traduzione classica di: siediti.

Tomb of Qar, Late Period, Offering Table, Alabaster

Da questo punto incomincia l’elencazione delle offerte vere e proprie.
Le offerte comprendono tutte le tipologie: pane, birra, uccelli, parti bovini o ovini, stoffe ecc.

Alcune traduzioni sono incerte. e si è preferito lasciare il temine nella sola traslitterazione.

Filosofia, Testi

IL PICCOLO INNO AD ATON

A cura di Nico Pollone

E’ detto piccolo inno per non confonderlo con il “Grande inno” ben più famoso e conosciuto.

Questo testo è rappresentato in 8 esemplari praticamente simili ma non identici tutti provenienti dalle tombe di Amarna. Piccole varianti li caratterizzano.

Ne propongo qui uno in solo testo, proveniente dalla tomba di Mahu TA9. Il mio intento è prendere in esame tutti i testi, confrontarli e evidenziare le differenze, con trascrizione geroglifica, traduzione e traslitterazione, nonché qualche informazione sul contesto di provenienza. Naturalmente è un lavoro lungo e dai tempi non quantificabili.

Il testo:

Adorazione: viva Ra-HarAkhty-che-esulta-nell’-orizzonte in-suo-nome-di-Shu-che-è-in-Aton Viva per sempre e per l’eternità , da parte del re, che vive nella verità, signore delle due terre Nefer Kheperura Waenre, figlio di Ra che vive nella verità, signore delle corone, ( Akhenaton) , grande nella (durata della) sua vita (affinché) possa dare per sempre vita eterna. Il tuo sorgere è bello (oh) Aton vivente signore dell’eternità. Tu sei brillante, bello/perfetto e forte. Il tuo amore è grande e immensa è la luce che tu irradi che accarezza ? ciascuno (ogni persona). La tua carnagione risplende, fa vivere i cuori e fa in modo che le due terre siano colme del tuo amore. Dio augusto che si è formato da solo (lett. – da lui stesso), che ha fatto ogni terra, e creato ciò che è sopra di lei: come l’umanità, tutte le mandrie e le greggi e tutti gli alberi che crescono sulla terra. Essi vivono quando tu sorgi su di loro. Sei tu madre e padre di tutto quello che hai creato (per) i loro occhi e per il Ka del capo delle guardie Medjay di Akhenaton Mahu, che possa vivere nuovamente (Risorgere?)

Foto di Andrea Vitussi che ringrazio, e disegno di N.G. Davies.

Testi

“MEDU NETJER” – LA PAROLA SACRA

I GEROGLIFICI

A cura di Piero Cargnino

Per gli appassionati di Storia Antico Egizia la parola “geroglifici” è ormai un luogo comune ma siamo sicuri di conoscerne bene l’origine ed il significato? Ne dubito. Nel mio piccolo ho voluto con questo articolo, che spero sia di vostro gradimento, farvi partecipi delle mie esperienze di studio, partiamo dall’inizio.

Con il termine “storia” si usa comunemente definire quel periodo della storia umana che inizia con la comparsa della scrittura, ovvero la storia documentata o registrata, prima era preistoria. Non si può dire che la preistoria finisce ed inizia la storia nello stesso momento in tutto il mondo in quanto ciò dipende dallo stato di evoluzione delle varie popolazioni e dal periodo in cui la scrittura venne adottata. In linea di massima si può parlare di storia a partire dal 3200-3500 a.C., periodo nel quale compaiono le prime scritture in Mesopotamia con la cuneiforme, (Sumeri), ed in Egitto, con i geroglifici.

E’ appunto nel Periodo Protodinastico che iniziamo a trovare le prime rappresentazioni che si distinguono dai semplici graffiti per dirci qualcosa, i primi geroglifici. Il termine deriva dal greco hieroglyphikós che significa: hieròs “sacro” e glýphos “scrittura”. Fu però questo un grande errore di interpretazione da parte dei greci quando vennero in contatto coi geroglifici. In antico egiziano quelle rappresentazioni che chiamiamo geroglifici non avevano affatto quel significato.

I primi scribi che tracciarono quei simboli non intendevano affatto “scrivere”, non avrebbe avuto alcun senso, essi chiamavano i geroglifici con il termine “medu netjer” che letteralmente significa “parola di dio”, (o parola sacra), con riferimento al dio Thot al quale era attribuita l’invenzione di quella che chiamiamo comunemente scrittura. Il significato da loro attribuito era molto più profondo e mistico, non scrittura ma “Parola”.

Il prof. Alessandro Roccati, allora docente di egittologia all’Università di Torino, del quale ho avuto l’onore di assistere ai suoi corsi di geroglifico, ci teneva in modo particolare a precisare che: ”…….mentre la scrittura nasce per trasmettere qualcosa a qualcuno, i geroglifici nell’antico Egitto, almeno per il terzo millennio a.C., non dovevano trasmettere niente a nessuno……”. Innanzitutto perché la cultura allora esistente non prevedeva la necessità di di trasmettere ad altri idee o concetti se non oralmente, ma soprattutto perché i geroglifici erano conosciuti solo dagli scribi e, neppure il faraone, forse avrebbe saputo interpretarli. Nessuno li doveva, o poteva, leggere perché non era quello lo scopo per cui venivano incisi, infatti nell’Egitto antico non venivano rappresentati, come in epoche successive, sui muri di palazzi o templi, ma esclusivamente dove nessuno avrebbe potuto leggerli, all’interno delle tombe, che poi venivano chiuse e sigillate per sempre. Il prof. Roccati aggiungeva: “……I geroglifici venivano incisi semplicemente per esistere, essi rappresentavano formule che il faraone avrebbe utilizzato per superare le molte insidie che avrebbe incontrato nel suo percorso verso la Duat, nient’altro……”.

Le prime iscrizioni presenti in età thinita rivelano una completezza nell’esecuzione già costituita il che fa pensare ad un periodo di maturazione antecedente. Se si tiene conto che i primi accenni di iscrizione geroglifica risalgono alla tavolozza di Narmer mentre i più recenti si trovano nell’isola di File e risalgono, salvo alcune eccezioni, al 394 d.C., significa che questa “scrittura” è stata utilizzata ininterrottamente per circa 3500 anni, anche se, in epoche successive, principalmente a scopo decorativo e di propaganda. La cosa più sorprendente è che in questi oltre tremila anni la scrittura geroglifica non subisce evoluzioni significative, nasce perfetta ed anzi, col passare del tempo, si nota, al contrario, una certa decadenza dovuta forse alle mutate convinzioni degli stessi scribi.

I geroglifici possono essere decifrati partendo da destra verso sinistra o dall’alto verso il basso e viceversa, a seconda della direzione dello sguardo degli uomini o animali rappresentati. Sempre facendo miei i concetti esposti dal prof. Roccati, utilizzo il termine “decifrare” e non “leggere” perché i geroglifici si decifrano non si leggono ne si traducono. Decifrazione che, dopo vari tentativi da parte di altri studiosi, tra cui lo scienziato inglese Thomas Young, riuscì all’egittologo francese Jean François Champollion, nel 1822, il quale sostenne che la scrittura egizia fosse una combinazione tra fonetica, ideogrammi e pittogrammi.

Grazie sopratutto alla famosa “Stele di Rosetta”, che riporta un’iscrizione divisa in tre registri di differenti grafie: geroglifico, demotico e greco antico. L’iscrizione è il testo di un decreto di epoca tolemaica risalente al 196 a.C. emesso in onore del faraone tredicenne Tolomeo V Epifane in occasione del primo anniversario della sua incoronazione. Poiché si tratta pressoché dello stesso testo, la stele ha offerto, grazie alla parte in greco, una chiave decisiva per la comprensione dei geroglifici. Nel suo libro, presentato nel 1824, “Resoconto del sistema geroglifico degli antichi Egizi”, Champollion riportava l’insieme delle sue ricerche sui nomi degli Dei e dei faraoni egiziani, esponendo l’organizzazione di insieme della scrittura egizia in segni fonetici e ideografici: i segni fonetici sono i venticinque segni che indicano una consonante, (il primo vero alfabeto della storia dell’umanità), a cui si aggiungono i segni per i gruppi di due o tre consonanti; i segni ideografici invece designano direttamente l’oggetto o sono determinativi per distinguere parole formate dalle stesse consonanti ma di diverso significato.

Per la scrittura corrente, si sviluppò, in seguito, una forma di corsivizzazione del geroglifico, che permetteva una grafia più rapida, in quanto maggiormente adatta a essere tracciata con un calamo, cioè una canna tagliata allo scopo e intinta nell’inchiostro. Lo ieratico veniva utilizzata per redigere documenti civili, (atti, rapporti, processi, conti, ecc.), testi di letteratura e trattati scientifici, soprattutto su papiro ma anche su ostraka o pietra, “ieratico”, dal greco ieraticòs, (sacedotale).

Verso la fine della XXV dinastia si sviluppò nel Basso Egitto un tipo di scrittura chiamato “demotico” derivato da forme di scrittura usate nel Delta. Questo tipo di scrittura veniva utilizzato principalmente nei documenti più comuni, destinati al popolo. Un esempio più antico di scrittura demotica è presente nella “Stele del Serapeo” a Saqqara e risale al 650 a.C. circa. Mentre oggi possiamo interpretare il significato dei geroglifici, quello che non riusciremo mai a sapere è come suonasse la lingua dei faraoni. Si sa solo che apparteneva al ceppo linguistico delle lingue afro-asiatiche ed era imparentata con quelle berbere e semitiche. Forse alcuni termini egizi sopravvivono ancora nella lingua liturgica dei Copti, (i cristiani d’Egitto). Con i geroglifici verranno ricoperte le pareti delle camere funerarie dei faraoni, dei loro sarcofagi, le mura dei templi dove assumeranno un significato di rappresentanza e di decorazione insieme, ci racconteranno la storia dell’Egitto, le battaglie. Quelli incisi all’interno delle tombe o piramidi continueranno a rappresentare un sostegno per il defunto indicandogli la via dell’aldilà. Da parte mia voglio ringraziare in modo particolare il Prof. Roccati per la passione con la quale ci ha introdotti alla comprensione dei geroglifici.

Fonti e bibliografia:

  • Alessandro Roccati, “Introduzione allo studio dell’egiziano”, Roma 2008
  • Alessandro Roccati, “Egittologia”, Libreria dello Stato, Roma, 2005
  • Christian Jacq, “Il segreto dei geroglifici”, Piemme, Casale Monferrato, 1997
  • Sergio Pernigotti, “Leggere i geroglifici”, La Mandragora, Casalecchio di Reno (BO), 1988
  • Maria Carmela Betrò, “Geroglifici”, Mondadori, Milano, 1995
  • David Sandison, “L’arte egiziana nei geroglifici”, Idea Libri, Rimini, 1997
  • Mark Collier e Bill Manley, “Come leggere i geroglifici egizi£, Giunti, Firenze, 2003
  • Alan Gardiner, “Egyptian Grammar being an introduction to the study of hieroglyphs”, Griffith Institute, Ashmolean Museum, Oxford, by Oxford University Press, 1957
Cose meravigliose, Testi

LA STELE DI ROSETTA

A cura di Andrea Petta

È una stele (o meglio, un frammento di stele) in granodiorite grigia di 112×75 cm con inciso lo stesso testo in demotico, in greco antico ed in geroglifico.Si tratta di un decreto, promulgato nel 197-196 a.C., in occasione dell’anniversario dell’ascesa al trono di Tolomeo V Epifane.Dopo aver elencato le innumerevoli imprese di Tolomeo V, decreta che statue in suo onore debbano essere erette in tutti i templi, e che si tengano celebrazioni in suo onore. Il paragrafo conclusivo dichiara “E questo decreto sarà inscritto su stele di pietra dura, in santo (geroglifico) e in nativo (demotico), e in lettere greche”.

La Stele e la sua ricostruzione nella forma originale
I due lati della Stele, ancora con le scritte in inglese “Bottino dell’esercito inglese in Egitto, 1801” e “Donata dal Re Giorgio III”

Fu probabilmente eretta nei pressi di un tempio, presumibilmente a Sais, e spostata in periodo medioevale, utilizzata come materiale di costruzione per Fort Julien vicino alla città di Rashid (Rosetta). Ne sono sopravvissute 14 righe in geroglifico, 32 righe in demotico e 54 righe in greco.

La storia

Riemerse alla luce nel luglio 1799 nel corso della spedizione napoleonica ad opera di tale Boussard o Bouchard (non è univoco), ma è probabile che sia stato riportato solo il nome del caposquadra dei lavori. La scoperta venne riportata nel “Courriere de l’Égypte” (il giornale ufficiale della spedizione francese) a settembre e fin da subito venne vista come la chiave per decifrare i geroglifici.

L’edizione del “Courier de l’Egypte” con la notizia del ritrovamento. La data è 29 fruttidoro, anno 7° (15 settembre 1799). La scoperta viene riportata come effettuata il 2 fruttidoro, anno 7° (19 agosto 1799). Nella terza pagina c’è l’immediata percezione che sia la chiave per la decifrazione dei geroglifici. Ritrovare queste immagini è stato un tuffo nella Storia.


Alla sconfitta dei Francesi in Egitto scoppia il pandemonio.

Gli Inglesi pretendono la consegna di tutti i monumenti, i papiri, le mappe, gli schizzi, i disegni. I Francesi si rifiutano.

Lo scienziato francese Etienne Saint-Hilaire dichiara al diplomatico inglese William Hamilton: “Bruceremo noi stessi queste ricchezze…farai i conti con la memoria della Storia. Avrai bruciato una nuova biblioteca di Alessandria“. Al che gli Inglesi ci ripensano e chiedono solo i monumenti.

Fourier in persona stila l’elenco: al n° 8 c’è la Stele di Rosetta. Poi ci ripensa e prova a nasconderla su una barca; Hamilton però la scopre e la requisisce.

Come abbiamo visto, calchi e copie di bassa qualità giunsero comunque in Francia, e nel 1822 finalmente la pubblicazione sulla “Description de l’Egypte” in quella che oggi definiremmo “alta risoluzione”.

L’esposizione della Stele al Secondo Convegno delle Scienze Orientali del 1874. Una copia della Stele è esposta in identico modo nella Biblioteca Reale del British Museum

Di lì in avanti la Stele non lascerà più l’Inghilterra nonostante ripetute e vane richieste di riportarla in Egitto come per altri reperti.Nel 2002 numerosi musei quali il British Museum, il Louvre, il Pergamon Museum di Berlino e il Metropolitan Museum di New York hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui dichiarano che “gli oggetti acquistati in tempi precedenti devono essere visti in alla luce di sensibilità e valori differenti che riflettono quell’era” e che “i musei non servono solo ai cittadini di una nazione ma il popolo di ogni nazione“, chiudendo di fatto ogni porta alle pretese di restituzione degli antichi reperti.

La Stele è quindi rimasta al British Museum (inventario EA24) dove, in tempi normali, bisogna scostare una massa oceanica di giapponesi per riuscire a fotografarla.

La riproduzione gigante a Figeac, paese natale di Champollion, realizzata per il bicentenario della nascita
Nuovo Regno, Testi, Tutankhamon, XVIII Dinastia

LA MASCHERA FUNEBRE DI TUTANKHAMON

Uno degli oggetti più famosi al mondo dell cultura egizia.

Condizioni

La maschera, alta 54 cm, larga 39,3 cm e profonda 49, è costituita da due strati d’oro di differente caratura[1], dello spessore variante da 1,5 a 3 mm, per un peso complessivo di 10,23 kg.

Le peripezie cui è stata sottoposta, a seguito della scoperta nel 1922, ma anche in fase di apposizione al corpo del faraone, hanno lasciato alcuni danni[2] con perdita di parti degli intarsi in pasta vitrea sul davanti e, specie nella treccia, sul retro del copricapo “nemes”.

Gran parte di questi danni furono causati dallo stesso Carter quando, con i modi più inusuali[3] cercò di estrarre il corpo del re dal suo “letto” a cui era ormai saldato a causa dell’antica gran quantità di resine utilizzate.

Altro danno, stavolta risalente di certo alle cerimonie d’inumazione, è quello riscontrabile sul petto là dove, verosimilmente, furono, estemporaneamente e speditivamente, praticati due fori per fissare in loco gli scettri che si incrociavano sul torace[4]. È verosimile che tale operazione si sia resa necessaria durante la cerimonia di “apertura degli occhi e della bocca” quando, come peraltro visibile anche nei dipinti murari della stessa KV62, i sarcofagi si trovavano in piedi. È quindi probabile che in tale posizione pastorale e flagello non restassero in loco o rischiassero di cadere al suolo. Si rese perciò necessario fissarli in qualche modo.

Una vistosa ammaccatura, forse un urto violento o addirittura una caduta, con perdita di materiale, viene inoltre citata negli appunti di Carter che recuperò alcuni frammenti d’oro dal suolo[5].

Benché la maschera non sembri possa essere stata preparata o adoperata per precedenti sepolture, tuttavia Carter[6] rilevò che, a suo avviso, era stata tuttavia preparata per qualcun altro. A suffragio di tale ipotesi, l’archeologo fece notare la presenza, alle orecchie della maschera e del sarcofago in oro più interno[7], di fori per orecchini che, in entrambi i casi, erano stati, però, mascherati con dischi d’oro[8]. Sono note, infatti, solo pochissime rappresentazioni di sovrani (due in realtà[9]) che, in età adulta, indossano orecchini; ciò fa’ supporre che se gli orecchini fossero “accettati” in età prepuberale, non lo fossero altrettanto in età adulta[10]. Ciò potrebbe indicare che la maschera fosse stata predisposta per altri (come ventilato da Carter) o, ad esempio, quando Tutankhamon era ancora considerato “bambino” e non nell’imminenza della morte.

Altra ipotesi possibile, come si vedrà nel paragrafo successivo, potrebbe vedere il viso, di fatto, staccato dal “nemes” e dalle orecchie, così convalidando la possibilità che, mentre copricapo e orecchie appartenessero ad una struttura “standard” già predisposta, il viso rappresentasse effettivamente le fattezze del faraone fanciullo.

STRUTTURA DELLA MASCHERA

Esami radiografici cui la maschera è stata sottoposta nel 2001 e, più recentemente, nel 2009[11], hanno consentito di individuare una serie di rivetti alla base della gola e una visibile linea di saldatura lungo i bordi del viso e del collo, nonché nella fascia frontale[12]. Esami approfonditi hanno infine consentito di appurare che la maschera è costituita da ben otto parti distinte, tutte collegate tra loro mediante rivettature, martellamento, saldature o semplicemente a pressione (come nel caso della barba):

  1. pannello frontale;
  2. pannello posteriore;
  3. cobra e avvoltoio sulla fronte;
  4. viso;
  5. orecchio destro;
  6. orecchio sinistro;
  7. barba;
  8. collare.

A causa di un maldestro incidente nel 2014 (cadde mentre veniva sostituita l’illuminazione della teca rompendo la barba) è stata sottoposta ad un primo restauro altrettanto maldestro e ad un secondo per riallineare la barba stessa ed eliminare i residui di colla.

Attualmente al Museo del Cairo; ne esistono diverse copie utilizzate per le esibizioni itineranti


[1]     Viso e collo sono ricavati da una lamina di 18,4 carati, mentre il resto della maschera da lamine di 22,5 (Nicholas Reeves. “Tutankhamun’s Mask Reconsidered”. In Bulletin of the Egyptological Seminar. [BES] 2015 19. P. 513).

[2]     [Bulletin of the Egyptological Seminar (New York)] BES (2015), p. 514.

[3]     Sarcofago più interno e maschera furono trovati solidali con il corpo del re a causa della gran quantità di resine che era stata versata al loro interno. Nel tentativo di staccare il corpo dal suo sarcofago, Carter dapprima tentò esponendolo al calore del sole egiziano e sperando che questo sciogliesse le resine, passò poi a fortissime lampade e al tentativo utilizzando lame arroventate giungendo, infine, a porre l’intero sarcofago e il suo contenuto sul fuoco quasi al limite della temperatura di fusione dell’oro. Questi “trattamenti” causarono, come prevedibile, danni non solo al sarcofago e alla maschera, ma anche allo stesso corpo del re che, al termine, risultò frazionato in più parti. Nel 1925, quando il Dottor Douglas Erith Derry si apprestò ad eseguirne l’autopsia, dovette operare con il corpo ancora nel sarcofago per l’impossibilità di estrarlo. 

[4]     Dagli appunti di Carter, carta n.ro 256(b) 4 (presso “The Griffith Institute” presso l’Università di Oxford)

[5]     BES (2015), p. 515.

[6]     Dagli appunti di Carter, carta n.ro 255.

[7]      BES (2015), p. 518.

[8]     Tale particolare non è chiaramente visibile dalle foto di Burton dell’epoca del ritrovamento, ma viene espressamente citato da Carter -carta n.ro 256a (1) dei suoi appunti- come “camuffamento”. SI legge, infatti: “…Gold mask or similitude of the King; The face with pierced ears (afterwards covered over with gold foil)…”

[9]     Si tratta di un frammento in calcare che rappresenta Amenhotep I, proveniente dal tempio di Meniset a Tebe e di un rilievo di Ramses II, oggi al Louvre cat. N522.

[10] Jean Thibault (1968), La masque d’or de Toutankhamon radiographié, Photo-ciné-revue (May 1968), pp. 216-217.

[11]     BES (2015), p. 516

[12]     Emily Teeter (1979), in The Treasures of Tutankhamun: A Supplementary Guide, n.ro 25, pp. 19-20 riporta che la “maschera è costruita in più parti. Il viso è stato lavorato a parte e unito al preesistente nemes con piccoli rivetti d’oro difficilmente individuabili anche dall’interno…”. Vedi anche Reeves (2015) citato.

Nuovo Regno, Testi, Tutankhamon, XVIII Dinastia

IL TESTO DELLA MASCHERA FUNEBRE DI TUTANKHAMON

A cura di Nico Pollone

Testo completo di lettura della maschera funeraria di Tutankhamon
(retro)

Salute a te, bello è il tuo viso che irradia la luce
posseduta da Ptah-Sokar, esaltato da Anubi, e fa che siano date a
Thot , lodi (= glorificare).

Bello è il volto che è presso (lett. in) gli dei.

Il tuo occhio destro è nella
barca del dio sole della sera, il tuo occhio sinistro è nella barca del dio sole del mattino, le
tue sopracciglia nell’enneade degli dei.

La tua fronte è in Anubi, la tua nuca è in Horo, la tua chioma è in Ptah-Sokaret e sei (lett. in/nel) davanti a Osiri,

Egli ti vede (lett. il vedere suo te), e ti guida verso le strade belle, a colpire per lui
la confederazione di Seth, (così che) sconfigga egli i tuoi nemici presso
L’enneade degli dei del grande palazzo che è in Heliopolis.

Lui ha preso possesso della corona, ed è (sotto la maestà) di Horus signore dell’umanità.
L’osiri sovrano [Neb-Kheperu-ra] giusto di voce, dia vita come Ra.

Nuovo Regno, Testi, XVIII Dinastia

LE ISCRIZIONI DELLA TOMBA KV55

A cura di Nico Pollone

Chi è l’ospite (o gli ospiti) della KV55?”

Nessuna velleità di dare risposte a questa domanda. L’ aggiunta alla “biblioteca” di questo mio studio, vuole solo mettere a disposizione tutte le prove scritte, che nonostante una condotta archeologica disastrosa, si sono salvate da una potenziale e probabile distruzione.

La lettura, confortata da interventi di due amici è illuminante, e merita attenzione.

Questo lavoro risulterà un po’ tecnico ai più. Gli altri si potranno accontentare delle foto e disegni.

Altre informazioni di altri piccoli oggetti privi di iscrizioni e sconosciuti ai più saranno inseriti successivamente.

Il file in pdf è scaricabile qui sotto: