A cura di Andrea Petta
La Grande Bellezza, la Brutta Politica e la Pessima Comunicazione (Ernesto Schiaparelli e Nefertari)
Agli albori del XX secolo il mondo archeologico egiziano sta cambiando. L’epoca dei saccheggi, anche travestiti da presunti scavi archeologici, sta tramontando. Si seguono regole via via più precise e stringenti, servono permessi ed autorizzazioni. C’è concorrenza tra le diverse spedizioni europee per farseli assegnare. La neonata Missione Archeologica Italiana (M.A.I.) sgomita un po’ a Giza nel 1903 con le corrispettive missioni inglesi e tedesche, poi ripiega a Tebe. Ma la Valle dei Re è off-limits per i sabaudi, è stata assegnata loro la Valle delle Regine, l’antica Ta Set Neferu, il Luogo delle Bellezze. Le speranze sono comunque grandi per l’uomo a capo della spedizione, pensa che tra le tombe dei nobili si possa trovare qualcosa di grande valore archeologico.
Ernesto Schiaparelli non sa che sta per scoprire la tomba probabilmente più bella di tutto l’Antico Egitto.

Figlio di un professore di Storia dell’Università di Torino, era nato 48 anni prima in un paesino del Biellese, Occhieppo Inferiore, che le cronache dell’epoca descrivono come “diversamente fortunato”: terreno poco fertile, clima freddo, niente pascoli montani e niente castagneti, che fornivano l’alimento per la sopravvivenza invernale. Gli Schiaparelli sono però benestanti da quando un lontano antenato ha iniziato a conciare le pelli e possono far studiare i figli. Ernesto studia lettere a Torino, poi può permettersi di andare un anno alla Sorbona a Parigi, e quell’anno gli cambia la vita. Segue le lezioni di Maspero in quel periodo e la sua strada prende la direzione del Nilo. Dirige la Sezione Egiziana del Museo Archeologico di Firenze, poi direttamente il Regio Museo d’Antichità ed Egizio di Torino. In quel ruolo potrebbe limitarsi a gestire acquisizioni ed esposizione, ma Ernesto è “figlio” della scuola francese ed è convinto dell’importanza del lavoro sul campo. È già stato un paio di volte in Egitto, ed ha partecipato alla scoperta della tomba di Harkhuf, un nomarca della VI Dinastia, che gli ha confermato quanto sia importante operare in prima persona.

La lettera originale di Schiaparelli al Ministro della Pubblica Istruzione con la richiesta di istituzione della Missione Archeologica Italiana.
Furbescamente non menzionò mai se una missione archeologica fosse più o meno dispendiosa dell’acquisizione diretta di reperti e menzionò una lettera di “invito agli scavi” di Maspero che in realtà non esisteva…
Nel 1903 riesce quindi a farsi assegnare un budget da Vittorio Emanuele III ed i permessi dal suo vecchio insegnante, Maspero. Il budget è in realtà irrisorio: l’equivalente di più o meno 90,000 euro attuali all’anno per soli quattro anni. Schiaparelli risparmierà peggio di un genovese negli scavi; lui stesso sfrutterà sempre l’accoglienza dei missionari invece degli alberghi (supporterà sempre l’opera delle missioni religiose). E la concorrenza per le concessioni è spietata. I francesi fanno ancora la parte del leone; poi ci sono gli inglesi con Petrie che è una specie di macchina da guerra archeologica, gli statunitensi con Reisner (che porterà a Boston un mare di reperti) e stanno arrivando i tedeschi con Borchardt, che farà il “botto” ad Amarna. A stento, e apparentemente solo per la loro vecchia conoscenza, ha strappato a Maspero la concessione per la Valle delle Regine e le necropoli tebane. In realtà c’è un sottile gioco politico dietro, con un’alleanza italo-francese nell’area del Mediterraneo per limitare l’espansione britannica.


Per dare un’idea dell’affollamento a Giza nel 1903:
“Seguendo le istruzioni del Maspero, Direttore Generale delle Antichità per il Governo Egiziano, si spartì l’area cemeteriale come segue:
1) agli Italiani era assegnata, del Cimitero Occidentale di Cheope diviso in tre striscie (sic) E-W, la striscia sud, inoltre del Cimitero Orientale di Cheope, diviso in due parti dal prolungamento della mediana E-W della piramide di Cheope, la parte sud;
2) ai Tedeschi, del Cimitero Occidentale di Cheope la striscia centrale, il Cimitero Meridionale di Cheope, il Cimitero Orientale di Chefren;
3) agli Americani, del Cimitero Occidentale di Cheope la striscia nord, del Cimitero Orientale di Cheope la parte nord, nonché il Cimitero Orientale di Micerino”
E così, nel 1904 scopre tra le altre l’ingresso della tomba di Nefertari. La tomba è stata completamente saccheggiata ma ebbe a scrivere Schiaparelli “Sebbene i corredi funerari rinvenuti fossero pochissimi, (noi) ci siamo comunque rallegrati del ritrovamento, poiché oltre ad essere la tomba di una delle più famose regine egizie, era anche di una singolare bellezza”. Rallegràti? Singolare bellezza? Se avesse trovato il busto di Nefertiti cosa avrebbe detto? “Bella statuetta”? In realtà la tomba verrà descritta come “la Cappella Sistina egizia” e la vedremo nel dettaglio con tutto il suo splendore.

Schiaparelli però non la sfrutta; il lavoro nelle tombe della Valle delle Regine dura solo un anno ed incredibilmente al termine di quell’anno Schiaparelli è in enorme difficoltà. I reperti disponibili per Torino sono pochi, paradossalmente Nefertari si rivela una cocente delusione in termini di oggetti da mostrare. Mettiamoci anche che Schiaparelli non è proprio un fulmine di guerra nelle comunicazioni – Belzoni probabilmente lo avrebbe preso a ceffoni al riguardo, e se li sarebbe meritati tutti – tanto da scrivere qualcosa sulle spedizioni della M.A.I. (nomen omen) solo vent’anni dopo. La cosa avrà gravi ripercussioni.
La missione italiana, senza pubblicazioni eclatanti, politicamente conta veramente poco nel panorama dell’epoca. Negli Annali del Servizio delle Antichità Egizie il loro lavoro viene completamente ignorato. La nota di Howard Carter (!) del 1904 è: “Per le tombe recentemente scoperte di Nefertari-Meri-Mut e Seth-hi-khopesh-ef, sono stati costruiti archi sopra gli ingressi per proteggerli dall’acqua piovana o dalla caduta di pietre; si stanno realizzando porte placcate in ferro, e spero di farle riparare prima della fine dell’anno. Ho fatto qui l’esperimento di un nuovo progetto di porta di ferro fino ad ora utilizzata per le tombe”. Tutto qui. Più importanti le porte delle decorazioni.Maspero addirittura si limita a “[gli italiani] hanno svuotato le tombe scoperte l’anno scorso e ce le hanno consegnate” manco fossero i corrieri di Amazon (1904); “[Schiaparelli] ha sgomberato diverse tombe nella Valle delle Regine senza trovare nulla di valore” (1905). Con tanti saluti a Nefertari ed agli artisti che hanno lavorato alla sua tomba, sic transit gloria mundi.

E così il finanziamento del Re sta per scadere; per mesi gli operai continuano a imbattersi in tombe dove i saccheggiatori hanno già fatto man bassa di oggetti preziosi. Lo “salva” il sito (considerato fino a quel momento secondario) di Deir el Medina, dove in sua assenza notano una struttura a piramide che racchiude una cappella dipinta di grande bellezza. Verso la metà di febbraio 1906, una porta in legno al fondo di un angusto corridoio sotterraneo svela una delle più grandi scoperte dell’egittologia mondiale: la tomba intatta di Kha e della sua sposa Merit, un magnifico corredo intatto di oltre 500 oggetti rimasti sepolti per oltre 3000 anni. Degli oltre 30mila reperti che dal 1903 al 1920 giungono a Torino grazie alla Missione Archeologica Italiana, questo tesoro rimane tra i capolavori più ammirati del museo Egizio.
Non pubblicando nulla, il “giudizio” del solito Maspero è lapidario: “[Schiaparelli] portò alla luce, a Déîr-el-Médinéh, tre o quattro tombe danneggiate della XX e XXI dinastia (…) Schiaparelli oltrepassò le rive del Nilo quasi senza fermarsi lì, e i pochi colpi di piccone che diede sui luoghi concessi al governo italiano furono di poco frutto; “L’Italia, che ha molte località interessanti, ne ha utilizzate solo due”.

Sull’onda dei reperti di Kha, il governo sabaudo prolungherà il finanziamento alla M.A.I. fino al 1920. Schiaparelli diventerà anche Senatore del Regno, più per motivi umanitari legati alle missioni francescane ed al supporto agli emigranti italiani.
Schiaparelli non è stato il primo egittologo italiano in Egitto (Belzoni e Drovetti negli anni Venti dell’Ottocento peraltro furono collezionisti e non egittologi), ma il primo a cercare per conto dell’Italia come stato-nazione – nel bene e nel male. Ebbe dei meriti pionieristici e delle lacune anche caratteriali.Nei prossimi post cercherò di rendere onore alle sue principali scoperte, a partire dall’ultima dimora della Regina “attraverso il cui splendore brilla il Sole”.
Riferimenti:
- Silvio Curto, Gli Scavi Italiani A El-Ghiza (1903). Roma, 1963
- Enrica Parlamento, Ernesto Schiaparelli: insigne uomo di scienza e di fede dalle origini occhieppesi. Occhieppo, 2006
- Ernesto Schiaparelli, Una Tomba Egiziana Inedita Della VI Dinastia- Accademia deio Lincei, 1892
- Jarsaillon, Carole, “Schiaparelli et les archéologues italiens aux bords du Nil : égyptologie et rivalités diplomatiques entre 1882 et 1922”, Rivista del Museo Egizio (2017)