Cose meravigliose

LA TOMBA DI KHA E MERIT

A cura di Andrea Petta

La scoperta

Luqsor 20 febbraio 1906

A Sua Eccellenza Il Ministro della Pubblica Istruzione – Roma

Eccellenza, mi è sommessamente grato il comunicare a V.E. che, dopo alcune settimane di permanente lavoro nella parte della necropoli tebana che è designata sotto il nome di Deir-el-Medina, questa missione scoperse una scala scavata nella montagna e che scendeva profondamente nella medesima e dava accesso a una tomba intatta.”

Così scriveva, nel suo consueto stile, Ernesto Schiaparelli per comunicare al finanziatore della Missione Archeologica Italiana ciò che era avvenuto cinque giorni prima. Sempre nel suo consueto stile, ci penserà 21 anni prima di pubblicare qualcosa sulla tomba – fino al 1927, quando gli ori di Tutankhamon avevano ormai fatto sparire in un gorgo luccicante tutte le altre scoperte contemporanee.

Le pagine del diario di Francesco Ballerini, archeologo della M.A.I. che descrivono l’esplorazione del corridoio:
“Tomba intatta. Il corridoio non conteneva niente. La porta era chiusa con buone pietre, oltre le quali si trovarono a sinistra entrando, successivamente:
-Due paia di sandali
-Due coffe ben lavorate colla fune colle quali erano sospese ad un palo che però vi fu lasciato. Vicino sta un supporto di lampada a forma di loto. Appoggiati alla muraglia e stesi al suolo vicino e intorno alle coffe rami di perse e di sedano selvatico, eccetera
-Di fronte sull’altra parete un mucchio di pietre avanzate nella costruzione della porta
-Un sedile quadrato
-Un letto grande sopra cui è avvoltolata una bella stuoia
-Un sedile rotondo a tre gambe ricurve sopra il quale è una paniera con un buco rotondo sul fondo
-Altro sedile a quattro gambe (di leone) su cui è steso un pezzo di tela a pennacchi. Dinanzi è posato uno sgabello. Il sedile è di paglia intrecciata. Sul sedile quadrato è dipinta l’iscrizione che è pure ripetuta sullo sgabello.”

All’imboccatura della tomba si accedeva scendendo una rampa di gradini scoscesi, ancora parzialmente coperti dai detriti. In fondo a questa scalinata, l’ingresso di un passaggio che correva nel fianco della collina era bloccato da un muro di pietre grezze. Dopo averlo fotografato e rimosso, ci siamo trovati in una galleria lunga e bassa, bloccata da un secondo muro pochi metri più avanti. Entrambi questi muri erano intatti, e ci siamo resi conto che stavamo per vedere quello che probabilmente nessun uomo vivente aveva mai visto prima… Rimosso il secondo muro, un corridoio scavato grossolanamente di un paio di metri di altezza. Allineati contro il muro a sinistra c’erano mobili funerari, diverse ceste, un paio di anfore, un letto, uno sgabello e un palo per il trasporto. In fondo al corridoio c’era una semplice porta il cui legno conservava il colore chiaro dell’abete fresco e sembrava che tutto fosse stato installato solo ieri. Una pesante serratura di legno chiudeva saldamente la porta, la cui maniglia di bronzo era pulita e fissata ad un pomolo murato nello stipite con una corda sigillata con una piccola quantità di argilla. L’intero congegno sembrava così moderno che il professor Schiaparelli chiamò il suo servo per chiedergli la chiave, ed il servo serio e compunto rispose: “Io non so dove sia, signore…”

Arthur Weigall. Inglese, aveva lavorato con Petrie e con un giovane Howard Carter (con cui entrerà in feroce polemica alla scoperta della tomba di Tutankhamon per questioni legate ai diritti di cronaca) prima di essere nominato Capo Ispettore per le Antichità nell’Alto Egitto, carica ereditata dallo stesso Carter

Così scriverà invece Arthur Weigall, ispettore del servizio antichità del Cairo per l’Alto Egitto, descrivendo la scoperta in modo più coinvolgente e vagamente ironico.

Adesso è nota come TT8, Tomba Tebana n° 8. All’epoca, il salvagente della Missione Archeologica Italiana.

Il pyramidion della cappella funeraria di Kha, involontario specchietto per le allodole che deviò l’attenzione dei tombaroli. Attualmente al Louvre, inventario E 13988

È la tomba di un funzionario, Kha, vissuto sotto almeno tre Faraoni (Amenofi II, Thutmosis IV e Amenofi III. Il nome di Amon è stato scalpellato dalla sua cappella funeraria, per cui potrebbe aver visto l’inizio del regno di Amenofi IV/Akhenaton.La tomba è sfuggita ai predoni perché la cappella funeraria correlata non è nelle immediate vicinanze, bensì sul versante opposto, a circa 25 metri in linea d’aria. Drovetti ne aveva recuperato il pyramidion (ora esposto al Louvre) e la stele esposta a Torino.

Kha era “Capo della Grande Casa” e sovrintendente dei lavori alla Necropoli Reale. Lo sappiamo anche dalla stele riportata da Drovetti. Lui e la moglie Merit avevano almeno due figli, Nekhteftaneb e Amenemopet, e una figlia, Merit (come la madre), Cantatrice di Amon.

Kha era di conseguenza un personaggio di rilievo nella preparazione delle ultime dimore dei faraoni. SI fece quindi costruire una tomba con le stesse tecniche e, fortunosamente, rimasta intatta fino a noi.

Senza chiave per aprire la porta in legno, Schiaparelli fece tagliare sigillo e serratura, e la porta si aprì per la prima volta in più di tremila anni per entrare nella camera funeraria. Gli oggetti principali erano ancora ricoperti da teli per la polvere, ben visibili nelle fotografie dell’epoca. Ciò che colpì maggiormente Weigall fu un portalampada in legno a foggia di colonna di papiro il cui piattino in lega di rame conteneva ancora le ceneri prodotte dalla sua antica fiamma.

“Ci chiedemmo sbalorditi se le ceneri qui, apparentemente non fredde, avevano davvero smesso di brillare in un momento in cui Roma e la Grecia erano inimmaginabili, quando l’Assiria non esisteva e quando l’esodo dei figli di Israele era ancora incompiuto

è il suo riverente commento.

Qui si vede bene, in primo piano, il portalampada in legno che tanto colpì gli scopritori

La tomba ritrovata rifletteva la ricchezza personale dei proprietari, la loro particolare posizione all’interno della società e la loro storia di vita. È come se una casa di lusso della XVIII dinastia fosse stata imballata in preparazione per il riutilizzo nell’aldilà. Un trasloco nell’oltretomba, letteralmente.

C’erano tavoli pieni di offerte di cibo: verdure (tritate e condite, Kha era quasi sdentato quando morì), purea di carruba, uva, datteri, sale, cumino, trecce di aglio e bacche di ginepro.I

l nome di Kha è inciso sugli oggetti che gli appartenevano in virtù del suo mestiere e del suo rango, una fiera attestazione di proprietà. Ma c’è anche la vita personale di Kha e di sua moglie Merit attraverso i suoi vestiti, i gioielli, i mobili, gli articoli da toeletta, i passatempi preferiti.

La tomba di Kha, nella sua ricchezza, forse non ha lo sfavillio della maschera di Tutankhamon ma ha molto di più. Kha è uno di noi. Non è divino, non siede su troni d’oro, non massacra nemici in nome della Terra di Khemet. È un artigiano (seppur di altissimo livello, non dimentichiamolo) e la sua tomba illustra la vita di tutti i giorni di una persona, non di un Faraone. Forse questo lo rende più ”reale”, più vicino a noi. E non è poco.

Però – e c’è un però – se possiamo essere felici che tutto il corredo funerario di Kha sia a Torino, non è chiaro perché sia a Torino. Il sistema in vigore con Maspero era la divisione al 50% dei reperti, con diritto di prelazione per l’Egitto; come mai i reperti sono tutti in Italia? Un sotterfugio della Missione Italiana non è ipotizzabile, come abbiamo visto il rappresentante delle Antichità era presente al momento dell’apertura. Una concessione da parte di Maspero al suo ex allievo, che dalla Valle delle Regine aveva riportato poco o niente? È questo il motivo per cui gli scavi della M.A.I. non furono citati nei resoconti annuali delle autorità egiziane, per evitare imbarazzanti confronti? Probabilmente non lo sapremo mai.

I SARCOFAGI E LE MUMMIE

Kha, come abbiamo visto, era un uomo facoltoso. Decise quindi di essere sepolto in una serie di sarcofagi come d’uso nella XVIII Dinastia, uno esterno squadrato e due bare antropomorfe interne. Probabilmente lo stesso corredo era stato pensato per Merit, ma evidentemente la donna morì prematuramente e fu necessario usare in fretta e furia una delle bare di Kha per contenerla. La bara antropomorfa di Kha risultò troppo grande per la minuta Merit, quindi lo spazio in eccesso è stato riempito da lenzuola ripiegate. La “mancanza” della seconda bara interna fu compensata con una splendida maschera funeraria.

Entrambi furono sepolti con i gioielli che testimoniavano il loro status sociale ed il compiacimento dei Faraoni sotto cui Kha aveva prestato la sua opera.

Le mummie non sono mai state sbendate; la mummificazione sarebbe avvenuta per semplice immersione in bagno di natron (non ci sono segni di eviscerazione, quindi non ci sono vasi canopi per la conservazione degli organi interni).Le mummie furono esaminate ai raggi X negli anni ’60, e la conclusione fu che, nonostante lo status di Kha e Merit, la mummificazione fosse stata fatta in maniera frettolosa e “povera”. Si ipotizzò addirittura che fossero stati semplicemente bendati e sepolti.

Le indagini successive con la TAC hanno mostrato che i corpi sono molto ben conservati (soprattutto quello di Kha). La scelta di non sbendare le mummie è ovviamente comprensibile, ma su cui si può discutere; è un peccato non poter ammirare i gioielli di Kha e Merit “dal vivo”, ma in fondo sono rimasti dove dovevano essere. Credo che sia un eterno dilemma in questo campo.

GLI OGGETTI DI TUTTI I GIORNI

Sono più di 500 gli oggetti trovati da Schiaparelli e dalla sua squadra nella tomba di Kha e Merit. Alcuni sono arredi funerari, ma la maggior parte è costituita dagli oggetti di uso quotidiano della coppia. È un’occasione unica per “guardare” la vita di questa coppia, per capire chi fossero come persone.

Entriamo quindi nella loro “casa”, con il dovuto rispetto di chi è ospite. Non sono oggetti, sono i loro oggetti, le loro cose.

Gli oggetti personali di Kha ci parlano della professionalità del loro proprietario. Kha ha voluto con sé gli strumenti del suo lavoro, quello che lo avevano reso così fiero per l’approvazione dei Faraoni sotto cui aveva lavorato e che avevano dato un futuro ad almeno uno dei figli.

Merit ci mostrerà con orgoglio la sua splendida parrucca ed i suoi vestiti che la identificavano come Padrona della Casa di un alto funzionario, e tutti gli oggetti della loro casa che testimoniano la loro agiatezza ed il prestigio di cui entrambi godevano.

Ma naturalmente vedremo anche gli oggetti di tutti i giorni, quelli per l’igiene personale, l’abbigliamento ed una considerevole scorta di derrate alimentari per il lungo viaggio della coppia: pagnotte, datteri, frutta secca, carne di volatili, di pesce.

Impossibile descriverli tutti: un’occasione in più per andare – o tornare – al Museo Egizio di Torino a vederli dal vivo.

Io posso solo fare una carrellata di quelli più significativi, per chi vorrà accompagnarmi a casa di Kha e Merit.

Riferimenti:

  • Gabellone, Francesco & Ferrari, Ivan & Giuri, Francesco & Chiffi, Maria. (2017). Image-Based techniques for the virtualization of Egyptian contexts.
  • Bianucci, Raffaella, et al. “Shedding New light on the 18th dynasty mummies of the royal architect Kha and his spouse Merit.” PloS one 10.7 (2015): e0131916.
  • Mostra “Archeologia Invisibile” – Museo Egizio di Torino
  • Sparavigna, Amelia Carolina. “The architect Kha’s protractor.” ARCHAEOGATE, July 28 (2011).
  • Trapani, Marcella. “Egipcio de Turín.” Boletín del Museo Arqueológico Nacional 27.10 (2009): 5-20.
  • Trapani, Marcella – Kha’s Funerary Equipment At The Egyptian Museum In Turin: Resumption Of The Archaeological Study. Proceedings of the Tenth International Congress of Egyptologists, University of the Aegean, Rhodes, 22-29 May 2008
  • Chiara Zanforlini – Merit e Nefertari: due volti delle Valli
  • Museo Egizio di Torino – https://collezioni.museoegizio.it/

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