A Sua Eccellenza Il Ministro della Pubblica Istruzione – Roma
Eccellenza, mi è sommessamente grato il comunicare a V.E. che, dopo alcune settimane di permanente lavoro nella parte della necropoli tebana che è designata sotto il nome di Deir-el-Medina, questa missione scoperse una scala scavata nella montagna e che scendeva profondamente nella medesima e dava accesso a una tomba intatta.”
Così scriveva, nel suo consueto stile, Ernesto Schiaparelli per comunicare al finanziatore della Missione Archeologica Italiana ciò che era avvenuto cinque giorni prima. Sempre nel suo consueto stile, ci penserà 21 anni prima di pubblicare qualcosa sulla tomba – fino al 1927, quando gli ori di Tutankhamon avevano ormai fatto sparire in un gorgo luccicante tutte le altre scoperte contemporanee.
Le pagine del diario di Francesco Ballerini, archeologo della M.A.I. che descrivono l’esplorazione del corridoio: “Tomba intatta. Il corridoio non conteneva niente. La porta era chiusa con buone pietre, oltre le quali si trovarono a sinistra entrando, successivamente: -Due paia di sandali -Due coffe ben lavorate colla fune colle quali erano sospese ad un palo che però vi fu lasciato. Vicino sta un supporto di lampada a forma di loto. Appoggiati alla muraglia e stesi al suolo vicino e intorno alle coffe rami di perse e di sedano selvatico, eccetera -Di fronte sull’altra parete un mucchio di pietre avanzate nella costruzione della porta -Un sedile quadrato -Un letto grande sopra cui è avvoltolata una bella stuoia -Un sedile rotondo a tre gambe ricurve sopra il quale è una paniera con un buco rotondo sul fondo -Altro sedile a quattro gambe (di leone) su cui è steso un pezzo di tela a pennacchi. Dinanzi è posato uno sgabello. Il sedile è di paglia intrecciata. Sul sedile quadrato è dipinta l’iscrizione che è pure ripetuta sullo sgabello.”
“All’imboccatura della tomba si accedeva scendendo una rampa di gradini scoscesi, ancora parzialmente coperti dai detriti. In fondo a questa scalinata, l’ingresso di un passaggio che correva nel fianco della collina era bloccato da un muro di pietre grezze. Dopo averlo fotografato e rimosso, ci siamo trovati in una galleria lunga e bassa, bloccata da un secondo muro pochi metri più avanti. Entrambi questi muri erano intatti, e ci siamo resi conto che stavamo per vedere quello che probabilmente nessun uomo vivente aveva mai visto prima… Rimosso il secondo muro, un corridoio scavato grossolanamente di un paio di metri di altezza. Allineati contro il muro a sinistra c’erano mobili funerari, diverse ceste, un paio di anfore, un letto, uno sgabello e un palo per il trasporto. In fondo al corridoio c’era una semplice porta il cui legno conservava il colore chiaro dell’abete fresco e sembrava che tutto fosse stato installato solo ieri. Una pesante serratura di legno chiudeva saldamente la porta, la cui maniglia di bronzo era pulita e fissata ad un pomolo murato nello stipite con una corda sigillata con una piccola quantità di argilla. L’intero congegno sembrava così moderno che il professor Schiaparelli chiamò il suo servo per chiedergli la chiave, ed il servo serio e compunto rispose: “Io non so dove sia, signore…”
Arthur Weigall. Inglese, aveva lavorato con Petrie e con un giovane Howard Carter (con cui entrerà in feroce polemica alla scoperta della tomba di Tutankhamon per questioni legate ai diritti di cronaca) prima di essere nominato Capo Ispettore per le Antichità nell’Alto Egitto, carica ereditata dallo stesso Carter
Così scriverà invece Arthur Weigall, ispettore del servizio antichità del Cairo per l’Alto Egitto, descrivendo la scoperta in modo più coinvolgente e vagamente ironico.
Adesso è nota come TT8, Tomba Tebana n° 8. All’epoca, il salvagente della Missione Archeologica Italiana.
Il pyramidion della cappella funeraria di Kha, involontario specchietto per le allodole che deviò l’attenzione dei tombaroli. Attualmente al Louvre, inventario E 13988
È la tomba di un funzionario, Kha, vissuto sotto almeno tre Faraoni (Amenofi II, Thutmosis IV e Amenofi III. Il nome di Amon è stato scalpellato dalla sua cappella funeraria, per cui potrebbe aver visto l’inizio del regno di Amenofi IV/Akhenaton.La tomba è sfuggita ai predoni perché la cappella funeraria correlata non è nelle immediate vicinanze, bensì sul versante opposto, a circa 25 metri in linea d’aria. Drovetti ne aveva recuperato il pyramidion (ora esposto al Louvre) e la stele esposta a Torino.
La posizione della necropoli di Deir-el-Medina a Tebe e quella della TT8 di Kha e Merit
La posizione della tomba ricostruita in 3D rispetto alla cappella funeraria. Probabilmente l’ingresso fu coperto dagli scavi delle numerosissime tombe di funzionari scavate nella zona.
Sezione della tomba in 3D, con lo sviluppo pressoché lineare
Kha era “Capo della Grande Casa” e sovrintendente dei lavori alla Necropoli Reale. Lo sappiamo anche dalla stele riportata da Drovetti. Lui e la moglie Merit avevano almeno due figli, Nekhteftaneb e Amenemopet, e una figlia, Merit (come la madre), Cantatrice di Amon.
Kha era di conseguenza un personaggio di rilievo nella preparazione delle ultime dimore dei faraoni. SI fece quindi costruire una tomba con le stesse tecniche e, fortunosamente, rimasta intatta fino a noi.
L’ingresso della tomba come appariva agli scopritori
Il secondo corridoio che conduceva alla camera sepolcrale come apparve a Schiaparelli ed a Weigall
La porta in legno che conduceva alla camera sepolcrale, ora al Museo Egizio di Torino. Ha “solo” quasi 3500 anni…
E queste furono le prime “cose meravigliose” che apparvero a Schiaparelli e Weigall. Coperto da un telo di lino, il sarcofago di Merit; addossato al muro sullo sfondo il sarcofago di Kha, anch’esso coperto da un telo. Sul pavimento, gli oggetti della coppia.
Senza chiave per aprire la porta in legno, Schiaparelli fece tagliare sigillo e serratura, e la porta si aprì per la prima volta in più di tremila anni per entrare nella camera funeraria. Gli oggetti principali erano ancora ricoperti da teli per la polvere, ben visibili nelle fotografie dell’epoca. Ciò che colpì maggiormente Weigall fu un portalampada in legno a foggia di colonna di papiro il cui piattino in lega di rame conteneva ancora le ceneri prodotte dalla sua antica fiamma.
“Ci chiedemmo sbalorditi se le ceneri qui, apparentemente non fredde, avevano davvero smesso di brillare in un momento in cui Roma e la Grecia erano inimmaginabili, quando l’Assiria non esisteva e quando l’esodo dei figli di Israele era ancora incompiuto”
è il suo riverente commento.
Qui si vede bene, in primo piano, il portalampada in legno che tanto colpì gli scopritori
La tomba ritrovata rifletteva la ricchezza personale dei proprietari, la loro particolare posizione all’interno della società e la loro storia di vita. È come se una casa di lusso della XVIII dinastia fosse stata imballata in preparazione per il riutilizzo nell’aldilà. Un trasloco nell’oltretomba, letteralmente.
C’erano tavoli pieni di offerte di cibo: verdure (tritate e condite, Kha era quasi sdentato quando morì), purea di carruba, uva, datteri, sale, cumino, trecce di aglio e bacche di ginepro.I
l nome di Kha è inciso sugli oggetti che gli appartenevano in virtù del suo mestiere e del suo rango, una fiera attestazione di proprietà. Ma c’è anche la vita personale di Kha e di sua moglie Merit attraverso i suoi vestiti, i gioielli, i mobili, gli articoli da toeletta, i passatempi preferiti.
La tomba di Kha, nella sua ricchezza, forse non ha lo sfavillio della maschera di Tutankhamon ma ha molto di più. Kha è uno di noi. Non è divino, non siede su troni d’oro, non massacra nemici in nome della Terra di Khemet. È un artigiano (seppur di altissimo livello, non dimentichiamolo) e la sua tomba illustra la vita di tutti i giorni di una persona, non di un Faraone. Forse questo lo rende più ”reale”, più vicino a noi. E non è poco.
Ricostruzione della disposizione degli oggetti
La “processione” degli oggetti estratti dalla tomba. Lo stato di conservazione era talmente buono che non ci fu praticamente bisogno di un lavoro preliminare di consolidamento e protezione in loco.
Però – e c’è un però – se possiamo essere felici che tutto il corredo funerario di Kha sia a Torino, non è chiaro perché sia a Torino. Il sistema in vigore con Maspero era la divisione al 50% dei reperti, con diritto di prelazione per l’Egitto; come mai i reperti sono tutti in Italia? Un sotterfugio della Missione Italiana non è ipotizzabile, come abbiamo visto il rappresentante delle Antichità era presente al momento dell’apertura. Una concessione da parte di Maspero al suo ex allievo, che dalla Valle delle Regine aveva riportato poco o niente? È questo il motivo per cui gli scavi della M.A.I. non furono citati nei resoconti annuali delle autorità egiziane, per evitare imbarazzanti confronti? Probabilmente non lo sapremo mai.
I SARCOFAGI E LE MUMMIE
Kha, come abbiamo visto, era un uomo facoltoso. Decise quindi di essere sepolto in una serie di sarcofagi come d’uso nella XVIII Dinastia, uno esterno squadrato e due bare antropomorfe interne. Probabilmente lo stesso corredo era stato pensato per Merit, ma evidentemente la donna morì prematuramente e fu necessario usare in fretta e furia una delle bare di Kha per contenerla. La bara antropomorfa di Kha risultò troppo grande per la minuta Merit, quindi lo spazio in eccesso è stato riempito da lenzuola ripiegate. La “mancanza” della seconda bara interna fu compensata con una splendida maschera funeraria.
Entrambi furono sepolti con i gioielli che testimoniavano il loro status sociale ed il compiacimento dei Faraoni sotto cui Kha aveva prestato la sua opera.
Le mummie non sono mai state sbendate; la mummificazione sarebbe avvenuta per semplice immersione in bagno di natron (non ci sono segni di eviscerazione, quindi non ci sono vasi canopi per la conservazione degli organi interni).Le mummie furono esaminate ai raggi X negli anni ’60, e la conclusione fu che, nonostante lo status di Kha e Merit, la mummificazione fosse stata fatta in maniera frettolosa e “povera”. Si ipotizzò addirittura che fossero stati semplicemente bendati e sepolti.
Le indagini successive con la TAC hanno mostrato che i corpi sono molto ben conservati (soprattutto quello di Kha). La scelta di non sbendare le mummie è ovviamente comprensibile, ma su cui si può discutere; è un peccato non poter ammirare i gioielli di Kha e Merit “dal vivo”, ma in fondo sono rimasti dove dovevano essere. Credo che sia un eterno dilemma in questo campo.
Così apparve il sarcofago di Kha agli scopritori
Il sarcofago intermedio di Kha riproduce l’immagine della mummia rivitalizzata e, al momento della scoperta, vi erano appoggiate due grandi ghirlande di loto e un papiro contenente il Libro dei Morti. La superficie è caratterizzata da elementi in rilievo ricoperti da gesso e foglia d’oro che evocano la luce solare ed evidenziano i simboli del risveglio a nuova vita di Kha. Tra questi si notano la maschera funeraria, l’ampio collare chiamato “Usekh” e le bande (ad imitazione delle fasce che stringono il lenzuolo funerario intorno al defunto) che recano formule e preghiere a Nut, Thot, Anubi e i figli di Horus, divinità tradizionalmente associate con l’Aldilà e chiamate a proteggere l’integrità del corpo del defunto. Nekhbet in forma di avvoltoio dorato in rilievo protegge il petto della bara
Nel dettaglio possiamo ammirare l’opera di rivestimento in foglia d’oro dei rilievi
La bara antropomorfa interna di Kha è completamente dorata; la foglia d’oro è stesa su un finissimo strato di gesso su cui sono modellati a rilievo le figure e le iscrizioni, che riprendono i testi già osservati sul sarcofago intermedio. Il viso è impreziosito da occhi in pasta di vetro intarsiato. Nekhbet protegge nuovamente il petto appena sotto le braccia incrociate
I dettagli anche in questo caso sono estremamente ben curati
La parte superiore del sarcofago interno
Kha ha riposato qui per più di 33 secoli prima della scoperta della Missione Archeologica Italiana
L’espressione che è stata conferita al volto di Kha nella bara interna è di serenità estrema
La mummia di Kha ci mostra che era alto circa 170 cm (168 all’ultimo esame nel 2014). Fu mummificato con le braccia distese lungo i fianchi e le mani sul pube. Era anziano per l’epoca, intorno ai 60 anni, quasi completamente sdentato (curiosamente aveva perso premolari e molari ma aveva mantenuto gli incisivi) e con segni di aterosclerosi e di artrite. Mostra la frattura di una vertebra, probabilmente un infortunio sul lavoro
La mummia di Kha porta una particolare collana formata da numerosi dischi chiamata “shebyu”, che il re donava come “Oro dell’Onore” ai suoi funzionari più capaci. Kha porta inoltre una catenella con appeso uno scarabeo del cuore, un paio di larghi orecchini, due bracciali e due cavigliere, cinque anelli e due amuleti a forma di cobra e di nodo di Iside, rispettivamente collocati sul petto e sulla testa
Nella proiezione laterale si capiscono bene le dimensioni dei gioielli indossati da Kha nella sepoltura
Il cervello di Kha non è stato estratto, come è evidenziato dalle frecce
La mummia di Kha indossa due grandi orecchini in oro, una collana in dischi d’oro e sei anelli. Kha è uno dei primi esempi di un personaggio egizio di sesso maschile che indossava grandi orecchini ad anello, molto spessi. Si pensa che questa “moda” sia stata importata dalla Nubia alla fine della XVII Dinastia. La collana invece è l’Oro dell’Onore, la massima onorificenza donata dal Faraone a chi si distingueva particolarmente nei suoi compiti. Si calcola che pesi tra un chilo ed un chilo e mezzo. La ricostruzione fa vedere molto bene anche lo scarabeo del cuore, probabilmente con inciso sul retro una delle formule magiche del Libro dei Morti. Sulla fronte, in posizione inusuale, una testa di serpente (ureo) normalmente posizionata sul collo del defunto. La posizione sulla fronte (come per l’ureo dei Faraoni) ha lasciato supporre un particolare onore reso dagli addetti alla mummificazione. Sotto l’Oro dell’Onore, un Nodo di Iside (“tiet”) probabilmente in pietra rossa. Due ornamenti in foglia d’oro avvolgono entrambe le braccia
Il sarcofago esterno di Merit è un po’ più semplice, senza la struttura a forma di slitta sottostante e conteneva una sola bara antropomorfa, le cui iscrizioni erano per Kha. La qualità del legno è inferiore rispetto al sarcofago di Kha, con la presenza di alcune “giunte”. Questi elementi hanno portato all’ipotesi che Merit sia morta prematuramente, quando il suo corredo funerario non era ancora completo
Al momento della scoperta, il sarcofago interno di Merit era avvolto in un telo e racchiudeva, proteggendole, la mummia della donna e la preziosa maschera funeraria posta sul capo. Il fatto che i testi funerari siano a nome di Kha e che le dimensioni generali del sarcofago eccedano quelle del corpo minuto di Merit suggeriscono che la cassa possa essere stata preparata originariamente per Kha e poi successivamente utilizzata invece per la sepoltura di Merit
Il sarcofago è finora unico nel suo genere, perché fonde in sé i due diversi modelli decorativi osservabili. rispettivamente, sul sarcofago mediano e quello interno di Kha: la cassa è coperta infatti da resina nera con figure ed iscrizioni in foglia d’oro, mentre il coperchio è completamente dorato. È stato ipotizzato che ciò abbia forse permesso di integrare in un solo sarcofago antropoide la funzione simbolica dei due normalmente previsti all’epoca. Il fatto però che i testi funerari siano a nome di Kha rende dubbia questa opinione, in quanto non sarebbe stato concepito per questa funzione
Si notano bene nelle fotografie originali le lenzuola usate come imbottitura per riempire lo spazio derivante dalla “taglia” sbagliata e la maschera funeraria
Si notano bene nelle fotografie originali le lenzuola usate come imbottitura per riempire lo spazio derivante dalla “taglia” sbagliata e la maschera funeraria
Il particolare della maschera funeraria ancora sul corpo di Merit
Senza la maschera è resa evidente la differenza tra la bara ed il corpo di Merit
La mummia di Merit al Museo Egizio di Torino
La maschera funeraria di Merit è anch’essa in legno ricoperto di gesso e da una foglia d’ oro intarsiata con pietre dure e vetro colorato
Il vetro imita pietre più preziose quali lapislazzuli, turchese e corniola. La maschera fu trovata leggermente schiacciata, forzata all’interno dalla bara, l’occhio sinistro è stato restaurato mentre la maschera è stata rimodellata e consolidata
Merit ci osserva nel suo sguardo senza tempo
I danni alla maschera dovuti all’incastro in una bara che non era nata per contenerla si vedono molto bene dal lato
Merit mostra un’età apparente alla morte di circa 25 anni ed era alta circa 149 cm, anche se la sua mummia è un paio di centimetri più bassa anche per i danni alla colonna vertebrale. Anche nel suo caso il cervello non è stato estratto. Anche Merit non era messa molto bene con i denti, aveva perso un canino ed altri tre denti; un ascesso minacciava di fargliene perdere un altro. Un anello si è spostato durante la mummificazione o il trasporto ed è finito dietro la nuca (punta di freccia a destra).
Merit indossa due paia di orecchini a nastro (il doppio foro all’orecchio era una “novità” della XVIII Dinastia tra le classi abbienti) e un ampio pettorale “Usekh” in oro e pietre dure, probabilmente lapislazzuli, corniolo, turchese o pasta di vetro. Stranamente, Merit non indossa amuleti funerari (scarabeo del cuore o Nodo di Iside)
Una ricostruzione 3D dei gioielli di Merit
Curiosamente, il torace di Merit è stato “massacrato”, con vertebre e costole fratturate e dislocate. Al braccio Merit porta un fine bracciale in oro (radiografia in basso a sinistra) ed indossava 4 anelli in oro, di cui come abbiamo visto uno dislocato dietro la nuca. Intorno alla vita una cintura con perline in pietre dure intervallate da elementi in metallo
Le immagini di uno degli ultimi esami radiografici effettuati. La mummia di Merit sembra ancora più minuta in queste foto
Il sarcofago esterno di Kha, originariamente protetto da un grande lenzuolo di lino, è in legno di sicomoro ricoperto da una sostanza di colore scuro. Contrariamente a quanto si pensava inizialmente, non è bitume ma pece riscaldata e mescolata con olio di cedro e carbone. La cassa è composta da cinque parti smontabili e da un coperchio di forma arcuata che gli conferisce l’aspetto di un santuario. La base è lavorata in modo da imitare la forma della slitta usata per trasportare il catafalco alla tomba durante il funerale.
GLI OGGETTI DI TUTTI I GIORNI
Sono più di 500 gli oggetti trovati da Schiaparelli e dalla sua squadra nella tomba di Kha e Merit. Alcuni sono arredi funerari, ma la maggior parte è costituita dagli oggetti di uso quotidiano della coppia. È un’occasione unica per “guardare” la vita di questa coppia, per capire chi fossero come persone.
Entriamo quindi nella loro “casa”, con il dovuto rispetto di chi è ospite. Non sono oggetti, sono i loro oggetti, le loro cose.
Gli oggetti personali di Kha ci parlano della professionalità del loro proprietario. Kha ha voluto con sé gli strumenti del suo lavoro, quello che lo avevano reso così fiero per l’approvazione dei Faraoni sotto cui aveva lavorato e che avevano dato un futuro ad almeno uno dei figli.
Merit ci mostrerà con orgoglio la sua splendida parrucca ed i suoi vestiti che la identificavano come Padrona della Casa di un alto funzionario, e tutti gli oggetti della loro casa che testimoniano la loro agiatezza ed il prestigio di cui entrambi godevano.
Ma naturalmente vedremo anche gli oggetti di tutti i giorni, quelli per l’igiene personale, l’abbigliamento ed una considerevole scorta di derrate alimentari per il lungo viaggio della coppia: pagnotte, datteri, frutta secca, carne di volatili, di pesce.
Impossibile descriverli tutti: un’occasione in più per andare – o tornare – al Museo Egizio di Torino a vederli dal vivo.
Io posso solo fare una carrellata di quelli più significativi, per chi vorrà accompagnarmi a casa di Kha e Merit.
Questo è in assoluto l’oggetto che rappresenta Kha, secondo il mio modesto parere. È ciò che ci avrebbe mostrato per primo nella nostra visita a casa loro, con la giusta fierezza di farcelo vedere. È un “cubito reale”, ossia la lunghezza di un avambraccio e di un palmo pari a circa 52 centimetri, l’unità di misura nell’Antico Egitto. Lo strumento di lavoro dei costruttori. Kha ne aveva uno pieghevole, per l’uso quotidiano, ma questo è placcato in oro e porta i cartigli di Amenhotep II, il primo Faraone sotto cui Kha aveva servito. Probabilmente il dono per un compito eseguito eccezionalmente bene, forse il suo primo successo esaltante. Questo oggetto grida che il suo proprietario era competente, e che il suo talento brillava come l’oro
Il dettaglio delle estremità del cubito con i cartigli di Amenhotep II (Aakheperure) permette di apprezzare la fine lavorazione ed il valore di questo reperto. Possiamo solo immaginare l’emozione di quest’uomo quando lo ha ricevuto dalle mani del Faraone, di cui stava magari preparando la sua Dimora dell’Eternità. E quante volte lo avrà riguardato, lucidato, mostrato ai figli ed agli amici raccontandone la storia…
Per l’attività giornaliera, Kha usava invece questo cubito in legno di acacia, pieghevole per comodità e contenuto in un astuccio in cuoio. Questo cubito è stato usato moltissimo, ci sono graffi e segni di riparazioni ovunque; il meccanismo di chiusura, a doppio fermaglio, è stato riparato e sostituito almeno una volta da Kha
L’astuccio per il cubito pieghevole di Kha, con tanto di fettuccia per il trasporto
Il dettaglio ci evidenzia la suddivisione del cubito (“meh”) in 7 palmi (“shesep”), ognuno dei quali formato da 4 dita (“djeb’a”, a sinistra in basso). Ogni cubito era quindi lungo 28 “dita”. Si pensa che il profilo pentagonale sia stato concepito per vedere meglio dall’alto dove marcare i riferimenti durante le misurazioni.
Un oggetto su cui si è molto dibattuto è questa piccola asse di legno con un cerchio sotto, un reperto unico nel suo genere. Si pensava fosse una sorta di bilancia (poco attinente al lavoro di un costruttore edile, in realtà) prima di accorgersi che il cerchio ha inscritto una sorta di rosa dei venti con 16 petali circondata da una linea a zig-zag con 36 vertici, ognuno dei quali suddivide la circonferenza in angoli di 10 gradi. Dovrebbe quindi trattarsi di un goniometro ad uso prettamente edile
Utilizzando un filo a piombo come mostrato, era possibile con questo strumento calcolare l’inclinazione degli angoli con notevole precisione
Non possono mancare ovviamente gli strumenti dello scriba, una tavolozza da scriba con le cannucce ed i pigmenti colorati. Nella tomba c’erano anche diversi strumenti per lisciare i fogli di papiro e le tavolette su cui appoggiarli per scrivere.
Il letto di Kha, di dimensioni maggiori rispetto a quello della moglie, non entrava nella camera sepolcrale della tomba; venne quindi trovato da Schiaparelli nel secondo corridoio (si vede bene nella foto originale ai tempi della scoperta). È composto da un’armatura in legno di sicomoro formata da due listelli longitudinali leggermente arcuati e sostenuti da quattro piedi in forma di zampa di leone. La parte rialzata, ottenuta accostando tre pannelli di legno uniti tra loro da due giunture, costituisce il lato dei piedi e non, come saremmo portati a immaginare, la “testiera”. Il poggiatesta in legno, collocato all’estremità opposta, era usato al posto del cuscino.
I piedi sagomati a forma di zampa di leone avevano tradizionalmente un valore protettivo; il sonno e il sogno erano d’altronde considerati nell’Antico Egitto una zona di confine tra il mondo reale e quello soprannaturale, nella quale l’uomo si trova in una condizione di profonda vulnerabilità
Il letto di Kha a sinistra nel corridoio di accesso alla camera sepolcrale
Nella bara di Kha c’era una delle prime copie del Libro dei Morti su papiro. È lungo ben 13,8 metri ed è decorato con raffigurazioni di ottima qualità che illustrano 33 capitoli. Schiaparelli lo trovò piegato sul secondo sarcofago.
Anche Merit ovviamente è “coinvolta” nel Papiro dei Morti; qui la coppia in adorazione di Osiride
Proprio davanti al suo sarcofago esterno, in una posizione di rilievo al centro della camera funeraria, era stata collocata una splendida sedia con spalliera, decorata con immagini floreali e con iscrizioni volte ad assicurare all’anima del defunto “ogni cosa buona e pura”. Sopra un telo decorato, adagiato sulla sedia, erano posizionati vari oggetti: al centro si trova una statuetta in legno del defunto, ornata da due ghirlande miniaturistiche poste intorno alle sue spalle e ai suoi piedi; un ushabti era appoggiato alla spalliera, mentre un sarcofago in miniatura, del tutto simile ai sarcofagi esterni quadrangolari di Kha e Merit, conteneva un altro ushabti e i modelli di alcuni strumenti di lavoro.
Il portalampada a destra nella foto precedente, che colpì così tanto gli scopritori, è praticamente l’unico oggetto della tomba rimasto al Cairo; a Torino è rimasta una copia
La tavola da senet, una tavola da gioco completa di cassettino per pedine e astragali (ossicini usati come dadi) che abbiamo visto anche nelle decorazioni della tomba di Nefertari, è un oggetto di lusso che raramente si trova in tombe private. Su alcuni riquadri sono scritte indicazioni come “aprire”, “gli spiriti ba”, “l’acqua”, “perfetto”, che per noi, che non conosciamo le regole esatte del gioco, risultano ancora oggi davvero enigmatiche. L’oggetto è un dono di Benermeret, figlio di un collega di Kha di nome Neferhebef, che è raffigurato anche nella cappella funeraria di Kha
È straordinariamente moderno questo contenitore allungato a tubo in vetro blu per il kohl (l’impasto nero a base di nero carbone e antimonio da applicare sulle palpebre e sulle ciglia come filtro contro i raggi solari e come disinfettante) a forma di palma, decorato con motivi a festone bianchi, gialli e arancioni e dotato di bastoncino applicatore in legno. Il motivo della palma è anche simbolico, perché la chioma di quest’albero è anche il geroglifico che indica l’essere giovani
Il contenitore per il kohl, insieme ad altri oggetti per la cosmesi era contenuto in questo cofanetto con doppio coperchio piano è suddiviso in scomparti interni che conteneva alcuni vasetti in alabastro e in vetro colorato. Nei recipienti vi sono tracce di unguenti e di creme a base di grasso. Purtroppo finora non sono stati fatti studi sistematici sulle sostanze e sui cibi lasciati nella tomba
Un altro eccezionale reperto appartenuto a Merit è la parrucca realizzata con ciocche di capelli veri, cucite e intrecciate. La capigliatura è divisa da una scriminatura centrale e le chiome sono arricciate in boccoli terminanti con trecce, ai lati del viso e sulla nuca. Si tratta di un’acconciatura spesso ornata di fiori e diademi, molto di moda a metà della XVIII dinastia, come si nota nelle raffigurazioni pittoriche e statuarie dell’epoca.
Il fatto che la scatola in legno in cui era conservata non abbia la decorazione e le iscrizioni completate è un altro indizio della morte prematura ed inaspettata di Merit. Il contenitore in legno è comunque il più alto ritrovato finora per la conservazione delle parrucche di tutto il periodo faraonico.
“Alla casa di Cha appartennero pure amendue i letti, rinvenuti nella sua tomba; uno, il maggiore, il suo, che si trovò nell’anticamera, e il minore, della moglie Mirit, nell’interno della tomba; quest’ultimo parato con lenzuola e coperte, asciugamani e due poggiatesta: uno dei quali, quello di Mirit, interamente fasciato con doppia tela per renderne meno sensibili gli spigoli” Così scriveva Schiaparelli dei due letti trovati nella tomba.
La vita nel mondo dell’Aldilà prevede per tutte le persone agiate i medesimi lussi di cui avevano goduto in vita. Il letto, indispensabile nella vita quotidiana, diventa elemento irrinunciabile nell’ottica di una vita eterna. A questo scopo il letto di Merit è stato deposto nella tomba accuratamente preparato e completo di biancheria e di poggiatesta imbottito, utilizzato in Egitto al posto del cuscino.
La rete, ottenuta intrecciando corda vegetale, era accompagnata da uno o più lenzuoli di lino e da una coperta con le frange che ci restutuiva in modo straordinariamente attuale e vivo l’aspetto di un letto privato del Nuovo Regno. L’esposizione delle lenzuola ha però pregiudicato in parte la loro conservazione ed è stato deciso di rimuoverle
Due cofanetti in legno decorato praticamente gemelli dedicati dai figli, insieme ad un terzo in cui viene raffigurata anche la figlia Merit contenevano un’infinità di perizomi e di abiti di Kha e Merit, insieme ad un piccolo tappeto. Sulla parete di ciascuna cassa, Kha e Merit ricevono offerte dal figlio
Sul sito del Museo Egizio vengono riportati i nomi dei figli come “Nakhttaneb” e “Nekhetef”, mentre a me risultano “Imenemipet” o “Amenemipet”, che lavorò anch’egli alla necropoli reale, e “Nakhteftaneb”, di cui si perdono le tracce.
La tomba conteneva 26 tuniche di lino estive, 17 invernali e una cinquantina di perizomi. Gli abiti erano siglati, come abbiamo visto in altri post, per permetterne il riconoscimento quando mandati a lavare.
La firma di Kha sui suoi oggetti
Riferimenti:
Gabellone, Francesco & Ferrari, Ivan & Giuri, Francesco & Chiffi, Maria. (2017). Image-Based techniques for the virtualization of Egyptian contexts.
Bianucci, Raffaella, et al. “Shedding New light on the 18th dynasty mummies of the royal architect Kha and his spouse Merit.” PloS one 10.7 (2015): e0131916.
Mostra “Archeologia Invisibile” – Museo Egizio di Torino
Sparavigna, Amelia Carolina. “The architect Kha’s protractor.” ARCHAEOGATE, July 28 (2011).
Trapani, Marcella. “Egipcio de Turín.” Boletín del Museo Arqueológico Nacional 27.10 (2009): 5-20.
Trapani, Marcella – Kha’s Funerary Equipment At The Egyptian Museum In Turin: Resumption Of The Archaeological Study. Proceedings of the Tenth International Congress of Egyptologists, University of the Aegean, Rhodes, 22-29 May 2008
Chiara Zanforlini – Merit e Nefertari: due volti delle Valli