A cura di Andrea Petta

E Howard Carter, volgendosi lentamente, rispose come incantato con una voce che gli saliva dal profondo dell’animo: «Sì, cose meravigliose!»…«In tutta la storia degli scavi, certo nessuno aveva mai visto cose meravigliose come quelle che ci rivelava la luce della nostra lampada elettrica».
UN DISASTRO CHE DIVENTA UN’OPPORTUNITÀ
Un tempo non avrebbe considerato degno di perdere il suo tempo prezioso quell’aristocratico snob, meritevole solo di essere nato nel posto giusto, che aveva di fronte. Un conte, nientemeno, che aveva studiato a Eton ed al Trinity College di Cambridge, appassionato di cavalli da corsa e di quelle infernali trappole meccaniche chiamate “automobili” con cui aveva rischiato di ammazzarsi qualche anno prima in un incidente che lo aveva lasciato claudicante. Così lontano da lui, un pittore senza istruzione abituato fin da ragazzino a campare con i frutti del suo lavoro. Almeno era inglese e sapeva gustarsi il suo tè come le persone civili.
Ma in quel pomeriggio del 1907 a Luxor non poteva più fare lo schizzinoso. AI margini ormai dell’archeologia “che conta”, aveva disperatamente bisogno di qualcuno che finanziasse il suo sogno, strappare alla Valle dei Re il segreto di un Faraone misterioso. E George Edward Stanhope Molyneux Herbert, 5° Conte di Carnarvon, sembrava la persona giusta per essere quel “qualcuno”.
Howard Carter aveva appena incontrato il suo destino.
Carter era nato il 9 maggio 1874, a Kensington. Suo padre era un pittore, specializzato nel ritrarre animali, e da lui ereditò una certa capacità artistica (come anche i suoi otto tra fratelli e sorelle che arrivarono all’età adulta, di cui ben tre esposero alla Royal Academy). Gracilino e sempre un po’ febbricitante, fu spedito a Swaffham, nel Norfolk (non ho idea come si potesse pensare che il Norfolk fosse più salubre per un ragazzino malaticcio, misteri britannici…) dove il suo bis-cugino Harry insegnava arte alla Grammar School locale. Qualche storico ipotizza un disturbo della personalità quale l’autismo o comunque una incapacità di reprimere la rabbia, anche sulla base degli eventi che caratterizzeranno la sua vita, ma nessuna certezza.

Vista la sua salute precaria, anche lui, come Petrie, non frequentò mai una scuola ma fu educato in casa. Con il cugino Harry e suo papà Samuel andava spesso a Didlington Hall, dove i baroni del luogo, coinvolti nella egittomania del XIX secolo, mostravano i ricordi dei loro viaggi sul Nilo.
Un caro amico della padrona di casa, la baronessa Mary Rothes, è Percy Newberry, già amministratore della Egypt Exploration Fund con cui Amelia Edwards aveva finanziato gli scavi di Flinders Petrie. La leggenda vuole che Carter abbia fatto un ritratto a Newberry e questi, d’accordo con la baronessa, lo abbia invitato a seguirlo in Egitto come “apprendista disegnatore”.

Mary Rothes Margaret Tyssen-Amherst 2a Baronessa Amherst di Hackney. Nobile, ricca di famiglia, appassionata di ornitologia (absit iniuria verbis, una specie di gru coronata porta il suo nome) e di Antico Egitto. Fu la prima “sponsor” di Carter e partecipò più tardi in prima persona a degli scavi a El-Hawa, vicino ad Assuan proprio sotto la supervisione di Howard. Suo padre aveva una collezione di oggetti egizi che esponeva in un’ala della tenuta di famiglia a Didlington, vicino a Swaffham, la “scintilla” che infiammò la fantasia del giovane Howard
Nell’ottobre 1891 il diciassettenne Carter arriva quindi in Egitto con Newberry e lavora come disegnatore a Beni Hasan sulle tombe del Medio regno. Tre mesi dopo l’Egypt Exploration Fund lo dirotta a lavorare con Flinders Petrie, dove Carter si trasforma da disegnatore ad archeologo (anche se Petrie a lungo penserà che “non sarà mai più che un disegnatore storico”). Petrie disprezza le origini umili di Carter e la mancanza di un’educazione formale (proprio lui!) e non vedrà mai di buon occhio colui che considera un parvenu dell’archeologia. Lo cede quindi volentieri a Édouard Naville per lavorare al Tempio di Hatshepsut a Deir-el-Bahari, dove disegna le iscrizioni del Djeser-Djeseru.


Carter è preciso e irremovibile con i predoni anche quando indossano una giacca elegante ed un cappello a cilindro. La sua carriera è veloce e apparentemente inarrestabile: nel 1901 è Capo Ispettore del Servizio Antichità per l’Alto Egitto e la Nubia, con base a Luxor. In questa vece fa un primo tentativo di “aggredire” la Valle dei Re con un americano, Theodore Davis, che per due anni finanzia degli scavi coordinati dallo stesso Carter.

Theodore Davis, la presunzione e la supponenza dei ricchi condita in salsa yankee. Tanto per capire la capacità archeologica scrisse un assurdo ed inopportuno rapporto degli scavi nel 1912 intitolato “Le tombe di Harmhabi e Touatânkhamanou” – sbagliando ovviamente l’attribuzione di un semplice nascondiglio come tomba di un Faraone – in cui affermò, come Belzoni prima di lui: “Temo che la Valle delle Tombe sia ora esaurita”. Possiamo senza dubbio ritenerci fortunati che Davies abbia “mancato” Tutankhamon; vista l’esperienza della KV55 di Smenkhare/Akhenaton non oso immaginare quanti danni avrebbe potuto fare
Nel 1904 ricopre la stessa carica per il Basso Egitto, al Cairo. Maspero lo stima molto; il 27enne Carter diventa in pratica il suo vice destinato presumibilmente a succedergli.
Ma l’8 gennaio 1905 la sua carriera al Servizio Antichità cessa per sempre. Una banale disputa con dei turisti francesi degenera, c’è una denuncia di Monsieur de la Boulinière, il console generale francese.
Maspero riceve pressioni dalla diplomazia francese. È un periodo critico, la gestione dell’Egitto è molto delicata tra Francia ed Inghilterra dopo che il Canale di Suez ha reso l’area un punto nevralgico dell’economia mondiale. Ai governanti di entrambi i Paesi dell’archeologia importa poco o nulla, importa mantenere una “pax” stabile.
Maspero non fa come Lacau e non difende il suo sottoposto: scarica Carter ufficialmente anche non lo licenzia. Lo destituisce da Capo Ispettore, nominando al suo posto Arthur Weigall (lo ricordate? Al fianco di Schiaparelli nell’esplorazione della tomba di Kha e Merit?), che con Carter non aveva un rapporto proprio amichevole e di cui scriverà pessime cose tacciandolo di incompetenza. Carter viene assegnato agli scavi di Tantah, nel Delta del Nilo. Per Carter è una cosa inaccettabile (oggi lo chiameremmo “mobbing”); si prende un periodo sabbatico poi ad ottobre lascia il Servizio e diventa una sorta di freelance nella compravendita di reperti, arrotondando con i suoi acquerelli e facendo da guida turistica per i templi di Luxor.




Il 1905, iniziato così male per Carter, gli regala però anche un sogno rinnovato: Theodore Davis scopre una coppa in faience con il nome di Tutankhamon. In realtà due anni dopo Davis troverà in un pozzo vicino alla tomba di Seti I parecchio materiale (vasi, collane floreali e stoffe) che spedirà negli USA considerandolo di nessun valore. Ci vorranno anni per capire che era materiale usato nella cerimonia funebre di Tutankhamon.
Nel 1906 riprende giocoforza a collaborare con Davis ed illustra gli oggetti trovati nella tomba di Yuya e Tuya. Un duro rospo da digerire per Carter: illustrare i reperti di una tomba della Valle dei Re pressoché intatta a cui per di più aveva lavorato l’odiato (ed ingrato) Weigall… Oltretutto Davis ha ottenuto la concessione per gli scavi nella Valle dei Re fino al 1914, sarà per tutti gli off-limits fino a quella data. Davis è onestamente, poco più di in dilettante. Farà disastri epocali e bloccherà ogni ulteriore attività nella Valle fino al termine della sua concessione, ma per fortuna non riuscirà a trovare tombe intatte.
Maspero però non ha dimenticato Carter. Un nobile inglese, che ha chiesto delle concessioni nel 1907, pur armato di buona volontà è completamente sprovveduto da un punto di vista archeologico e ha bisogno di un esperto disposto a lavorare sul campo per lui. Organizza un incontro che cambierà la storia dell’archeologia.

Lord Carnarvon e Howard Carter sono per la prima volta insieme.