Di Maurizio Damiano
Il passo compiuto nell’articolo precedente era difficile, consistendo nel tentativo di decifrare il pensiero dell’uomo preistorico sulla base di pietre lavorate. Ma l’osservazione e la logica ci hanno portato alla visione di ciò che è l’unica conclusione possibile : la necessità di simmetria, che è astrazione visiva, e prima ancora mentale, di geometria istintiva e prettamente umana, segna la nascita di quel mondo delle idee che è il cuore di ciò che chiamiamo arte.
Oggi osserveremo un mondo molto più ricco e variegato, ma proprio per questo molto più difficile da interpretare, poiché sin troppo aperto a interpretazioni fallaci è fuorvianti : parlo del mondo della pittura rupestre nel Deserto Occidentale egiziano.
Soffermandosi all”esenziale, ricordiamo che le più antiche manifestazioni al mondo risalgono al Paleolitico e sono incisioni ( rupestri o su ciottolo, ossa ecc..).
Limitandoci alla pittura, quella più antica al mondo al momento è la raffigurazione del Sus celebensis scoperto nel 2017 nella grotta di Leang Tedongnge, nel Sulawesi, datata a 45.500 anni fa. In Europa possiamo ricordare i graffiti ( non pitture) della grotta dell’Addaura (Palermo) che risalgono a circa 20.000 anni fa, mentre non vanno dimenticate le splendide grotte come Lascaux (17.500 anni fa) o Altamura ( fra 17.500 e 14.000 anni fa) ; insomma, la figurazione rupestre nasce nel Paleolitico.

Graffito di donna, in Wadi Sura
Spedizione Damiano 2006 – Archivio CRE/Maurizio Damiano
Diverso il caso del Sahara.
Se vi troviamo industrie litiche che vanno dal Paleolitico basale in poi, le pitture rupestri di tutta l”area sahariana sono molto più tarde.
Già qui iniziano i problemi : la datazione.
Semplificando, possiamo dire che vi sono due grandi scuole di pensiero, una che propende per una datazione alta ( 10.000 a. C.), e l’altra molto bassa ( 4.500 a. C. ca.), quest”ultima essendo piuttosto appannaggio della scuola francese.
Per ragioni che espongo più ampiamente in un articolo di prossima pubblicazione, e che qui non trova spazio, posso affermare che la datazione “bassa” per le pitture sahariane va esclusa, poiché per ragioni climatiche quelle aree erano ormai inaridite e abbandonate a favore delle aree con fonti idriche ( nel nostro caso, oasi e Nilo).
Ci troviamo dunque alla fine del Paleolitico e nella fase detta di Neolitizzazione. Ossia il Mesolitico (presente in Europa e in aree africane, come per il Mesolitico di Khartoum) nel Sahara Egiziano è assente e si ha la Neolitizzazione in quell’Epipaleolitico con caratteristiche antropo-sociali ben diverse da quelle del Mesolitico.
L’Epipaleolitico è piuttosto una continuazione del periodo precedente che si trasforma in Neolitico.

Sorvolero’ qui sui vari errori interpretativi che si basano su comparazioni diacroniche, come quelli con pitture di epoca moderna ( a partire dalla fine del XV secolo) o con i geroglifici o le pitture egizie, che verranno solo molti millenni più tardi.
Proviamo dunque a lanciarsi nell”arduo compito di decifrare l’antico linguaggio dei graffito e pitture create da genti di cui nulla sappiamo, se non ciò che ci è dato conoscere dal loro enigmatico lascito pittorico.
Ricordiamo subito troviamo in tutto il Sahara le pitture di questo periodo preistorico : dal Marocco all’Egitto. E aggiungiamo che possiamo distinguere due classi figurative su base della tecnica: i graffiti e le pitture.

Spedizione Damiano 2002 – Archivio CRE /Maurizio Damiano
I graffiti sono semplici e rozzi, ovviamente per la difficoltà tecnica dell’incidere la roccia con strumenti litici; mentre le pitture sono molto più complesse ed eleganti.
Solo un accenno sui graffiti : li troviamo ovunque, nell’area sahariana, con maggiori concentrazioni in aree come quella libica (Marandush) ma non mancano neppure nel Deserto Occidentale ( Wadi Abd El Malik nel Ghilf Kebir; Gebel Awenat) né presso la Valle del Nilo, come i graffiti rupestri di Wadi Abu Subeira ( 13.000 a. C. ; deserto fra Kom Ombo e Assuan).

Spedizione Damiano 2002 – Archivio CRE /Maurizio Damiano
Ma passiamo al soggetto principale di questo capitolo
LE PITTURE DEL SAHARA EGIZIANO
La maggior facilità di esecuzione ne ha permesso uno sviluppo espressivo più libero, e dunque ci aprono una finestra sul pensiero dei loro esecutori.
Le più antiche pitture sahariane ad oggi note sembrano essere quelle del Tibesti (Chad) da cui si potrebbero essersi diffuse in tutto il resto del Sahara. Non è questa la sede per parlare delle meravigliose pitture di zone come il Tassili, lo stesso Tibesti o l’Ennedi, ma la ricchezza delle aree egiziane è tale da esser sufficiente all’analisi di base. A sud-ovest, vicino al confine libico, si trovano pitture realizzate in alcuni ripari naturali (erroneamente detti “grotte”; ma nell’area non ci sono grotte conosciute e in quei rari casi molto più ad est – Gara – sono prive di pitture); i ripari sono generalmente del tutto aperti alla luce del sole; la maggior concentrazione nota si trova nelle regioni di Ghilf Kebir e Gebel Awenat; i siti più celebri sono il “Riparo dei nuotatori”, il “Riparo degli arcieri” e il “Riparo delle Bestie”, quest’ultimo scoperto dal grande esploratore egiziano Mistikawy che in quell’occasione era con il viaggiatore italiano Foggini (da cui anche il nome di “Riparo Mistikawy/Foggini).

Cominciamo con il primo di questi ripari, quello detto “Dei Nuotatori”; esso deve il suo nome ad alcune figure poste in posizione orizzontale, che sembrano nuotare.
Fu scoperto nel 1933 dall’esploratore ungherese Laszlo Almasy. Prima e durante la guerra le esplorazioni furono condotte da un ristretto numero di persone (durante la guerra, si trattava più di attraversamenti del deserto da parte di team nemici, da un lato appartenenti all’Asse e dall’altro agli Alleati); dopo il conflitto cessò l’epoca delle esplorazioni sino agli anni ’70, quando rarissime spedizioni furono condotte nell’area da pochi pionieri (Samir Lama, Mistikawy, Ministero per la Geologia, ecc.) seguiti da missioni esplorative geo-archeologiche negli anni ‘80-2000 (Lama-Monod, Negro, Damiano, Mohammed Senussi, ecc.). Nel nuovo millennio inizia l’epoca dei viaggi turistici nel deserto; ciò fu una fortuna per gli abitanti delle oasi, ma si rivelò un pericolo per il deserto stesso a causa dell’inciviltà di stranieri che saccheggiarono l’area asportando migliaia di manufatti. Ciò portò gli egiziani responsabili dei viaggi a spingere per la protezione dell’intero Deserto Occidentale che nel 2008 venne dichiarato area protetta grazie all’istituzione del Ghilf Kebir National Park e al Programma Ambientale di Cooperazione Italo-Egiziana. Le rivoluzione del 2011 e l’ancora più ampia rivoluzione del 2013 (contro Morsi scesero in strada 30 milioni di persone) e molto di più le guerre nelle aree circostanti con conseguente penetrazione del Daesh in Libia, e un raid in Egitto compiuto proprio dal Deserto Occidentale, spinsero i militari a chiudere tutta l’area al pubblico.

Cosa ne è dunque delle pitture rupestri in questi stravolgimenti? Se il patrimonio archeologico rappresentato dai materiali amovibili è stato enormemente danneggiato dall’inciviltà di questi viaggiatori occidentali che hanno prelevato a man bassa, cancellando per sempre pagine insostituibili del libro della preistoria, per fortuna le pitture rupestri sono intatte.
Nel Riparo dei Nuotatori lo stato di conservazione non è dei migliori a causa della particolare fragilità della roccia i cui strati superficiali sono caduti in vari punti; oggi questo riparo con le sue pitture è stato sottoposto a lavori di restauro e conservazione da parte della missione italo-egiziana guidata dalla prof.ssa Barich.

Le pitture di questo riparo sono della stessa tipologia di quelle altri ripari dell’area: prevalentemente con cacciatori e animali; ma la caratteristica che ha dato il nome al riparo sono i cosiddetti “nuotatori”: alcune figure poste in orizzontale che ricordarono agli scopritori e a i primi studiosi dei nuotatori.

In realtà, lo studio comparativo con figure analoghe di pitture africane più recenti e soprattutto le spiegazioni di sciamani/pittori agli inizi del ‘900, ci dicono che almeno nel caso delle pitture “moderne” (ma che si tramandano lungo generazioni, immutate, poiché sacre) i cosiddetti “nuotatori” in realtà “volano”, ossia si tratta della raffigurazione e simbolizzazione del “viaggio astrale” degli sciamani in trance (con l’uso di droghe psicotrope) durante le cerimonie religiose.
L’analogia è lampante ma, come avvertivo sopra, possiamo farne un dogma? Certamente no. Sappiamo da testi geroglifici più recenti di millenni che analoghe cerimonie con trance dei sacerdoti avvenivano in epoca faraonica e ciò rende plausibile tale interpretazione ma, come sempre plausibilità e alta probabilità non sono certezze. A questo punto ci vengono in aiuto le altre raffigurazioni di questo e di altri ripari.

Cominciando dalle cose più semplici e concrete, molte delle figure riguardano l’ambiente in cui vivevano quelle genti: giraffe, elefanti, qualche rinoceronte, leoni, scimmie, ma soprattutto gazzelle, orici e tori selvatici, per parlare di alcuni degli animali della savana. La preponderanza però è quella dei bovini. Dalla singola vacca a immense mandrie, le pareti rigurgitano di immagini di questi animali. Ma soprattutto, gli esseri umani: innanzi tutto, le mani.

Di origine paleolitica, questo motivo non è una vera pittura. Generalmente si tratta di particolari figurazioni appannaggio di tutta l’umanità, e le troviamo ovunque sia stato l’uomo, sul pianeta: dall’Europa all’Africa, dall’Asia all’Australia. Si tratta di impronte in negativo, ossia fatte appoggiando la mano sulla parete e poi soffiando con una cannuccia (vegetale o osso cavo) il colorante; la pittura sparsa all’intorno lascerà ovviamente libera dal colore l’area occupata dalla mano. Ricordiamo che in altre parti del mondo (anche in Europa) si trovano anche impronte positive, ossia fatte da mani immerse nel colore e appoggiate alla parete; ma tale tecnica è più rara e non presente (o non ancora rinvenuta) nel Deserto Occidentale egiziano.



Sono invece state una sorpresa le raffigurazioni di piedi. Appaiono nel Riparo Mistikawy e non in un esemplare, ma a decine, forse anche centinaia, dal momento che si trovano in basso, scomparendo sotto la duna che ricopre la parte bassa del riparo. Anche qui ci troviamo di fronte alla stessa tipologia delle mani, e sempre nel tipo in negativo.
La presenza di queste “impronte” rimette in discussione tutte le teorie sulle mani. Se ne possono elaborare all’infinito, ma nessuna avrebbe validi supporti finché non si troveranno sostanziali prove a sostegno.
FIGURE UMANE
Si tratta di pitture, generalmente tratteggiate in rosso, svelte e stilizzate, che ci svelano squarci sulla vita dell’epoca. I corpi appaiono di una stilizzazione che potremmo dire modernissima; vediamone la tipologia: corpi maschili nella loro schematicità mostrano a un tempo muscoli e dinamismo, e dettagli quali perizomi o cache-sex e armi.
Le figure femminili, non di rado con lordosi lombare accentuata, caratteristica delle “Veneri Ottentotte”, anch’esse molto stilizzate, mostrano però con chiarezza il torso nudo, con i seni scoperti, e delle gonne di varia lunghezza, che va dal ginocchio alla caviglia, ma nelle figurazioni prevale quest’ultima.
Quanto alla tipologia, molto comuni sono le scene di caccia: prevalentemente uomini con perizoma, in corsa, con archi e frecce; sono spesso visibili anche pugnali e, in qualche caso, piume fra i capelli. Meno diffuse sono le vere scene di allevamento, le quali tuttavia sono presenti, con molti armenti (più raramente ovini) e pastori-cacciatori (presenza di archi). Certamente le più diffuse sono le singole figure o piuttosto i gruppi o vere e proprie di mandrie di bovini.
Ho lasciato per ultime le raffigurazioni per noi ben più importanti, poiché potrebbero essere (e quasi certamente sono) a carattere religioso: scene di danze, di accostamento a figure più grandi delle altre figure umane, ma soprattutto la presenza di figure in parte animali e in parte umane (in altre culture generalmente questi ibridi si riferiscono a sciamani mascherati che a loro volta simbolizzano la divinità). Abbiamo i molti esempi di graffiti del Deserto Orientale, ma l’esempio pittorico più stupefacente è quello del Riparo Mistikawy/Foggini. Nell’affollarsi delle migliaia di figure di questo eccezionale sito, spiccano decine e decine di scene analoghe in cui appaiono esseri umani danzanti, in fila o in cerchio, e al centro un essere, molto più grande degli umani intorno, che ha caratteristiche animali (vagamente somigliante a un grande mammifero, quale un bovino), privo della testa e con una coda ritta con estremità a ciuffo identica a quella che troveremo nelle raffigurazioni di Seth come animale.
CONCLUSIONI
Come avrete notato, ho accuratamente evitato qualsiasi commento sull’arte preistorica di cui ho parlato. Questo perché i voli pindarici e i commenti estatici su quelle bellissime pitture sarebbero fuori luogo in una loro analisi: giudicarne i criteri “artistici” dell’epoca, o i significati e gli scopi sono meri esercizi mentali, generalmente dettati da criteri eurocentrici, che ci porterebbero fuori strada. Più corretto osservare il proseguimento culturale dal Paleolitico e il passaggio dell’arte pittorica che, prima nota nelle grotte europee (e altrove nel mondo), appare adesso nel Sahara. Da occidentali, senza spingerci ad estatiche quanto erronee supposizioni sul loro significato, possiamo osservare il dinamismo di quelle figure, la loro svelta eleganza e il senso di osservazione naturalistica degli esecutori di quelle pitture.
Le genti sahariane sono ormai pronte al salto successivo: lo spostamento alle oasi, poi alla Valle del Nilo e lì, al pieno sviluppo dell’arte vascolare predinastica.
Ma quella è un’altra storia…