Giuseppe Verdi

Presentato da Ivo Prezioso
Verrebbe quasi da dire che, come le vie del Signore sono infinite, così lo sono quelle che conducono all’amore per la Civiltà Egizia. E allora ho deciso di cominciare i miei contributi a questa rubrica, dedicandoli al primo approccio avuto con gli antichi abitatori della Valle e del Delta.
Siamo intorno al 1962-63, quell’irripetibile momento di boom economico, in cui usciti da un dopoguerra di disastri e ricostruzioni, si cominciava a nutrire un giustificato ottimismo verso il futuro. Avevo sette, forse otto anni ed in casa c’era un monumentale radiogrammofono della Greatz, rigorosamente a valvole e rigorosamente mono. A questo si accompagnava un discreta collezione di dischi (molti dei quali ancora a 78 giri) per lo più canzoni napoletane classiche e microsolchi a 45 giri dei cantanti in voga al momento: Mina, Tony Dallara, Joe Sentieri, Milva, Dalida ecc. ecc. (lo so, sembra che vi stia parlando del paleozoico, ma vi assicuro che provo una tenerezza inaudita nel ricordare quei tempi). Bene, chissà come e perché, faceva compagnia a questi esemplari di musica leggera, una piccola ma tutt’altro che disprezzabile raccolta di musica colta. Opere, liriche, per lo più, tra cui edizioni della Angel’s Record di Bohéme e Tosca con Maria Callas e Giuseppe Di Stefano e soprattutto lei: una bellissima Aida edita nel 1959 dalla Decca, con Renata Tebaldi, Carlo Bergonzi, Giulietta Simionato e la mitica Orchestra Filarmonica di Vienna diretta dall’altrettanto mitico Herbert von Karajan.

A colpirmi fu il frontespizio del libretto (lo vedete nell’immagine) una scenografica e un po’ pasticciata ricostruzione di un tempio egizio (tebano, di epoca ramesside) con tanto di piloni, e quattro statue che rimandano al Chefren dell’Antico Regno: ma per me, all’epoca, fu un fulmine a ciel sereno. Quella magnificenza da Kolossal, accese subito la mia infantile fantasia e così cominciai a chiedere di ascoltare quale mistero si celasse in quel vinile etichettato in arancione. E scoprii un mondo: una musica che mi trasportava in mondi lontani, in suggestioni mistico-religiose perdute nel tempo.
Era nato il mio amore per l’Antico Egitto.
E non mi limitavo, come sarebbe facile credere, alla celeberrima marcia trionfale o al Gloria all’Egitto ad Iside, ma via via scoprivo perle musicali di un impatto emotivo tale (ero poco più che un bambino) che avrebbero segnato profondamente i miei gusti sia musicali che storici.
Certo il percorso fu lungo. Ci fu prima l’Egitto dei libri di scuola, quello ancora indissolubilmente legato alla concezione biblica con tanto di schiavi impegnati a costruir piramidi sotto la sferza degli oppressori; poi venne quello dei libri tanto divulgativi quanto poco aderenti alla realtà dei vari Vandemberg, Kolosimo ecc. e infine quello delle riviste con pretese esoteriche come Arcana ed altre di cui neanche ricordo il nome. E infine l’approdo al lavoro di egittologi veri” (in primis alcune dispense a cura di Edda Bresciani) che hanno cambiato gradualmente, ma totalmente le mie comprensioni su questa gloriosa civiltà.
Via, tutti i presunti misteri, le conoscenze occulte, l’ossessione per la morte, gli apporti di civiltà sconosciute e mai identificate: hanno preso il loro posto una società esemplarmente pragmatica e razionale (può sembrare un paradosso, ma non lo è), amante come poche della vita, rispettosa come nessuna dell’universo femminile, regolata da un’etica che dovrebbe fare impallidire di vergogna le classi dirigenti di tantissime società moderne (per inciso, e ci tengo a sottolineare che è solo un mio parere del tutto personale, la nostra – intendo classe dirigente – sotto questo aspetto se la gioca furiosamente per il poco invidiabile primato).
Non starò qui a farvi una recensione di questa Aida. Basti dire che il soggetto è ricavato da un canovaccio di Auguste Mariette, e le voci e l’orchestra sono davvero da sogno ad occhi aperti. Di certo l’opera non ha più quella formidabile attrattiva che aveva un tempo (devo riconoscere che già all’epoca venivo considerato un bel po’ fuori di testa ad amare una simile forma di cultura), ma se è servita per farmi avere il primo e determinante approccio con l’Antico Egitto, direi che ha assolto il suo compito in pieno.

Da allora sono seguiti innumerevoli ascolti di questo capolavoro, finché, se non erro, nel 1977 ho fatto la prima conoscenza con Aida al teatro di San Carlo con una memorabile edizione che schierava un formidabile trio composto da Angeles Gulin, Grace Bumbry ed un giovane Nunzio Todisco e poi tante altre rappresentazioni fino a giungere alle ultime due: la prima in Piazza del Plebiscito, in forma di concerto con Jonas Kaufmann, Anna Pirozzi e Anita Rachvelishvili, due anni or sono, per finire con l’ultima, recentissima in teatro in Febbraio di quest’anno con una colossale Anna Netrebko.
Gloria all’Egitto!!!!!
Il Nunzio… è Nunzio Todisco. Per un banale errore il cognome del tenore è rimasto nella tastiera
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Corretto, grazie
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