In 1922, as Egypt became an independent nation, the tomb of the young king Tutankhamun was discovered. It was the first known intact royal burial from ancient Egypt, and the excavation of the tomb by Howard Carter and his team, funded by the 5th Earl of Carnarvon, generated enormous media interest. The excavation was famously photographed by Harry Burton, and these photographs, along with letters, plans, drawings, and diaries, are part of an archive created by the excavators and presented to the Griffith Institute, University of Oxford, after Carter’s death.
These historic images and records present a vivid first-hand account of the discovery, including the spectacular variety of the king’s burial goods and the remarkable work that went into documenting and conserving them. The archive enables a nuanced and inclusive view of the complexities of both the ancient burial and the excavation, including often overlooked Egyptian members of the archaeological team. Tutankhamun includes a selection of fifty key items, chosen by the staff of the Griffith Institute, that provide an accessible and authoritative overview of the archive, drawing on new research on the collection and giving unprecedented insight into the records of one of the world’s most famous archaeological discoveries.
Ed. Oxford University Press – pp. 320 – prezzo € 23,42
It is often thought that the story of Tutankhamun ended when the thousands of dazzling items discovered by Howard Carter and Lord Carnarvon were transported to the Egyptian Museum in Cairo and put on display. But there is far more to the boy-king’s story. Tutankhamun and the Tomb that Changed the World explores the 100 years of research on Tutankhamun that have taken place since the tomb’s discovery, from the several objects in the tomb made of meteoritic iron that came from outer space to new evidence that shows that Tutankhamun may actually have been a warrior who went into battle. Author Bob Brier also takes readers behind the scenes of the recent CT-scans of Tutankhamuns mummy to reveal more secrets of the young pharaoh. The book also illustrates the wide-ranging impact the discovery of Tutankhamun’s tomb had on fields beyond Egyptology. Brier examines how the discovery of the tomb influenced Egyptian politics and contributed to the downfall of colonialism in Egypt. Outside Egypt, the modern blockbuster exhibitions that raise great sums of monies for museums around the world all began with Tutankhamun, as did the idea of documenting every object discovered in place before it was moved. And to a great extent, the modern fascination with ancient Egypt DL Egyptomania DL was also greatly promoted by the Tutmania that surrounded the discovery of the tomb. Deeply informed by the latest research and presented in vivid detail, Tutankhamun and the Tomb that Changed the World is a compelling introduction to the worlds greatest archaeological discovery.
Ed. Oxford University Press – pp. 320 – prezzo € 26,12
Un distinto archeologo inglese che forse non è archeologo, ma un truffatore
La ricerca della tomba di un faraone che forse non è mai esistito
Una trama intrigante intrecciata con un thriller, uno svolgimento dei fatti che ci porta nell’Egitto all’epoca della scoperta della tomba di Tutankhamon ma che con lui non ha nulla a che fare
Un libro che ho letto e riletto sempre con piacere e gioia
Ormai vi sarete abituati ai miei articoli che non sempre seguono la linea “classica”, ma spaziano in ambiti talvolta, almeno apparentemente, lontani dall’argomento principe di questo sito. È successo con “Acqua alle corde”, con le “Corna divine” o con “Mose l’egiziano”, ebbene, anche stavolta non vengo meno all’usanza e così, improvvisamente, vi proietto in un mondo fatto di musica e… antiche parole. Auguri di Buon Anno!
Tut wu-a yeri enti Wa-a wa-u yeri wenenet Perer en rem em yertif Kheper netheru tep ref…
Così intonò il controtenore nel buio della sala del Württembergisches Staatstheater, Kleines Haus, di Stoccarda, e ben pochi compresero il significato di quelle parole…
Oh, creatore di tutte le cose Oh, fattore di tutte le esistenze Gli uomini procedono dai suoi due occhi Gli dei scaturiscono nella loro esistenza dai limiti della sua bocca…
…al controtenore si aggiunse poi la voce del soprano…
Yeri semu se-ankh menmen Khet en ankhu en henmemet Yeri ankh-ti remu en yetru Apdu genekh pet
Egli fa in modo che la verde erba permetta la vita del bestiame e il sostegno della vita dell’uomo Egli fa che i pesci vivano nei fiumi e gli uccelli nel cielo
…e, dopo qualche istante, fu la volta del contralto che sostituì il soprano…
Redi nefu en enti em suhet Se-ankh apnentu yeri ankhti khenus Djedfet puyu mitet yeri Yeri kherti penu em babasen
Egli dà il respiro della vita nell’uovo, Fa vivere uccelli di varie specie E ugualmente i rettili, che strisciano e volano, e fa vivere i topi nelle loro tane
…il duetto si trasformò, quindi, in un terzetto del controtenore, del soprano e del contralto…
Se-ankh puyu em khet nebet Hrak yeri Enen er a-u
E gli uccelli, che stanno sopra ogni cosa verde, Salutano te Creatore di tutte queste cose Te il Solo
…il canto si affievolì e la musica si sostituì alle voci mentre, lentamente, Tye e Nefertiti lasciavano la Finestra delle Apparizioni.
E lì, al centro del palcoscenico, rimase solo lui, Akhenaton! Un corteo funebre si allontanava, intanto, e imbarcazioni d’oro, dalle vele variopinte, attraversavano il Grande Fiume per accompagnare verso il suo tempio del Milione di Anni il grande Amenhotep III.
Philip Glass
Era il 24 marzo 1984 e, per la prima volta, andava in scena l’opera lirica che andava a concludere la “Portrait Trilogy” che si era iniziata, nel 1976, con un personaggio a simboleggiare l’ideale dello scienziato, Albert Einstein, era proseguita, nel 1980, con colui che incarnava l’ideale del politico, Gandhi, e ora si concludeva con colui che l’autore aveva prescelto quale incarnazione del riformatore per eccellenza: Akhenaton. Ognuno di costoro, inoltre, guidato da una visione che travalicava l’epoca in cui visse, nelle intenzioni dell’autore, doveva inglobare aspetti degli altri due giacché scienza, politica e religione sono sempre parte di un tutt’uno.
Erano così nate: la minimalista “Enstein on the beach[1]”, del 1976; il simil-oratorio “Satyagraha[2]”, del 1980, ed era ora la volta di “Akhnaten”. L’autore era Philip Glass che oltre alle musiche aveva anche direttamente collaborato, con Shalom Goldman[3], Robert Israel[4] e Richard Riddell alla stesura del libretto di quest’ultima.
Capostipite del “minimalismo musicale[5]”, Philip Glass è nato a Baltimora nel 1937 ed è stato inserito, nel 2007, al nono posto nella classifica mondiale dei cento geni viventi stilata dal “Daily Telegraph”.
“Akhnaten”, terza, come detto, di quella che egli battezzò come “Portrait Trilogy”, ovvero “Trilogia dei ritratti”, è una potente composizione vocale e orchestrale che prevede parti cantate in accadico, in ebraico e in antico egizio, che si intervallano con recitativi derivanti da antichi testi egizi, ma declamati da un attore/lettore, nella lingua del luogo in cui l’opera viene rappresentata.
L’opera si articola in tre atti che seguono Akhenaton dall’ascesa al trono (anno primo/Atto I), al regno (anni dal quinto al quindicesimo/Atto II), alla caduta (anno diciassettesimo/Atto III).
Una scena dell’ “Akhnaten” come rappresentata presso l’Opera di Nizza, il 1°/11/2020
PERSONAGGI
Akhnaten
Controtenore
Nefertiti
Contralto
La Regina Tye (madre)
Soprano
Hormhab (generale e futuro faraone)
Baritono
Aye (padre di Nefertiti e consigliere del faraone)
Basso
Sommo Sacerdote di Ammon
Tenore
Lo Scriba Amenhotep, figlio di Hapu
Voce recitante
Le sei figlie di Akhnaten e Nefertiti (Soprani e contralti); il banchetto funebre (tenori e bassi), Sacerdoti, popolo
ATTO I
[scena 1: Funerale di Amenhotep III; scena 2: Incoronazione di Akhenaton; scena 3: la Finestra delle Apparizioni]
Un gruppo di turisti visita rovine egiziane… sulla scena appare un funerale antico egiziano, sovrapponendosi ai turisti che, però, non ne hanno sentore e non entrano a farne parte. A un preludio orchestrale seguono le fasi dell’ascesa del faraone “eretico”, l’incoronazione e la scena “della finestra delle apparizioni” in cui Akhnaten, Nefertiti e la regina Tye, annunciano l’avvento di una nuova era (da cui ho tratto i brani con cui ho iniziato questo articolo).
ATTO II
[scena 1: il Tempio; scena 2: Akhenaton e Nefertiti; scena 3: la Città/la Danza (lettura dei testi di due stele confinarie di Akhetaton); scena 4: Inno ad Aton
Akhnaten dà l’assalto al tempio di Amon, emblema degli antichi Dei; segue un duetto amoroso tra Akhnaten e Nefertiti (“Sensenet neftu nedjem”):
Sesenet neftu nedjem Per em rek Peteri nefruk em menet Ta-i nehet sedj emi Kheruk nedjem en mehit Renpu ha-i em ankh en mertuk. Di-ek eni awik kher ka-ek Shesepi su ankhi yemef I ashek reni er heh Ben hehif em rek
Io respiro il dolce respiro che viene dalla tua bocca. Io possiedo la tua bellezza ogni giorno. È mio desiderio Che io possa essere ringiovanito con la vita attraverso l’amore di te. Dammi le tue mani, per tenere il tuo spirito che io possa riceverlo e possa vivere di esso Chiama il mio nome per l’eternità ed esso non fallirà mai
Segue la fondazione di Akhetaton e, al culmine drammatico-musicale dell’opera, il canto dell’Inno ad Aton (ed è proprio quello che conosciamo musicato… bellissimo) innalzato al dio dal faraone (questo il link: http://www.youtube.com/watch?v=MWdIzA1SuC0. Vi ricordo che è un controtenore e, come noterete, il timbro della voce è molto particolare). Sul finire del canto in egizio, si sovrappone un coro, fuori scena, che canta, in ebraico antico, il Salmo 104 della Bibbia, che così tante assonanze ha con l’inno ad Aton[6].
ATTO III
[scena 1: la Famiglia; scena 2: Attacco e Caduta; scena 3: le Rovine]
L’atto inizia con la lettura, da parte di uno scriba[7], di quattro lettere di Amarna (lo scopo di questa lettura è di aizzare il popolo verso il sovrano che non risponde alle richieste d’aiuto dei re vassalli).
Il popolo e i sacerdoti si ribellano al nuovo culto e danno l’assalto al palazzo di Akhnaten. Una voce narrante, sottolineata dall’orchestra, funge da transizione ad un epilogo in epoca moderna, che ci trasporta tra le rovine di Akhetaton ove sostano dei turisti.
Quando i turisti si allontanano restano soltanto le rovine della città desolata in cui compaiono i fantasmi di Akhnaten, Nefertiti e della regina Tye, che mestamente scorgono il corteo funebre di Amenhotep III ancora in viaggio verso il regno dell’aldilà.
Mentre cala il sipario i tre si uniscono al corteo funebre.
[questa scena, di fatto, è proprio il funerale di Amenhotep III con cui, precedentemente, l’opera è iniziata].
Se la prima rappresentazione ebbe luogo a Stoccarda, nel 1984, l’ultima (in senso cronologico), ha avuto luogo il 1° novembre 2020, in piena pandemia COVID, presso la Opéra Nice Côte d’Azur, di Nizza, con una scenografia essenziale (data anche le regole di distanziamento dettate dal particolare momento) composta da un enorme disco basculante, simboleggiante Aton, e cortine semitrasparenti su cui venivano proiettati personaggi e movimenti scenici.
Notevolmente più imponenti le scenografie della rappresentazione precedente, il 23 novembre 2019, presso il Metropolitan Opera House di New York.
Una scena del Metropolitan
Ancora una delle scenografie del Metropolitan Opera House di New York
…e in Italia? Anche in Italia l’opera di Glass è stata rappresentata, in forma di concerto (e perciò senza scene) all’Auditorium “Giovanni Agnelli” di Torino, il 13 settembre 2015.
Per chi fosse interessato ai testi in egiziano antico, e alla loro “provenienza”:
Atto I, Scena 1: E. A. Budge, “The Egyptian Book of the Dead” (3 vols.). Londra: K. Paul, 1909
Atto I, Scena 2: E. A. Budge, “An Egyptian Reading Book”. Londra: K. Paul, 1904
Atto I, Scena 3: E. A. Budge, “The Gods of the Egyptians”. Londra: K. Paul, 1904
Atto II, Scene 1 & 2: Sir Alan Gardiner, “The So-Called Tomb of Queen Tye.” In “Journal of Egyptian Archæology”, 1957/43. The Egypt Exploration Society, London
Atto II, Scena 3: J. H. Breasted, “A History of Egypt”. New York: Scribners, 1909
Atto II, Scena 4: D. Winton Thomas (traduttore), “Akhnaten’s Hymn to the Aten.” In “Documents from Old Testament Times”, ed. D. Winton Thomas, 1958 Thomas Nelson and Sons, Ltd., Londra
Atto III, Scene 1 & 2: S. A. Mercer, “The Tel-el-Amarna Tablets” (2 vols.), Torono: Macmillan Canada Ltd., 1939
Atto III, Scena 3: Eugene Fodor, “Fodor’s Egypt”, Fodor’s Travel, Inc. New York, 1975
Roma, 24/12/2022
[1] “Einstein on the beach”, opera decisamente minimalista, fu eseguita per la prima volta il 25 luglio 1976 in Francia (a Venezia nel settembre 1976). L’opera, su “libretto” di Robert Wilson (Waco 1941, regista e drammaturgo statunitense) e musiche di Philip Glass, dura circa cinque ore e non è prevista alcuna interruzione. Lo stesso Wilson, tuttavia, la concepì in modo che il pubblico fosse libero di muoversi in platea a suo piacimento. Non esiste trama, ma il libretto prevede brani e recitativi incentrati sulla relatività, sull’energia e sulle armi nucleari.
[2] Parola dal sanscrito che significa, letteralmente, “insistenza per la verità”, ma che è normalmente intesa come “resistenza passiva”, ovvero la teoria politica praticata da Gandhi e successivamente da altri movimenti non violenti come quello di Martin Luther King, o di Nelson Mandela.
[3] Shalom Goldman, storico e linguista, laureato in lingue e letterature ebraiche bibliche, lingue e culture del medio oriente antico, specializzato in studi linguistici comparativi biblici ebraici e non-ebraici. Professore presso varie università negli Stati Uniti e in Israele.
[4] Robert Israel (Los Angeles 1963) è un musicista, compositore, organista e pianista, specializzatosi, negli anni ’80 del secolo scorso nella produzione di musiche per film muti come “The Big Parade” (“La Grande Parata”) di King Vidor, del 1925, “Flesh and the Devil” (“La carne e il diavolo”) del 1927, diretto da Clarence Brown, e interpretato da Greta Garbo
[5] Minimalismo musicale, corrente nata negli anni ’60 del secolo scorso, nacque dall’esigenza di rendere più accessibile la musica d’avanguardia astratta dei primi anni ’60 basandosi sulla costante ripetizione di schemi musicali semplici. Successivamente, agli inizi degli anni ’70, Glass se ne discosterà ispirando la sua musica all’opera lirica “classica”.
Come sono numerose le tue opere! Sono nascoste alla vista (degli uomini), o Dio unico, a cui nessuno è uguale. Hai creato la terra secondo il tuo desiderio, quando eri solo, e gli uomini e il bestiame, e ogni animale selvatico, tutto ciò che è sulla terra, e che cammina sui suoi piedi, e tutto ciò che è nel cielo, e che vola con le sue ali, i paesi stranieri, la Siria, laNubia, e il paese d’Egitto. Tu hai messo ogni uomo al suo posto, provvedendo ciò che gli è necessario. Ognuno ha il suo cibo ed è stabilita la durata della sua esistenza.
Dal salmo 104
24 Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle tue creature. 25 Ecco il mare spazioso e vasto: lì guizzano senza numero animali piccoli e grandi. 26 Lo solcano le navi, il Leviatàn[1] che hai plasmato perché in esso si diverta. 27 Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. 28 Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni. 29 Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere.
[7] Amenhotep, figlio di Hapu, visir e architetto durante il regno di Amenhotep III, fu considerato, ancora vivente, un grande filosofo e sapiente. Così viene descritto in una cappella del villaggio degli artigiani di Deir el-Medina: «Giudice supremo, colui che stabilisce le leggi; solido muro di bronzo che circonda l’Egitto; governatore dei templi che raccoglie doni da tutto il Paese, che parla con saggezza nell’eternità. Giusto di voce, che rinnova la vita con il cuore puro, glorifica Maat, perfetto nei suoi eccellenti consigli, calibra l’efficacia delle parole magiche e individua le malattie: davanti a lui indietreggiano i demoni che portano il male»
Il nostro amico Giuseppe Esposito non è solo uno studioso che abbiamo imparato a conoscere su questo gruppo, ma è anche autore di romanzi storici. Questo ruota intorno alla morte di Tutankhamon e merita di essere riscoperto in occasione del centenario della scoperta della tomba.
“Di lui una sola cosa è certa: morì” con queste parole Carter si riferì al re la cui tomba, forse la più famosa di tutta la storia dell’archeologia, aveva scoperta nel 1922. Ma se la tomba è famosa, non così è per il suo occupante il cui nome, tanto spesso pronunciato, è tuttavia avvolto nel mistero più assoluto. Chi era Tutankhamon, chi i suoi genitori, quale il complesso mondo in cui visse, quali interessi potevano girare attorno alla sua persona, ed ancor più all’eresia amarniana del suo predecessore Akhenaton. Con questo romanzo, basato comunque su evidenze storico archeologiche esatte e riscontrabili, e dotato di un apparato di note storico e dei personaggi di tutto rispetto, l’autore cerca di far luce su uno dei più grandi misteri della storia e dell’archeologia: Tutankhamon fu assassinato? E se si da chi? Circondano il Faraone fanciullo le misteriose figure del precettore Ay, del Generale Horemhab (entrambi successori di Tutankhamon sul trono delle Due Terre), di Aanen, Primo Profeta di Amon, delle splendide regine Nefertiti ed Ankhesenamon e del Faraone eretico, Akhenaton, con il suo sogno spezzato di una religione d’amore universale. E se fosse successo davvero tutto quello che viene ipotizzato in questo libro?
“Settembre 1822: il giovane Champollion riesce a decifrare la scrittura geroglifica liberando la storia dell’antico Egitto da millenni di oscurità” (cit.)
Il 2022 è un anno particolare per gli egittologi e anche per i semplici appassionati della Civiltà Egizia: lo si potrebbe quasi definire “Annus Aegyptiacus Magnus”. Lo imporrebbero due eccezionali ricorrenze: il bicentenario della decifrazione della scrittura geroglifica da parte di Jean-François Champollion, nel settembre del 1822 e la scoperta della tomba di Tutankhamon da parte di Howard Carter, sostenuto dal mecenatismo dell’aristocratico inglese Lord Carnarvon, il quattro novembre del 1922.
Ma bando alle iperboli. Riporto la vostra attenzione sull’opera eccezionale del grande Champollion, per segnalare un’interessante pubblicazione di qualche anno fa: si tratta de “Le Chiavi dell’Egitto”, scritto dalla coppia Lesley e Roy Adkins, archeologi e membri della Society of Antiquaries di Londra e pubblicato in Italia nel 2004 dalle Edizioni Piemme Pocket.
É il 14 settembre 1822 quando Jean-François Champollion (1790-1832) irrompe senza fiato nello studio del fratello, Jacques-Joseph, con i suoi appunti e disegni stretti al petto. Getta ogni cosa sul tavolo, gridando: “Je tiens l’affaire (Ce l’ho in pugno)!”. Vorrebbe esporre la sua intuizione ma si accascia sul tappeto, privo di sensi. Il fratello, per qualche istante lo crede morto. È il risultato di quello che potremmo definire “lo studio matto e disperato” degli ultimi anni, il lavoro febbrile di una grande personalità dotata di una solida erudizione e di un eccellente intuito.
Alla riunione dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres del 27 settembre di quello stesso anno, Champollion fu chiamato a presentare quello che doveva essere la relazione più importante delle giornata, il suo lavoro sui geroglifici fonetici che poco dopo avrebbe ampliato in una vera e propria pubblicazione indirizzata a Bon-Joseph Dacier, Segretario Perpetuo dell’ Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. Questo lavoro, che divenne una pietra miliare dell’egittologia, oggi è noto semplicemente come “Lettera a Monsieur Dacier”.
Benché questo documento sia generalmente giudicato come il punto di svolta negli studi di Champollion, occorre tuttavia ricordare che egli non giunse ad una soddisfacente comprensione dell’antica lingua egizia se non dopo il completamento della sua grammatica e del relativo dizionario che avvenne poco prima della sua scomparsa, per un colpo apoplettico, nel 1832.
Il capostipite di tutti i film horror/thriller di argomento “egizio”.
Sfruttando l’onda lunga del ritrovamento della tomba di Tutankhamon e l’immaginifico effetto della sua “maledizione”, nel 1932 gli Universal Studios fanno uscire questo horror diretto da Karl Freund, che aveva curato la fotografia di Frankenstein poco prima.
Nella storia, la mummia di un sacerdote (Imhotep, figlio di Amenophis), sepolto vivo nell’antichità per aver tentato di resuscitare la donna amata (Ankhesenamon), viene inavvertitamente riportato in vita da un archeologo leggendo un papiro che accompagnava la mummia.
Il risorto Imhotep con la sua nuova identità di Ardeth Bay (anagramma di “Death by Ra”) tenterà quindi di riavere l’amata Ankhesenamon, reincarnatasi in Helen, la fidanzata di un archeologo, facendone la sua sposa in eterno. Solo l’intervento di Iside scongiurerà i piani di Imhotep.
Oggi il film fa forse sorridere, con l’uso di nomi “famosi” al grande pubblico, le inesattezze storiche e teologiche ed una trama scontata, ma l’interpretazione di Boris Karloff rimane fantastica – e chi da ragazzino non è rimasto con il fiato sospeso durante la scena della resurrezione della mummia mente spudoratamente…
Beh, quando circa 25 anni fa, se ricordo bene, in edicola apparve il primo fascicolo di quella che credo sia la prima enciclopedia italiana dedicata all’Antico Egitto, presi immediatamente accordi con il mio edicolante affinché mi mettesse da parte i fascicoli ove mai dovesse sfuggirmene qualcuno.
Avevo letto tanti libri, ma l’idea di venire in possesso di un’opera di così ampio respiro fu un vero “coup de foudre”. E l’attesa non andò delusa.
Gli argomenti si dipanano in modo chiaro (evidente il carattere prettamente divulgativo dell’opera, ma era quello che desideravo), ma rigoroso. Un percorso cronologico, ma integrato con la rubrica “L’avventura dell’archeologia” che offre una narrazione quanto mai suggestiva delle grandi scoperte.
Non manca una sezione dedicata ai geroglifici, che fornisce gli elementi primari per un approccio a questo tanto singolare quanto affascinante sistema di scrittura. In attesa che il prof. Maurizio Damiano dia alle stampe la sua nuova opera “Il velo di Iside” che si preannuncia aggiornatissima, ancora ricorro di frequente alla consultazione di questi quattro splendidi volumi.
Questo libro mi è stato caldamente consigliato dal Prof. Maurizio Damiano ed è la riduzione francese di un ben più corposo volume in lingua tedesca, Ma`at: Gerechtigkeit und Unsterblichkeit im alten Ägypten (Ma`at: giustizia e immortalità nell’antico Egitto).
Non esiste purtroppo una versione italiana, pertanto è richiesta una discreta conoscenza della lingua francese. Acquistato su Amazon (€ 19,50) è dedicato a tutti coloro che desiderano approfondire uno degli aspetti fondanti del pensiero egizio (anzi, quello determinante).
Ma’at è un’ astrazione, prima ancora che una divinità: potremmo dire che è la personificazione incorporea di un immagine ideale di regola a cui dovevano sottostare uomini, faraone e persino gli stessi dei. A riprova è il fatto che in Egitto non è esistito un vero culto, né fu venerata in santuari, almeno fino al Nuovo Regno. Il culto e la venerazione venivano implicitamente praticati attraverso la sua applicazione. E dobbiamo pensare anche che ogni aspetto esteriore della Civiltà Egizia, quelli che più colpiscono il nostro immaginario, vale a dire monumenti, opere d’arte ecc., sono figli di questa concezione.
Tutti, ad esempio possono notare come anche una semplice iscrizione geroglifica, colpisce per simmetria, equilibrio, stabilità, armonia della composizione: tutti aspetti che sono compresi nel più vasto panorama dei significati attribuibili a Ma’at: in definitiva ordine cosmico. Come spiega molto bene Assmann,
<<Ma’at è la parola vivente, il discorso solidale e integrante…Lo Stato esiste affinchè sia realizzata Ma’at, affinché il mondo sia reso abitabile. Ne consegue che lo Stato Faraonico non deve essere inteso come un’istituzione di forza, violenza o assoggettamento, come è descritto nell’Esodo, ma di liberazione: liberazione dell’uomo attraverso le azioni dell’uomo. Ma’at stabilisce ciò che lega il mondo degli umani a quello degli dei ed assicura loro l’integrazione universale>>.
Attraverso l’analisi di vari testi, in cui emergono e se ne chiariscono i fondamenti, l’autore delinea una immagine complessiva di questo straordinario pensiero, sviluppandolo in cinque parti che affrontano un determinato aspetto di Ma’at: Ordine cosmico o giustizia sociale, La Ma’at sociale, Sopravvivenza e immortalità, La dimensione Cosmica: Ma’at e il corso solare, Ma’at e lo Stato faraonico.
Certamente non è di semplicissima lettura (fortunatamente la traduzione francese è molto scorrevole) e infatti mi accingo a ritornarci su per la seconda volta; ma se avete una certa conoscenza del francese, non lasciatevi scappare questo libro. Comincerete a comprendere l’aspetto più straordinario, commovente e unico della mentalità egizia.
La mia “storia” con l’Antico Egitto iniziò qui, nel 1975, quando avevo dieci anni.
Complice un fratellino di un anno che limitava i movimenti, una villeggiatura a Oulx che poco permetteva ad un ragazzino ribelle e libri per la scuola già letti, scovai “Civiltà al sole” appena comprato da mio padre in edizione economica. Avevamo già “Civiltà sepolte” dello stesso autore, ma io all’epoca non lo sapevo.
Entrambi i libri sono scritti da un giornalista tedesco, Kurt Marek, che li pubblicò con lo pseudonimo C.W. Ceram ribaltando il suo cognome. Divisi in argomenti archeologici (Libro delle Statue per l’antica Grecia, delle Piramidi per l’Egitto, delle Torri per assiro-babilonesi e delle Scale per le civiltà precolombiane), raccontano in maniera romanzata le grande scoperte archeologiche – Civiltà sepolte – ed in maniera anche illustrata (Civiltà al sole).
Erano tutti argomenti interessanti, ma le immagini legate all’Egitto erano troppo accattivanti per non rapire la fantasia di un ragazzino di fronte alla Sfinge, le mummie, i tesori di Tutankhamon.
E fu così che entrai – felice e garrulo – in cucina, dove mia mamma stava cucinando e mia zia stava spellando un coniglio, spiegando come gli antichi egizi estraessero con un uncino il cervello dal naso dei defunti per procedere alla mummificazione. L’immagine di mia zia che lotta per non vomitare e mia madre che ride a crepapelle mentre io filavo via a leggere il resto furono il prologo di una passione che mi lega ancora oggi al Nilo ed al suo antico popolo.