XXV Dinastia

SHEPENWEPET II

Sposa Divina di Amon

Di Francesco Alba

XXV Dinastia, Regno di Piye (747 – 716 a.C.)
Grovacca e doratura.
Museo Egizio del Cairo
(Acc. Nr. JE 59870)

Questa statua che raffigura Shepenwepet II, figlia di Piye, sovrano kushita appartenente alla Venticinquesima Dinastia, era in origine completamente dorata per evidenziarne la condizione divina.

Subito dopo avere affermato la sua autorità su Tebe, Piye dispose che Shepenwepet fosse accolta all’interno dei ranghi delle Spose Divine di Amon, presso il tempio di Karnak. A causa di questo ruolo prestigioso ella è qui raffigurata mentre indossa la corona con le doppie piume del dio Amon e il disco solare racchiuso fra corna di vacca.
La statua fu scoperta nel 1933 nelle pertinenze del tempio funerario di Ramses III, presso Medinet Habu.

Il termine “Sposa Divina di Amon” (hemet netjer nt Imen) è attestato per la prima volta all’inizio del Nuovo Regno nella forma di una carica religiosa che Ahmose I (1550 – 1525 a.C.) aveva attribuito alla sua sposa, Ahmose Nefertari. In seguito divenne strettamente associato al titolo di “Divina Adoratrice” (dwat – netjer) che fu portato dalla figlia del Primo Sacerdote di Amon sotto Hatshepsut (1473 – 1458 a.C.) e dalla madre della Grande Sposa Reale durante il regno di Tuthmosi III (1479 – 1425 a.C.), anche se la sua importanza a quel tempo si era alquanto ridotta.

A partire dal regno di Amenhotep III (1390 – 1352 a.C.) e fino alla fine della Diciottesima Dinastia non vi è evidenza di donne appartenenti alla famiglia reale titolari dell’ufficio di Sposa Divina di Amon.

Compito della Sposa Divina era quello di interpretare la parte di consorte di Amon nelle cerimonie religiose, in questo sottolineando la credenza che i re fossero concepiti dall’unione tra Amon e la Grande Sposa Reale.

Il titolo “Mano del Dio” era anche talvolta usato in riferimento all’atto di masturbazione compiuto da Atum mediante il quale questi avrebbe generato Shu e Tefnut. In tal senso la Mano di Atum era quindi considerata di natura femminile. Durante la Diciannovesima Dinastia (1295 – 1186 a.C.) il titolo fu reintrodotto, ma la sua importanza era meno evidente rispetto ai periodi più antichi. Alla fine della Ventesima Dinastia, tuttavia, Ramses VI (1143 – 1136 a.C.) conferì a sua figlia Isis un titolo ibrido che combinava quello di Sposa Divina di Amon e quello di Divina Adoratrice, creando in questo modo quello che diventerà un ufficio fortemente politicizzato. Il titolo fu, da quel momento in poi, conferito alla figlia del re che, in qualità di sacerdotessa, avrebbe detenuto un grande potere sia religioso che politico nella città di Tebe.

Le sarebbe stato precluso il matrimonio, imposto l’obbligo di castità e avrebbe dovuto adottare la figlia del successivo sovrano in qualità di erede del suo ufficio sacerdotale. In questo modo il re cercava di assicurarsi il mantenimento del potere in Tebe e di impedire alle figlie maggiori di appoggiare eventuali rivali pretendenti al trono. La Sposa Divina era in effetti il più prominente membro di un gruppo di “concubine di Amon”, tutte vergini e tutte obbligate ad adottare quelle che sarebbero subentrate loro. Durante la Venticinquesima e Ventiseiesima Dinastia (747 – 525 a.C.), la Sposa Divina e l’erede da lei adottata giocarono un importante ruolo nel trasferimento del potere regio. Questo ufficio fu talvolta combinato con quello di capo delle sacerdotesse di Amon.
Una misura della ricchezza e dell’influenza di queste donne è riscontrabile nella costruzione di una “tomba con cappella” da parte di Amenirdis I, sorella del re Shabaqo (716 – 702 a.C.) della Venticinquesima Dinastia, all’interno del recinto del tempio di Medinet Habu.

Riferimenti:

  • B. Alm. Women of Power and Influence Nile Magazine (19). April-May 2019
  • I. Shaw, P. Nicholson The British Museum Dictionary of Ancient Egypt The American University in Cairo Press – 1995

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