Harem Faraonico

KENAMUN, IL FRATELLO DI LATTE DI AMENHOTEP II

Di Luisa Bovitutti

Dalla tomba di Kenamun, riproduzione dell’immagine di Amenhotep II da piccolo, raffigurato come se già fosse Faraone, in braccio alla sua nutrice, la madre di Kenamun. L’autore fu Norman de Garis Davies; notate che a proteggere il piccolo non c’è l’avvoltoio Nekhbet, ma una semplice anatra, sintomatica del fatto che non era ancora salito al trono

Kenamun fu il figlio del kap che raggiunse le più alte vette del potere, come si desume dai numerosi titoli conferitigli dal sovrano e dal programma decorativo della sua tomba, sulle cui pareti egli fece incidere la sua autobiografia, nella quale racconta di avere seguito il sovrano “nella terra del vile Retenu, senza abbandonare il Signore delle Due Terre sul campo di battaglia, nell’ora di respingere le migliaia”.

Immagine originale del piccolo Amenhotep II in braccio alla nutrice, nella tomba di Kenamun, molto deteriorata

Come si è già detto, egli era il fratello di latte di Amenhotep II (così come si desume dalle stele 11578 e 11593 conservate al Louvre) il quale, salito al trono a diciotto anni di età, lo definì “grande di favori nel kap” e lo elevò a Grande intendente di Perunefer (il porto di Menfi oppure, secondo l’archeologo austriaco Manfred Bietak, la città fortificata sorta sulle rovine di Avaris, base commmerciale e militare dalla quale partivano le spedizioni verso il Levante), quindi a Gran Maggiordomo, a Sindaco di Tebe e responsabile dei granai del tempio di Karnak, conferendogli complessivamente circa centocinquanta titoli, segno di grande apprezzamento anche se, probabilmente, non corrispondevano ad altrettanti incarichi concreti. Egli era comunque il braccio destro del re, l’eminenza grigia di corte, l’amministratore dei possedimenti reali, “gli occhi e le orecchie del sovrano”, ossia colui che doveva vigilare per percepire e sventare ogni pericolo per il trono ed il suo occupante. Kenamun raggiunse anche un alto grado nell’esercito: le iscrizioni su monumenti ed oggetti lo ricordano infatti come aiutante di campo del Faraone, comandante delle truppe, capo di fortezza, capo dei paesi stranieri del nord e in tale veste combatté a fianco del suo re, il quale in più occasioni lo ricompensò per il valore dimostrato e gli concesse una porzione della montagna sacra di Sheikh abd el-Qurna, nella Valle dei nobili, per edificarvi una tomba per sé e per la moglie Tadedetes (TT93).

Riproduzione dell’immagine precedente, nella quale si nota parte del corteo che porta offerte al sovrano: la zona tratteggiata è stata ricostruita, perché erasa, in quanto rappresentava Kenamun all’apice del suo potere quale portatore di flabello alla destra del re ed un altro dignitario che aprivano il corteo. Anche Kenamun doveva essere di poco maggiore d’età rispetto ad Amenhotep, ma viene rappresentato come un adulto.

Egli morì tra i venticinque ed i trent’anni, prima dell’avvento al trono di Thutmosi IV che non è mai citato nella sua sepoltura, ed è stato vittima di damnatio memoriae: nella sua tomba, infatti, la sua figura, i suoi titoli ed il suo nome sono stati erasi ovunque (il nome è sopravvissuto in soli tre casi, almeno in base agli scavi condotti fino ad oggi), e la stessa sorte hanno subito tutti i suoi familiari; i danni al nome di Amon estranei ai suoi titoli ed al suo nome e quelli alle raffigurazioni del sacerdote sem sono stati invece attribuiti alla furia iconoclasta dell’epoca amarniana.

Una nicchia nella tomba di Kenamun nella quale si nota chiaramente che le figure che rendevano omaggio agli dei Osiride ed Anubi sono state volutamente cancellate

E’ difficile stabilire quali siano state le ragioni della rovina di Kenamun: vista la sua giovane età al momento della morte, può essere che abbia ceduto alle lusinghe del potere per tramare contro il Faraone, oppure, più probabilmente, che sia caduto in disgrazia a causa degli intrighi di personaggi di corte invidiosi del suo successo, e che sia stato giustiziato o costretto a suicidarsi; è anche possibile che questi stessi nemici abbiano voluto cancellarne la memoria dopo la morte prematura, profanando la sua tomba.

Analoga sorte ha subito la Stele CG 34034 rinvenuta presso il terzo pilone del tempio di Karnak e custodita al Cairo, che raffigura scene di offerta: nel registro centrale un personaggio che rende omaggio a Thutmosis III, identificato dall’archeologo statunitense Charles Van Siclen in Kenamun, è stato eraso, e delle due linee verticali di testo quella contenente il nome dell’offerente è stata scalpellata. Il nome e le raffigurazioni del fratello di latte di Amenhotep II sono tuttavia sopravvissuti su coni funerari, su numerosi ushabti (rinvenuti a centinaia in luoghi diversi dell’Egitto con la scritta “accordato in segno del favore del re”), sul suo sarcofago custodito al museo di Firenze, (n. Inventario 9477), su di una statua cubo rinvenuta probabilmente ad Assiut e su di una statua proveniente dal tempio di Mut a Karnak (n. 935).

La stele CG 344034 presenta tre registri. Nella lunetta in alto è scolpito il disco solare alato. Al centro del primo registro è raffigurato il dio Amon, in piedi, che guarda verso destra; dietro di lui sono presenti Amenhotep I e la madre Ahmose Nefertari divinizzati. Di fronte a loro sopravvive la parte inferiore di una figura maschile offerente. A sinistra del secondo registro Thutmosi III, seduto, guarda verso destra, e di fronte a lui c’è una linea di testo verticale. Al centro, di fronte al sovrano, in atto di offerta, è presente una figura maschile, erasa, attribuita a Kenamun. Di fronte ad essa sono presenti due linee di testo geroglifico verticali, una delle quali conteneva il nome di Kenamun ed è stata scalpellata. Del terzo registro si conserva parte di una linea orizzontale di testo con i cartigli di Amenhotep I ed Ahmose Nefertari.

LA STRANA STORIA DELLA SUA MUMMIA

Nel 1829 il prof. Ippolito Rosellini, che insegnava Lingue Orientali all’Università di Pisa, tornò in patria dopo avere partecipato con Champollion alla prima missione della storia condotta in Egitto e Nubia, finanziata dal Granduca di Toscana Leopoldo II e da Carlo X di Francia, e portò con sé una collezione di antichità, ora esposte al Museo Egizio di Firenze.

Tra di esse si trovavano 11 mummie, (termine con cui l’egittologo designava un corpo avvolto nelle sue bende inserito nel suo sarcofago antropoide in legno) sette delle quali sono ancora oggi a Firenze, tre sono andate distrutte, e l’undicesima, che nella lista trasmessa dall’egittologo a Leopoldo II viene definita “Mummia in cassa tinta di nero e geroglifici tracciati di giallo. Il corpo intatto nelle sue fasce”, scomparve fin dal suo arrivo a Livorno da Alessandria d’Egitto e di essa non si seppe più nulla fino al 2012, quando fu ritrovata ed identificata dalla prof. Marilina Betrò, egittologa dell’Università di Pisa, che nel 2008 iniziò a studiare il materiale inedito di Rosellini e la sua collezione.

Il corpo, ridotto ad uno scheletro, si trovava nel magazzino del Museo di Storia Naturale di Calci, vicino a Pisa, conservato all’interno di una scatola di cartone; il teschio, appartenente ad un giovane di 25 – 30 anni, reca un’iscrizione con inchiostro nero che identifica i resti come appartenenti ad una delle mummie rinvenute dall’egittologo toscano, e le ricerche effettuate hanno permesso di accertare che essa era stata danneggiata dall’acqua nel viaggio via mare e fu lasciata a Pisa, dove il corpo fu sbendato e ripulito dai resti in avanzato stato di deterioramento.

Il teschio di Kenamun, sul quale li legge chiaramente che si tratta dello “scheletro di una delle mummie portate da Egitto dal Prof. Rosellini”. Credit della prof. Marilina Betrò

Lo scheletro, che ancora reca qualche traccia di tessuto mummificato e che manteneva un valore più scientifico che storico venne donato da Rosellini a Paolo Savi, all’epoca direttore dell’antico Museo di storia naturale, mentre il sarcofago privato del coperchio e delle sezioni della cassa che stavano marcendo, venne stivato nei magazzini del museo fiorentino.

Si tratta di un sarcofago antropoide nero (colore simbolo di rinascita in quanto ricordava il fertile limo) con testi ed immagini tracciate in giallo, soprattutto in foglia d’oro, tipologia utilizzata nella XVIII dinastia a partire dal regno di Thutmosis III e rimasto in voga fino agli inizi della XIX dinastia per le sepolture di personaggi di rango elevato.

Particolare del sarcofago di Kenamun

Fino a pochi anni fa nessuno si era reso conto che su di esso comparivano il nome di Kenamun, ed il titolo di “padre del dio”, che denotava lo straordinario favore del Faraone (in questo caso il dio), e che fu concesso all’occupante e a pochissimi altri nobili nel corso della XVIII dinastia.

Se la mummia fosse stata intatta, forse con i moderni metodi di indagine si sarebbe potuta determinare la causa della morte di Kenamun, ed aggiungere un tassello importante alla ricostruzione della sua storia; l’analisi del solo scheletro non ha evidenziato nessuna anomalia tale da giustificarne il decesso in così giovane età, per cui il mistero rimane.

Calci. L’antico monastero sede del museo di storia naturale, dove vennero rinvenuti i resti di Kenamun. Foto di Gabriele Geraci.

Dal 16 dicembre 2014, Kenamun e il suo sarcofago si trovano nelle Collezioni Egittologiche dell’Università di Pisa.

LA TOMBA DI KENAMUN

L’enorme sepoltura di Kenamun, individuata con la sigla TT93, sorge sulla cima delle colline di fronte a Luxor ed è riccamente decorata; pur essendo conosciuta fin dall’inizio del XIX secolo, tanto da essere stata visitata da Champollion, Rosellini, Wilkinson, Lepsius e Prisse d’Avennes (solo la prima parte, essendo il resto ingombro di detriti), fu esplorata e documentata solo alla fine degli anni ‘20 dal Metropolitan Museum di New York ed è tuttora oggetto di scavo e consolidamento ad opera di una missione congiunta brasiliana ed egiziana denominata BEMAC (Brazilian-Egyptian Mission for Archaeological Conservation), che deve ancora esplorare tutta la zona sotterranea, resa inaccessibile da un crollo e che sta riportando alla luce e restaurando poco alla volta i dipinti parietali e quel che è rimasto ancora intrappolato in una spessa coltre di fango depositatosi all’interno e diventato durissimo nel corso dei secoli.

L’ingresso della tomba di Kenamun ed uno dei due portici laterali incompiuto
La piantina della tomba; la parte in arancione è sotterranea e probabilmente di epoca successiva, ma ancora non indagata.

L’archeologo inglese Robert Mond, che per primo la esplorò ai primi del Novecento, non trovò traccia della camera sepolcrale: era possibile che fosse già stata trovata e saccheggiata, ma ipotizza autorevolmente la prof. Betrò che la morte prematura di Kenamun, il fatto che ci sono ampie zone della tomba non finite ed altre volutamente danneggiate inducono a ritenere che il nobile sia stato sepolto altrove o che ci sia rimasto poco tempo, e che il fastoso funerale rappresentato sulle pareti e progettato da Amenhotep II per il suo grande amico quando era ancora in vita non sia mai stato celebrato, almeno secondo quelle modalità.

I pescatori; il primo porta con sè il bottino della pesca, realizzata evidentemente infilzando la preda con le picche, il secondo ha in mano un fiore di loto

L’ultima dimora del giovane fu, probabilmente, una modesta tomba a pozzo priva di decorazioni rinvenuta nel 1828 dalle maestranze di Rosellini e Champollion, che nel frattempo si erano recati in Nubia, lasciando come responsabile degli scavi il lucchese Piccinini, al quale avevano ordinato di attendere il loro ritorno prima di aprire sepolture che fossero state trovate intatte.

Portatori di offerte: il primo a sinistra ha con sè l’arco di Kenamun nella sua sontuosa custodia , un bastone da lancio e la faretra con le frecce sulla spalla; il servo al centro porta i sandali , una picca ed un sacchetto; quello a destra due daghe

Così fu per una di esse; l’altra, invece, quella di Kenamun, la cui dislocazione esatta nè Piccinini né gli operai furono in grado di riferire, venne aperta e svuotata; all’interno si trovavano il modesto sarcofago (decorato con pittura gialla invece che con foglia d’oro o d’argento, usualmente utilizzata per i personaggi importanti), il prezioso carro smontato (probabilmente quello donato al fratello di latte dallo stesso Amenhotep II e di cui si fa menzione nella tomba originaria), un arco ed un numero imprecisato di altri oggetti (parte dei quali è probabile che i fellahin assunti per scavare avessero fatto sparire).

Scena palustre: in una macchia di papiri, molti dei quali ancora in bocciolo, si nascondono volatili di vario genere; un gruppo di anatre sta scappando in volo.

L’accesso alla tomba originariamente destinata al fratello di latte di Amenhotep II è situata in un ampio cortile, dotato su entrambi i lati da due portici, non finiti, scavati nella roccia.

Decorazione murale rappresentante una serie di pilastri djed, due felini e due occhi wadjet

L’ingresso, posto al centro del muro ovest, conduce ad una prima sala trasversale completamente decorata e divisa da una fila di dieci pilastri, che reca alle estremità due cappelle. Nella cappella nord si apre una scalinata che conduce ad una serie di stanze funerarie sotterranee, ritenute un’aggiunta di epoca posteriore dall’egittologa tedesca prof. Friederike Kampp-Seyfried.

Navigazione lungo il Nilo. L’uomo a destra è l’addetto al timone, mentre quello a sinistra con lo scandaglio valuta la profondità delle acque per evitare che il natante finisca in zone di secca.

Questa sala è collegata da un corridoio perpendicolare ad una seconda sala trasversale con due file da quattro colonne ciascuna, che reca oggi un’unica scena a sinistra della porta d’accesso, nella quale sono raffigurati due figli che fanno offerte al defunto ed alla madre.

Frammento di parete

La tomba di Kenamun è decorata secondo i canoni dell’epoca: egli è raffigurato nelle sue attività ufficiali ma soprattutto nella lussuosa vita privata, delineata con estrema vividezza e tipica di un giovane nobile, ricco e potente: la caccia nel deserto, la pesca nelle paludi, i banchetti, la casa con il giardino; non mancano le tradizionali immagini del defunto, talvolta con la moglie, che adora Osiride, Anubi, Amenhotep II, Maat e le dee dell’occidente, e mentre fa o riceve offerte, portate da processioni di servi.

Credo che si tratti di un elenco di offerte per il defunto

Quale ricordo del legame particolare intercorrente con il sovrano, vi compare la rappresentazione (già pubblicata nel precedente post) del piccolo Amenhotep in braccio alla sua nutrice, madre di Kenamun, il quale apre una processione di personaggi che portano doni preziosissimi, che vengono elencati ed illustrati: una coppa in oro, pietre preziose e smalti decorata con fiori, frutta e palme su cui si arrampicano scimmiette, “cocchi d’oro e d’argento, statue di avorio ed ebano, collane di pietre dure e preziose, e armi”, tutti rappresentati su vari registri.

Ballerine partecipanti al banchetto funebre: la prima e la seconda donna a sinistra, stanno battendo le mani e muovono i piedi.

Erano previste anche le raffigurazioni del funerale di Kenamun, progettato quando era ancora vivo, così come si deduce dai testi: Amenhotep II aveva disposto che statue raffiguranti l’amico venissero portate in processione nei templi e che le musiciste e cantrici del tempio di Amon accompagnassero le esequie battendo le mani, cantando e danzando. Non si sono conservate le scene in cui erano raffigurate le offerte funerarie, ma un’iscrizione cita “un cocchio che Sua Maestà diede in segno del suo favore”, e che è probabilmente quello oggi esposto a Firenze.

Questo rilievo in orgine rappresentava Amenhotep II in trono, sotto un baldacchino. Ai suoi piedi i rappresentanti delle popolazioni da lui sottomesse, ben riconoscibili dalle differenti caratteristiche somatiche e dal cartiglio recante il nome del loro territorio

FLORA E FAUNA

Gli Egizi vivevano in un ambiente naturale ricco di flora e soprattutto di fauna, ed essi amavano riprodurlo sugli oggetti e sulle pareti tombali, come contesto per rappresentare momenti della vita del defunto che assumevano anche un valore simbolico.

Nella tomba di Kenamun si trovano scene ambientate nelle paludi in riva al Nilo ed ai limiti del deserto, nelle quali sono dipinti gli animali che all’epoca popolavano quelle zone. Qui ho raccolti una serie di immagini alcune delle quali sono a mio avviso molto belle.

Un cucciolo di gazzella (?); della madre è sopravvissuto solo il corpo, al quale il piccolo si appoggia.
Cesti con prodotti vari e fiori di ninfea. Disegno copiato dall’originale e pubblicato nel libro sulla tomba di Norman de Garis Davies già citato in bibliografia
Un coniglio
Pesci del Nilo, riproduzione di Nina de Garis Davies, pubblicata nel libro del marito Norman de Garis Davies già citato in bibliografia
Una mandria di bovini. Si nota ancora la quadrettatura realizzata dall’autore per garantire le proporzioni dell’immagine
Uno stambecco con il suo piccolo
Una iena con il suo piccolo, del quale è rimasta solo la testa, con il pelo grigio e un occhione nero, visibile davanti al muso della madre
Un asino
Uno struzzo
Delle anatre: disegno copiato dall’originale e pubblicato da Norman de Garis Davies, nel testo sulla tomba già citato in bibliografia

FONTI ED IMMAGINI

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