C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XVIII Dinastia

THUTMOSI III – IL FARAONE GUERRIERO

Di Piero Cargnino

Hatshepsut è morta. Ma in lontananza già, rimbomba l’eco delle armi. L’ora di Thutmosi III è arrivata.

Dopo 22 anni di coreggenza con la matrigna, l’indole guerriera che quel ragazzo aveva saputo frenare, accettando di ricoprire un ruolo di secondo piano per un tempo così lungo, ora può esprimersi in tutta la sua potenza. Certamente la sua tacita sottomissione ad Hatshepsut era anche la naturale conseguenza del fatto che la regina godeva di un relativo appoggio del potente clero tebano di Amon. Il suo fu un ruolo di secondo piano che però seppe gestire con grande intelligenza ed abilità.

Durante tutto il periodo di coreggenza, all’ombra del faraone donna, cresceva un uomo scaltro ed abile. Thutmosi III si dedicò principalmente alle questioni militari gettando le basi delle operazioni che avrebbe poi condotto a termine negli anni seguenti. Il sovrano guerriero fu uno dei maggiori faraoni egizi, mise in atto e realizzò le tendenze imperialistiche alle quali i suoi predecessori già avevano mirato.

Fu un grande condottiero e stratega, non si contano le sue campagne militari che spaziano dalla Siria alla Nubia alla Palestina e su fino al fiume Eufrate. Il già citato scrittore ed egittologo Christian Jacq lo definisce il “Napoleone Egiziano”.

Molto prestante fisicamente, come viene rappresentato nelle iscrizioni pervenuteci, possedeva una straordinaria forza fisica che esprimeva scagliando con il suo arco una freccia che colpiva un bersaglio di metallo spesso un palmo e lo trapassava da parte a parte (!). Come ho più volte raccomandato la storia egizia, raccontata dai contemporanei, e non solo, va presa con le molle in quanto essa viene descritta in forma molto enfatizzata, spesso adulatoria e poco veritiera, (ma noi facciamo finta di niente).

La storia delle imprese di Thutmosi III però la possiamo solo apprendere, con il dovuto discernimento, dalle iscrizioni che sono giunte fino a noi, sulle pareti del deambulatorio del santuario di Amon a Karnak dove, seppure in parte danneggiate sono descritte le sue numerose campagne militari.

Altre informazioni sono reperibili sulla stele scoperta a Gebel Barkal antica Napata, e sulla stele di Armantis, 10 km a sud di Luxor.

Le spedizioni che videro partecipe Thutmosi III, dapprima in età giovanile, sicuramente come subalterno di qualche generale esperto, poi personalmente come condottiero, nell’area medio orientale, furono 14 (ma in realtà forse 18, avvenute sotto la coreggenza di Hatshepsut).

Salito al trono, Thutmosi III rivolse subito la sua attenzione all’area siro-palestinese teso a ripristinare la sovranità egizia imposta da Thutmosi I ai popoli di quel territorio che cercavano di liberarsi dal dominio egizio. La furia del re guerriero si abbatté dapprima su Megiddo e, poi più su dove avvenne una delle varie distruzioni di Kadesh. Un’altra spedizione portò Thutmosi III ancora verso la Palestina dove espugnò la città di Gaza, che si era da poco ribellata.

Una di queste campagne, lascia adito a molti dubbi circa il suo svolgimento, questo a causa della tendenza, già menzionata, degli egizi a  magnificare e ed esaltare oltre ogni limite il sovrano in carica. Questa fu l’ottava, la meglio documentata negli “Annali” (purtroppo mancanti di una parte consistente), dove l’esercito di Thutmosi III giunse all’Eufrate, lo oltrepassò per scontrarsi con i Mitanni, nome col quale venivano chiamati gli Urriti che avevano conquistato l’Anatolia e parte del nord della Siria sconfiggendo il regno di Hammurabi.

Altre campagne furono dedicate a pacificare la regione ed a combattere i beduini della penisola del Sinai che rendevano poco sicure le piste carovaniere. Thutmosi III però non era solo guerriero ma anche astuto, i territori dell’area siro-palestinese non vennero inglobati direttamente sotto il controllo della corona egizia ma lasciati al governo di una massa di piccoli principi locali tributari dell’Egitto. Questi principi dei paesi sconfitti venivano portati in ostaggio a Tebe presso il palazzo del faraone, qui venivano istruiti ed addestrati. Solo quando dimostravano di aver appreso e fatte proprie le usanze e tradizioni egizie, e dimostrato la loro fedeltà al faraone, venivano riportati nei loro paesi di origine dove avrebbero regnato come vassalli del sovrano delle Due Terre. La stessa strategia fu adottata dai romani 1500 anni più tardi.

L’errore, forse quello che con il tempo si rivelerà il più grande, fatto da Thutmosi III con l’intento forse di ottenere un sempre maggiore appoggio, fu quello di aumentare ancora di più il potere economico del clero  tebano di Amon a Karnak, al quale fece enormi donazioni delle prede di guerra, frutto delle numerose campagne militari, assegnando agli stessi tre regioni asiatiche. Questo fu l’errore politico più grave perché, come vedremo in seguito, sarà la causa principale della fine del Nuovo Regno.

Thutmosi III intraprese anche un’intensa attività nella costruzione di edifici e monumenti (e, come usanza, ne usurpò anche alcuni dei sovrani precedenti). Nel tempio di Karnak realizzò la sua opera forse più bella, la “Sala delle Feste” nella quale si trovano la “Sala degli antenati” ed il “Giardino Botanico”.

Questo consiste in un rilievo sulle pareti di una sala del tempio giubilare del faraone, dedicata al dio Amon, nel complesso templare di Karnak e raffigura particolari della fauna e della flora presenti in quel tempo nell’impero egizio. Sono inoltre raffigurati animali e piante che Thutmosi III aveva portato della Siria.

Sua “Grande Sposa Reale” fu Sanath che però morì giovane senza donargli eredi. Il suo posto fu preso dalla seconda moglie, Merira-Hatshepsut, (da non confondere con il faraone donna),  che sarà la madre di Amenhotep II oltre che della principessa Merytamon. Ebbe numerose altre mogli tra cui diverse principesse siriane.

Il suo regno durò ben 53 anni durante i quali celebrò per tre volte la festa Sed e cambiò diverse volte il complesso dei nomi e degli attributi reali, soprattutto il nome di Horo che divenne sempre più una manifestazione della sua potenza. Molti egittologi propendono per il fatto che durante gli ultimi anni di regno Thutmosi III si associò in coreggenza il figlio Amenhotep II. La durata della coreggenza col padre si può dedurre dal fatto che, secondo alcune iscrizioni, Amenhotep II venne incoronato due anni e quattro mesi prima della morte del padre. Thutmosi III fece costruire la sua tomba nella Valle dei Re che viene identificata con la sigla KV34 (King Valley 34).

LA TOMBA

Thutmosi III fece costruire la sua tomba nella Valle dei Re, un’area situata nei pressi di Waset, (l’antica Tebe). In egiziano “Ta-sekhet-ma’at” (il Grande Campo), ormai divenuta la necropoli reale per i sovrani del Nuovo Regno a partire dalla XVIII dinastia, lo rimarrà per oltre 500 anni, dal 1552 al 1069 a.C.

Il grande egittologo Howard Carter, a proposito della Valle ebbe a dire:

<< La Valle delle tombe dei re: basta il nome a evocare uno scenario romantico, e fra tutte le meraviglie d’Egitto non una, io credo, è capace di stimolare maggiormente la fantasia >>.

In una ripida parete a 30 metri dal suolo, nell’antico letto di una cascata, Thutmosi III scelse di costruire la sua dimora eterna.  Fu scoperta nel 1898 dall’Ispettore egiziano della Valle Hosni, (anche se in seguito la scoperta venne attribuita a Victor Loret, direttore del Service des Antiquités).

La tomba presenta la classica struttura delle tombe della XVIII dinastia. L’accesso alla stessa si presentava assai arduo vista l’altezza dal suolo, pochi ardimentosi erano in grado di raggiungerla, tra questi i soliti tombaroli che la raggiunsero penetrandovi all’interno per compiere le loro ruberie, purtroppo fecero anche considerevoli danni alle suppellettili funerarie e, forse, anche alla mummia. In tempi recenti è stata costruita una ripida scala che permette ai visitatori di raggiungere l’ingresso della tomba che viene identificata con la sigla KV34 (King Valley 34).

Quello che Victor Loret rinvenne al suo interno si rivelò di scarsa importanza e molto danneggiato. Piccole statue di Thutmosi III e di divinità lignee, alcuni pezzi di modelli di barche oltre a vasellame e ossa di babbuino e di un toro. Gli annessi alla camera funeraria si presentavano completamente svuotati. Come detto, l’accesso avviene tramite una scala che immette in un corridoio in pendenza, da qui si accede ad una camera di forma irregolare, non rifinita dalla quale, attraverso un’altra scala, si entra in un corridoio sempre in pendenza in fondo al quale si trova un pozzo di 5 x 4 metri profondo 6 metri superato il quale, e superata una parete costruita successivamente alla sepoltura, si presenta l’anticamera di forma irregolare con due pilastri centrali.

In un angolo della stessa parte un’altra scala per mezzo della quale si accede alla camera funeraria vera e propria di forma rettangolare. Al centro della camera si ergono anche qui due pilastri mentre sulle pareti più lunghe sono stati ricavati quattro piccoli annessi per contenere il corredo funerario. Interessante evidenziare un particolare che la rende unica nel suo genere, la camera funeraria presenta gli spigoli arrotondati che fanno pensare vagamente ad un cartiglio dove il sarcofago con la mummia sostituisce il nome del faraone che sarebbe in esso iscritto. Secondo lo studioso John Lewis Romer al momento della sepoltura la tomba non era ancora ultimata, cosa che sarebbe avvenuta in nove diverse fasi successive. Mentre le pareti dei corridoi non sono decorate, quelle delle stanze sono state intonacate e dipinte. Il soffitto del pozzo, come le pareti, si presenta decorato con stelle gialle su sfondo blu.

Le pareti dell’anticamera sono completamente ricoperte dai capitoli del Libro dell’Amduat con 765 figure di divinità su 741 riquadri. Anche le pareti della camera funeraria riportano i capitoli dell’Amduat a colori nero e rosso su sfondo giallino, la scrittura è lo ieratico.

I pilastri della camera funeraria sono decorati con le “Litanie di Ra”, un pilastro presenta su una faccia una scena che vede Thutmosi III che si allatta da un albero di sicomoro seguito da due mogli e dalle figlie.

Tutte le immagini sono diverse dal solito modo di rappresentare degli egiziani ma sono stilizzate. Secondo Romer si tratterebbe di bozzetti predisposti per una futura rifinitura a completamento che però non avvenne mai. I quattro piccoli annessi della camera funeraria non sono decorati. In uno di essi furono rinvenuti resti umani riferiti a sepolture abusive risalenti alla XXVI dinastia.

Il sarcofago di Thutmosi III, in quarzite rosa, si presentava danneggiato, vuoto con il coperchio spezzato, le pareti decorate in altorilievo con testi del Libro dell’Amduat.

Come già accennato in precedenza, la sua mummia, particolarmente danneggiata (la testa era staccata e le gambe spezzate), fu rinvenuta tempo prima, come molte altre, nella cachette di Deir el-Bahari (DB320) dove venne riposta per preservarla dai saccheggiatori. L’umana pietà dei sacerdoti che curarono la raccolta di oltre 50 mummie per riporle nella cachette, si rivelò ancor più umana, visto lo stato in cui trovarono la mummia di Thutmosi III, la ricomposero rifacendo le fasciature.

Così era finito il re guerriero, grande in vita ma dissacrato da morto. Io però preferisco alzare gli occhi al cielo e pensare che una di quei miliardi di stelle che brillano lassù, è quella di Thutmosi III.

KARNAK

A partire da Sesostri I della XII dinastia, che ne iniziò la costruzione, fino ad arrivare alla XXX dinastia, ogni Faraone andò a costruire nel grande complesso templare di Karnak, talvolta a nuovo altre volte usurpando le costruzioni esistenti spacciandole per sue o, peggio, abbattendo le esistenti per utilizzare il materiale per costruire la propria. Durante i 1600 anni della sua esistenza il tempio di Karnak ha subito un continuo sovrapporsi di strutture successive, ampliamenti, ristrutturazioni e rimaneggiamenti tali da presentarsi oggi come un enorme complesso templare che misura oltre 400 x 600 metri con una superficie complessiva di circa 250.000 metri quadri.

Anche Thutmosi III ha lasciato traccia del suo passaggio. Proprio di fronte al quarto pilone fece costruire un edificio sacro che era una delle sei stazioni intermedie nel quale era contenuta la “barca sacra di Amon” in occasione delle processioni che si effettuavano durante alcune feste alla presenza del sovrano.

Durante le processioni i sacerdoti prelevavano la barca sacra di Amon e la trasportavano a spalle depositando la stessa in tutte le cappelle che componevano le stazioni del tragitto. Nel tempo delle celebrazioni della “Bella Festa della Valle” la barca raggiungeva i templi della riva occidentale del Nilo. Durante la “Festa di Opet” veniva portata fino al tempio di Luxor. Le cappelle si presentavano spoglie perché troppo piccole per contenere eventuali statue o ex voto, si trovava solo un naos dove i sacerdoti portavano vasi per le purificazioni e le aspersioni di rito. Compito del faraone era quello di rompere i sigilli per l’ingresso alla cappella e, a celebrazione conclusa, sigillare nuovamente la porta.

La cappella in calcite per la Barca Sacra di Amon venne fatta costruire da Thutmosi III in occasione della sua festa giubilare. Il sacello verrà in seguito smantellato e riutilizzato come materiale di riempimento del III pilone. Grazie al ritrovamento, tra il 1914 e il 1954, dei vari resti sparsi un po’ ovunque nel complesso templare di Amon è stato possibile ricostruire la cappella. Nell’autunno 2016 grazie al lavoro del  “Centre Franco-Egyptien d’Etude des Temples de Karnak” (CFEETK) sono stati completati i lavori ed oggi la cappella ricostruita si trova presso l’Open Air Museum di Karnak, il museo all’aperto del famoso complesso templare di Luxor ed è ora aperta ai visitatori del Museo.

Altra costruzione di grande interesse di Thutmose III nel complesso templare di Karnak è il “Giardino botanico”, un grande rilievo dove è raffigurata la fauna e la flora presente all’epoca del massimo splendore dell’Egitto. Il rilievo copre la parete di una sala prossima al tempio giubilare di Thutmosi III nel recinto sacro di Amon, si tratta di un ciclo composto da scene pastorali della più raffinata arte egizia dove viene rappresentata una grande quantità animali rari e stupende specie botaniche che il faraone aveva riportato dalle sue campagne militari. Molte specie sono state ritenute talmente strane da essere oggetto di studi per appurare di cosa in effetti si tratta.

Ci si chiede quale fosse lo scopo di tali rappresentazioni, alcuni ipotizzano che si volesse indicare la potenza del dio Amon che, in quanto dio universale, il suo creato superava i confini della valle del Nilo per estendersi ovunque nel mondo.

Nel “Cortile del Medio Regno”, detto il “Tempio di Milioni di anni”, Thutmosi III si fece inoltre costruire lo “Akh-Menu” (luminoso di monumenti) altrimenti detto “Sala delle feste” che si svolgevano in occasione della ricorrenza del giubileo (Heb-Sed) del faraone, e altre feste tra cui la “Festa di Opet”.

Accanto alla Sala delle feste si trova la cosiddetta “Sala degli Antenati” dove in un grande fregio, che ornava la parete, compariva la “Lista regale di Karnak” voluta dal sovrano per legittimare, se ancora ce n’era bisogno, la sua regalità. Thutmosi III è raffigurato mentre porge offerte a 61 suoi antenati con i loro rispettivi nomi. Purtroppo la lista non è di grande aiuto agli egittologi in quanto non rispetta l’ordine cronologico. Le lastre delle pareti furono trafugate nel 1843 da Emile Prisse d’Avennes e attualmente sono conservate al Museo del Louvre.

ELLESJIA

Altra costruzione degna di nota è il Tempio rupestre di Ellesjia fatto scavare nella montagna  nubiana da Thutmosi III nell’area compresa tra la prima e la seconda cateratta del Nilo, a circa 225 chilometri a sud di Assuan presso Qasr Ibrim. Il tempio, il più antico tempio rupestre della Nubia, era dedicato a Horus di Miam, alla dea Satet ed alla stesso faraone. Non è un’impresa “faraonica” ma un semplice tempio rupestre, molto bello, anche se penso che molti non lo conoscano e soprattutto non sanno che si trova qui in Italia, ricostruito in originale al Museo Egizio di Torino.

La storia di questo sconosciuto tempio ha inizio negli anni ’60, in quel tempo il governo egiziano decise la costruzione della diga di Assuan, voluta dall’allora presidente egiziano Gamal Abdel Nasser. La diga avrebbe in seguito causato la formazione dell’attuale lago Nasser che si estende dalla parte meridionale dell’Egitto ed arriva fino al Sudan.

Il grande lago che si sarebbe formato avrebbe sommerso gran parte dei templi presenti nell’area interessata. L’Unesco organizzò un consorzio internazionale al quale parteciparono molte nazioni tra cui l’Italia che impiegò ingegneri, tecnici e operai italiani della Impregilo, vennero impiegati anche operai, cavatori di marmo, che arrivarono dalle montagne di Carrara. Grazie all’impegno di tutti si arrivò a tagliare, smontare, spostare e ricostruire più in alto i templi che ancora oggi i visitatori possono ammirare.

Nel 1965 l’allora Direttore del Museo Egizio di Torino, Silvio Curto, grazie all’ausilio di vari sostenitori e finanziatori, tra cui Gianbattista Farina (Pininfarina), l’Unione Industriale, la Cassa di Risparmio di Torino, il Collegio dei Costruttori, la ditta Martini e Rossi, la Società Reale Mutua di Assicurazioni, con la collaborazione dell’ing. Celeste Rinaldi e Vito Maragioglio, organizzò  una campagna per il salvataggio del sito di Ellesjia che sarebbe stato sommerso dalle acque del lago. Nell’anno successivo il monumento fu generosamente donato dall’Egitto all’Italia e venne assegnato al Museo Egizio di Torino. Subito si mossero, non senza incontrare varie difficoltà di carattere tecnico ma soprattutto burocratico finchè finalmente nel 1965 si giunse all’apertura del cantiere ed all’esecuzione del lavoro che venne eseguito con l’utilizzo di seghe a mano lavorando 24 ore su 24.

Gli operai tagliarono alla perfezione la roccia in 66 blocchi mediamente di un metro cubo e del peso di circa una tonnellata ciascuno  senza rovinare i rilievi. Caricati i blocchi sulle chiatte dopo soli cinque giorni il Nilo iniziò a salire e a sommergere l’intero sito. Finalmente dopo i vari trasporti via terra e via mare il carico arrivò a Torino il 24 aprile 1967. Allego alcune foto del Museo Egizio di Torino gentilmente fornitemi dall’amico Giacomo Franco Lovera per anni fotografo presso il Museo Egizio e, mi si permetta, del compianto Prof. Silvio Curto.

Per coloro che fossero interessati ad approfondire circa il tempio di Ellesjia rimando agli interessanti articoli scritti dall’amico Paolo Bondielli (Storico, studioso della Civiltà Egizia e del Vicino Oriente Antico) su “Mediterraneo Antico”, sito web  https://www.egittologia.net.  

LA PRESA DELLA CITTA’ DI JOPPA

Grazie al fatto che in età ramesside si diffuse tra gli scribi l’interesse per quello che fu la loro storia passata, molti di essi si dedicarono a ricopiare testi prodotti in epoche precedenti che poi venivano utilizzati come testi nelle scuole per scribi. << Si tratta di racconti vecchi di millenni, ma ancora piacevoli, che venivano di certo ricopiati nelle scuole, ma anche, mi piace pensarlo, raccontati dai genitori e dai nonni ai loro figli e ai loro nipoti >> (Alberto Elli.). Molti di questi papiri sono giunti fino a noi e sono conservati nei più famosi musei del mondo, spesso si tratta di vecchi papiri che venivano ricuperati nelle scuole per essere riutilizzati e si presentano scritti sulle due facciate.

Uno di questi è il famoso “Papiro Harris 500”, oggi conservato al British Museum (ct. 10060). Il papiro risale alla XIX-XX dinastia, 1292-1077 a.C. circa, ed in esso sono contenuti diversi racconti di epoche precedenti oltre a liriche d’amore e al “Canto dell’arpista dalla tomba del re Antef”; è lungo 142,5 cm. e alto 19,5 cm., una parte di esso è andata perduta. In uno di questi racconti si parla di una battaglia risalente al regno di Thutmosi III, “La presa della città di Joppa”. Forse una battaglia mai combattuta, scritta solo per esaltare la memoria del “Faraone guerriero”.

La stesura del papiro avvenne probabilmente all’epoca di Seti I o di Ramesse II e riproduce un precedente papiro risalente ad almeno 150 anni prima. L’epopea del faraone guerriero era diventata così leggendaria per i posteri dell’epoca ramesside da essere considerata materia letteraria.

All’epoca in cui venne trovato, come per molti altri papiri, venne considerato un racconto di fantasia il cui personaggio, il generale Djehuty, non trovava alcun riscontro nella realtà. Fu solo nel 1824 che Bernardino Drovetti trovò la tomba di Djehuty a Saqqara, la tomba era intatta ma poiché a quei tempi non si faceva molto caso a proteggere i ritrovamenti, dopo breve fu saccheggiata e depredata. Quando tempo dopo vennero effettuate ricerche si scoprì che il corredo era stato disperso in vari musei in tutto il mondo. Purtroppo la mancata integrità e l’assenza di parte di esso rese la sua valenza storica irrimediabilmente perduta.

Grazie al Papiro Harris, anche se in parte deteriorato, possiamo conoscere gli eventi che caratterizzarono una delle imprese militari di Thutmosi III. La storia parla di come il generale Djehuty riuscì a conquistare la città palestinese di Joppa, l’impresa, per come si svolse, pare precedere la vicenda del “cavallo di Troia” raccontata da Omero nell’Iliade.

Seguiamo ora il racconto con particolare riferimento al testo tradotto dall’originale in geroglifico dal prof. Alberto Elli sul sito di Mediterraneo Antico. La parte iniziale del racconto è purtroppo andata persa, risultano leggibili solo alcune parole.

<<…….20 mariana (dall’accadico mariannu, soldati siriani) ……come posti in cesti…….Djehuty là……le truppe del Faraone…….i loro visi……. >>.

Djehuty invita il principe di Joppa ad una festa nel suo accampamento fuori dalla città. La festa si protrae per oltre un’ora durante la quale gli invitati mangiano e bevono a sazietà,

<<……. ora, dopo un’ora essi erano ubriachi…….>>.

Astutamente il generale egiziano Djehuty propone al principe di Joppa di fargli visitare la sua città:

<<…….con mia moglie e i miei figli nella (?) tua propria città………>>, e chiede inoltre che vengano rifocillati i suoi cavalli: <<……….fa’ che i mariana facciano entrare i cavalli e che si dia loro del foraggio……..>>, il principe acconsente: <<……… si ricoverarono i cavalli e si diede loro del foraggio……..>>.

Il principe di Joppa chiede a Djehuty di mostrargli la grande mazza del re Menkheperra (Thurmosi III):

<<………come dura il Ka del re Menkheperra, essa è oggi in tuo possesso; (fa una cosa) bella (?) e portamela!……..>>. 

Djehuty fece portare la mazza e la mostrò al principe di Joppa, poi lo afferrò per la veste e stando ritto di fronte a lui disse: 

<< Ecco la mazza del re Menkheperra,  il leone selvaggio, figlio di Sekhmet, al quale Amon, suo padre, ha concesso la sua potenza……..>>,

sollevò la sua mano e colpì sulla tempia con la mazza il principe che cadde a terra. Quindi lo legò ad un piolo (“lo pose ai ceppi”), fermandogli i piedi con catene di rame. A questo punto mise in atto il suo piano che consisteva nell’introdurre di nascosto dentro le mura della città alcuni suoi soldati in modo che poi questi potessero aprire le porte al resto dell’esercito.

<<…….fece portare i duecento cesti che aveva fatto fare e vi fece entrare duecento soldati; si riempirono le loro braccia di corde e pioli e (poi) li si sigillò con un sigillo……>>.

Vennero radunati 500 (o 400), uomini  robusti per trasportare i 200 cesti e ad essi furono impartiti gli ordini su come agire:

<<……..quando entrerete nella città, aprirete ai vostri compagni, catturerete tutta la gente che è in città e la porrete immediatamente in catene!…….>>.

Venne quindi detto all’auriga del principe di Joppa di recarsi dalla moglie ad annunciare che il dio Sutekh, aveva battuto e catturato Djehuty con sua moglie e i suoi figli rendendoli schiavi. Riguardo ai 200 cesti essi rappresentavano la prima parte del tributo. Così l’auriga si recò in città dicendo: <<  Abbiamo catturato Djehuty! >>. Non appena gli uomini furono entrati in città scattò la trappola:

<< …….Vennero aperti i sigilli (delle porte) della città davanti ai soldati ed essi entrarono in città. (Poi) essi aprirono ai loro compagni e questi si impadronirono della città, dai giovani agli anziani, e li misero immediatamente in catene e ai pioli…….. >>.

Presa la città, prima di andare a dormire, Djehuty inviò un messaggero a Thutmosi III in Egitto dicendo:

<< ……..Che il tuo cuore sia felice! Amon, il tuo buon padre, ti ha consegnato il principe di Joppa, insieme con tutta la sua gente ed ugualmente la sua città. Fa’ venire degli uomini per portarli via come prigionieri, così che tu possa riempire la casa del padre tuo Amon-Ra, re degli dei, con schiavi e schiave……..>>.

Djehuty, che guidò le sue truppe nella conquista della città di Joppa ricevette numerose decorazioni da Thutmosi III tra cui un anello ed una coppa d’oro, oggi conservata al Museo del Louvre, Pertanto il racconto, anche se in tono leggendario, rivela un fondamento di realtà.

<<…….È venuto felicemente (alla fine), per ordine dello scriba dalle abili dita, lo scriba dell’esercito……..>>.

Il generale Djehuty però non è stato una figura immaginaria. Nell’inverno del 1824, Bernardino Drovetti trovò la sua tomba (TT11) completamente intatta a Saqqara. Drovetti dopo averla scoperta la lasciò senza studiarla così la maggior parte degli oggetti in essa contenuti vennero rubati e venduti a vari musei o collezioni private ed oggi sono dispersi senza più la possibilità di essere attribuiti con certezza alla tomba di Djehuty quando non portano il suo nome.

Di realmente attribuibile a Djehuty sono: un solido d’oro e una boccia d’argento custoditi al Louvre, quattro vasi canopi che si trovano a Firenze, lo scarabeo del cuore e un braccialetto d’oro che si trovano al Rijksmuseum di Amsterdam.

Nulla si sa del sarcofago e della mummia di Djehuty sebbene fossero brevemente menzionati da Drovetti.

Fonti e bibliografia:

  • Regine Schulz, Matthias Seidel, “Egitto: la terra dei faraoni”, Gribaudo/Konemann, 2004
  • Christian Jacq, “La Valle dei Re”, (traduzione di Elena Dal Pra), Mondadori, 1998
  • Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, White Star, 2004
  • Alessandro Roccati, “L’area tebana, Quaderni di Egittologia”, Aracne, 2005
  • Web, Storie di Storia.com, “Thutmosi III: il faraone successore di Hatshepsut”, Giampiero Lovelli, 2016
  • Tiziana Giuliani, “Completato il restauro della cappella della barca sacra di Thutmose III”, da Mediterraneo Antico, 2016
  • Paolo Bondielli, “Il Museo Egizio e il Tempio di Ellesija”, da Mediterraneo Antico, 2021
  • Gianpiero Lovelli, “Thutmose III : il faraone successore di Hatshepsut”, Storie di Storia, 2016
  • Edda Bresciani, L’Antico Egitto, De Agostini, Novara 2000
  • Franco Cimmino, Dizionario delle dinastie faraoniche, Bompiani, Milano 2003
  • Christian Jacq, L’Egitto dei grandi faraoni, Arnoldo Mondadori, Milano 1999
  • Gianpiero Lovelli, Rerum antiquarum et byzantiarum fragmenta, Libellula, Tricase 2016
  • Nicolas Grimal, Storia dell’Antico Egitto, Laterza, Bari 2007
  • Silvio Curto, “Il Tempio di Ellesjia”, Scala,
  • Mario Tosi, “Dizionario Enciclopedico delle Divinità dell’Antico Egitto” – Vol. II, Ananke
  • Alberto Elli, Testi di letteratura neo-egizia, “La presa di Joppa”, www.mediterraneoantico.it, 2017
  • Paolo Bondielli, “Il cavallo di Troia…..egizio!”, egittologia.net magazine – Bollettino n. 6, 2013
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 2008
  • Silvana Bonura, “Alla scoperta dei segreti dell’antico Egitto”, Newton & Compton editori, 2018
  • N. Reeves: “L’anello di Ashburnham e la sepoltura del generale Djehuty”,  Journal of Egyptian Archaeology, 1993)

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