C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XVIII Dinastia

LA REGINA AHMOSE NEFERTARI  (O AHMES NEFERTARI)

Di Piero Cargnino

Abbiamo parlato di Ahmose I, mi pare quindi doveroso a questo punto fare una breve digressione dal discorso principale per parlare di una delle donne più influenti della XVIII dinastia, la regina Ahmose Nefertari (o Ahmes Nefertari), la Grande Sposa Reale di Ahmose I, entrambi figli di Seqenenra Ta’o e della  Grande Sposa Reale Iahhotep (o Ahhotep I).

La coppia reale ebbe cinque  figli i cui nomi denunciano una scarsa fantasia da parte dei genitori, tre maschi: Ahmose Ankh, rappresentato con la madre su una stele trovata a Karnak, Ahmose Siamon la cui mummia è stata ritrovata nella cachette di Deir el-Bahari, Amenofi che succederà al padre sul trono, e due femmine: Ahmose Meritamon che sposerà il fraello  Amenofi I divenendo la “Grande Sposa Reale”, Ahmose Sitamon che verrà anche lei trovata nella cachette di Deir el-Bahari.

Non è certo se fossero anche figli di Ahmose I e di Ahmose Nefertari  il principe Ramose la cui statua si trova oggi al Museo di Liverpool e Mutnofret che andrà sposa a Thutmose I.

La regina Ahmes Nefertari poteva vantare numerosi titoli nobiliari: “Principessa ereditaria”, “Grande di Grazia”, “Grande di lodi”, “Madre del re”, “grande sposa reale”, “Sposa del dio”, “Unita alla Corona bianca”, “figlia del re”, “Sposa del dio”, “figlia del re” ed in seguito acquisì anche quello di “Dea di Resurrezione”. Tutti questi titoli davano alla regina un ruolo di primaria importanza nell’ambito della religione.

Quando nel suo diciottesimo (o ventiduesimo) anno di regno, Ahmose assunse anche la carica di “Secondo Profeta di Amon”, dotò la propria moglie  Ahmes Nefertari di terre, beni e amministratori che la seguivano; In un secondo tempo conferì la carica alla regina attribuendole anche il titolo di “Divina Sposa di Amon” e di “Divina Cantatrice di Amon”. Non si può certo dire che Ahmose I non amasse la moglie.

Con tutti quei titoli che poteva vantare  Ahmes Nefertari era divenuta la  responsabile di tutte le proprietà templari e dei relativi tesori, botteghe e amministrazioni. Creò le “Divine Spose di Amon” dotandole di un immenso patrimonio in terre, granai, scribi, artigiani, contadini compresi gli amministratori. Su di una stele dove si commemora l’investitura della regina a “Secondo Profeta di Amon” essa compare in compagnia del fratello suo e di suo marito, il principe Ahmose Sipair che però morì prima di salire al trono.

Alla morte di Ahmose I svolse il ruolo di reggente per il figlio Amenofi I, il suo nome compare su molti monumenti a Sais e a Tura. Quando si spense, un anno dopo il figlio Amenofi I (secondo alcuni cinque anni dopo), venne divinizzata e adorata a Tebe e a Deir el-Medina e fu oggetto di tributo speciale da parte degli operai che vivevano nel villaggio. Il culto della regina Ahmose Nefertari continuò fino all’inizio del I millennio a.C., basti pensare che la regina, chiamata “Signora del Cielo e dell’Occidente”, compare dipinta in oltre 50 tombe private e 80 monumenti. Venne, con ogni probabilità sepolta nella necropoli di Dra Abu el-Naga dove fu trovato anche un suo tempio funerario.

Forse anche la sua mummia venne inumata nella cachette di Deir el-Bahari dove nel 1881 fu trovata una mummia senza nome che non presentava particolari dettagli identificativi, questa venne attribuita ad Ahmose Nefertari anche se la sua identità è molto dibattuta. Nel 1885 l’egittologo Emile Brugsch la sbendò ma il fetore che emanava era tale per cui Brugsch la fece nuovamente inumare sotto il Museo del Cairo. Alcuni anni dopo venne esaminata dall’anatomista G. Elliot Smith, le cui conclusioni furono che si trattava di una donna sulla settantina, alta 1 metro e 61 centimetri, quasi calva e mancante di una mano, sicuramente asportata dai profanatori per recuperare gli anelli. Esaminata a fondo si può dire che, anche qualora non si tratti di Ahmose Nefertari, si tratta ugualmente di una nobildonna del suo periodo.

Fonti e bibliografia:

  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Laterza, Roma-Bari, 2005  
  • G. Elliot Smith, “The Royal Mummies, Duckworth Egyptology”, 1912 (ristampa 2000)
  • Giampiero Lovelli, “Ahmose I : il faraone che scacciò gli Hyksos dall’Egitto”, articolo da Storie di Storia, 2017
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani 2003
  • Kim Ryholt, “The Political Situation in Egypt during the Second Intermediate Period”, Copenhagen, Museum Tusculanum Press, 1997
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XVIII Dinastia

IL FARAONE AHMOSE E LA CACCIATA DEGLI HYKSOS

Di Piero Cargnino

Raggiunta la maggiore età, Ahmose sale al trono divenendo a tutti gli effetti il primo faraone della XVIII dinastia.

Pur essendo uno dei faraoni più importanti, di lui conosciamo ben poco e quello che conosciamo ci è pervenuto dalle iscrizioni presenti nelle tombe di due suoi soldati, probabilmente generali del suo esercito, Ahmes figlio di Abana e Ahmes Pennekhebet.

Intorno alla sua figura regna una certa confusione creata da Giuseppe Flavio il quale traducendo Manetone riferisce che a cacciare gli Hyksos fu un re di nome Misphragmuthosis salvo poi trasformarne il nome in Tethmosis inducendo erroneamente a pensare alla figura di Thutmose.

Manetone gli assegna 25 anni di regno che paiono confermati da un graffito rinvenuto nelle cave di Maasara che riporta il 22° anno di Ahmose.

Salito al trono, dopo la reggenza della madre, Ahmose riprese subito le ostilità e col suo esercito marciò su Avaris dove in luogo di Apophis ora governava il sovrano Hyksos Khamudi. Khamudi è l’unico sovrano della XV dinastia a comparire nel Canone Reale, alla riga 10 colonna 20, di lui sono noti anche due sigilli scarabei, entrambi provenienti da Gerico.

Un altro sigillo, forse proveniente da Byblos, porta un’incisione che parrebbe “Khamudi”. Di parere contrario Kim Ryholt secondo il quale l’incisione va letta “Kandy” riferito ad un re sconosciuto.

Dalle iscrizioni ritrovate nelle tombe sopra citate, si apprende che Ahmose si scagliò subito contro Menfi ed Eliopoli che riconquistò senza quasi combattere. Poi puntò a nord verso Avaris, qui non fu necessario porvi l’assedio in quanto gli occupanti si arresero senza che ci fossero combattimenti.

La presa di Avaris sarebbe avvenuta intorno all’undicesimo anno di regna di Khamudi (circa 1530 a.C.). Ma questo ad Ahmose non era sufficiente, il grave insulto all’onore e all’integrità dell’Egitto dovuto all’occupazione Hyksos bruciava troppo e l’unico modo per il completo riscatto, e per evitarne il ripetersi in futuro, richiedeva di estendere il controllo da parte dell’Egitto sugli asiatici del nord e dell’est.

Cacciati gli occupanti di Avaris, e “tutti” gli Hyksos presenti in Egitto, Ahmose passò il confine inseguendo le altre guarnigioni in rotta. (Ho scritto “tutti” tra virgolette, la ragione la vedremo in un momento successivo). Ultima roccaforte nella quale si rinchiusero gli Hyksos fu l’antica città di Sharuhen nel deserto del Negev. Dopo un assedio durato tre anni, l’esercito di Ahmose conquistò la città e la fece radere al suolo. L’intento di controllare l’area siro-palestinese per bloccare eventuali tentativi di nuove infiltrazioni da parte di genti semite, portò l’Egitto a scontri con i regni Mitanni ed Ittita.

Nella città di Avaris Ahmose fece costruire diversi palazzi la cui decorazione pittorica, ritrovata frammentata, si presenta stranamente eseguita con tecnica e colori  del tutto estranei alla tradizione egiziana, ricordano quelli del palazzo di Cnosso. Ma per completare l’opera occorreva anche dare una lezione ai nubiani che con gli Hyksos si erano alleati contro l’Egitto riconquistando la Nubia. Senza ulteriori indugi Ahmose si rivolse a sud ed in breve si riprese la Nubia.

La riunificazione dell’Egitto era ora completa ma per mantenerla sicura dovette ricorrere a sedare le ribellioni nel regno di Kush dove, in seguito a tre campagne militari, raggiunse l’isola di Sai, tra la seconda e la terza cateratta, delle quali assunse il controllo nominando un governatore con il titolo di “Figlio del re di Kush”, carica ricoperta da un principe reale. Pare inoltre che verso la fine del suo regno abbia inviato una spedizione punitiva anche in Fenicia.

Con Ahmose, il cui potere passa ora da “re-dio” a “re-generale”, si accentuò il contrasto interno con il clero il cui “Primo Profeta di Amon” aspirava ad assumere “de facto” il controllo dello Stato ma questo sarà un problema che vedremo in seguito.

Inizia con Ahmose I il Nuovo Regno che durerà circa 500 anni e comprenderà la dinastie dalla XVIII alla XX, secondo Manetone, e sarà il momento della massima espansione dell’influenza egizia tanto da indurre spesso a chiamarlo impero. Periodo nel quale assisteremo alla più grande riforma religiosa mai riscontrata in Egitto ad opera del faraone eretico Akhenaton, ma questa è storia che affronteremo in seguito.

Ahmose si fece edificare una “piramide” ad Abido, l’ho messa tra virgolette in quanto non si tratta di una vera piramide bensì di un cenotafio che, nonostante presenti un lato di circa 53 metri ed un’altezza, in origine, di circa 40 metri, è stata realizzata con sabbia e detriti litici poi ricoperti con pietra calcarea per renderla più stabile. Non contiene alcuna camera funeraria o corridoi a conferma della sua natura di semplice cenotafio. Oggi si presenta come una collina di detriti alta una decina di metri.

Il sarcofago di Ahmose, contenente la sua mummia, venne ritrovato nella famosa cachette di Deir el-Bahari dove fu nascosta con molte altre per preservarle dalle violazioni, oggi sono conservati al Museo di Luxor. L’esame della mummia ha rivelato che il sovrano deve essere deceduto fra i trenta ed i quaranta anni.

Come abbiamo detto sopra Ahmose cacciò gli Hyksos dall’Egitto, (tutti?), questo lo andremo a vedere nel seguito analizzando come l’evento viene trattato dagli studiosi cercando di districarci fra le numerose, e spesso contrastanti, ipotesi che in proposito sono state avanzate.

Fonti e bibliografia:

  • Gardiner Alan, “La civiltà egizia”, Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997   
  • Edda Brasciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini 2005
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke 2013
  • G. Elliot Smith, “The Royal Mummies, Duckworth Egyptology”, 1912 (ristampa 2000)
  • Giampiero Lovelli, “Ahmose I : il faraone che scacciò gli Hyksos dall’Egitto”, articolo da Storie di Storia, 2017
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori 1995
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani 2003
  • Kemet . La voce dell’Antico Egitto, “Gli Hyksos, il popolo invasore”, Web  2017
  • Kim Ryholt, “The Political Situation in Egypt during the Second Intermediate Period”, Copenhagen, Museum Tusculanum Press, 1997
Mai cosa simile fu fatta, Statue, Tutankhamon, XVIII Dinastia

TESTA DI TUTANKHAMON COME AMON

RIVENDICATA DALL’EGITTO E VENDUTA DA CHRISTIE’S

Di Luisa Bovitutti

La testa di Christie’s

Questa testa di quarzite scura alta circa 29 centimetri raffigurante Tutankhamon come Amon è stata venduta all’asta il 4 luglio 2019 da Christie’s nonostante le proteste dell’Egitto che ne chiedeva a gran voce la restituzione.

Il dott. Zahi Hawass, infatti, sosteneva che essa fosse stata trafugata negli anni Settanta dal Tempio di Karnak, ed il dott. Mustafa Waziri, Segretario Generale del Supreme Counseil of Antiquities, l’ente governativo responsabile della conservazione e della valorizzazione dei reperti e degli scavi archeologici in Egitto si era battuto per fermare la vendita fino a che non fosse stata controllata l’origine legittima della statua.

La Casa d’aste londinese evidentemente l’ha dimostrata.

Essa in origine era stata eretta in un non meglio identificato complesso templare dedicato ad Amon ed al momento della vendita apparteneva alla Resandro Collection, una delle collezioni private di arte egizia più famose al mondo; fu acquistata nel 1985 da Heinz Herzer, un antiquario di Monaco di Baviera, ed in precedenza apparteneva a Joseph Messina, un gallerista austriaco che l’aveva comprata nel 1974 dal principe Wilhelm von Thurn und Taxis che la custodiva nella sua collezione dal 1960.

I tratti del viso della scultura sono quelli tipici di Tutankhamon e della tarda arte amarniana: il viso tondo e preadolescenziale, gli occhi a mandorla, la depressione ricurva della cresta sopracciliare arrotondata, le labbra carnose e delicatamente scolpite.

Essi sono analoghi a quelli rappresentati nelle statue del giovane faraone che furono scolpite per il tempio di Karnak, probabilmente per ricordare la restaurazione degli antichi culti dopo la riforma di Akhenaton.

La statua di Karnak prima e dopo il restauro del CFEETK (Foto ©CFEETK/E. Saubestre). Essa è scolpita in arenaria rossastra e sorge all’altezza del sesto pilone, nella Sala degli Annali di Tuthmosis III e nei pressi dei due pilastri araldici di granito che un tempo sostenevano il tetto. Accanto ad essa sorge un’altra statua della dea Amaunet, commissionata da Tutankhamon, il cui nome fu poi scalpellato e sostituito da quello del suo successore Horemheb.

Si vedano a questo proposito la testa di Tutankhamon come Amon oggi custodita al MET di New York e le due statue del giovane sovrano come Amon: una di esse si trova ancora oggi al tempio di Karnak ed è stata restaurata nel 2021 dal Centre Franco – Egiptien d’Etude des Temples de Karnak (CFEETK), l’altra, scoperta nella cachette del tempio di Karnak nel 1904, è esposta al museo di Luxor.

La testa del MET di New York, in granodiorite
La statua in calcare del Museo di Luxor

FONTI del testo e delle immagini:

https://www.ilmattino.it/…/tukankhamon_asta_statua…

https://news.sky.com/…/tutankhamun-sculpture-sold-for-4…

https://www.metmuseum.org/art/collection/search/544691

https://www.ancient-egypt.co.uk/…/tutankhamun%20as…

https://www.thenotsoinnocentsabroad.com/blog/tag/seti+i

http://www.cfeetk.cnrs.fr/…/restauration-statue-amon…/ee

Mai cosa simile fu fatta, Sarcofagi, XVIII Dinastia

SARCOFAGI DI AHMES MERITAMON

Di Grazia Musso

PRIMO SARCOFAGO (ESTERNO)

Legno di cedro; lunghezza cm. 313,5, larghezza cm. 87
Deir el-Bahari, tomba rupestre ( TT 358)
Scavi del Servizio delle Antichità Egiziane e del Metropolitan Museum of Art 1929
Museo Egizio del Cairo – JE 53140

L’imponente sarcofago ligneo, che per la ricercatezza di forme ed eleganza stilistica può essere considerato un emblematico monumento scultoreo della XVIII Dinastia, appartenente alla regina Ahmes Meritamon, da alcuni identificata come la moglie di Amenhotep I, da altri come moglie di Amenhotep II.

La defunta, raffigurata con le braccia congiunte sul petto, presenta un volto dall’espressione ieratica, impreziosito da intarsi di pasta vitrea, e incorniciato da una sontuosa parrucca solcata da alveoli dipinti di blu

Al di sotto della collana, la superficie è ricoperta da un motivo geometrico inciso che avvolge il petto e le braccia, lasciando scoperte soltanto le mani, che impugnano due scettri papiroformi, emblema di giovinezza.

Il resto del sarcofago è decorato da lunghe piume incise nel legno, a imitazione delle ali della dea Iside, che proteggono il corpo della defunta.

Questo tipo di decorazione, convenzionalmente definita rishi , dalla parola araba che significa “piumato”, si diffuse a Tebe dal Secondo Periodo Intermedio.

Vedi anche: https://laciviltaegizia.org/…/inner-and-outer-coffin…/

Al centro del coperchio c’è una colonna di geroglifici, un tempo intarsiati di pasta vitrea, contenenti la formula di offerta a beneficio della regina.

Fonte: I tesori dell’antico Egitto nella collezione del museo Egizio del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star

SECONDO SARCOFAGO (INTERNO)

Un volto dai lineamenti delicati, incorniciato da un’ampia parrucca hathorica, ornata sulla fronte da un ureo con disco solare.

SI TROVA AL NMC

Fonte : Le regine dell’antico Egitto a cura di Rosanna Pirelli – Edizioni W Hite Star.

Mai cosa simile fu fatta, Sarcofagi, XVIII Dinastia

SARCOFAGO DI AHMES NEFERTARI

Di Grazia Musso

Legno e tela, lunghezza totale cm 378
Tebe Ovest, Cachette di Deir el-Bahari
Scoperta ufficiale del Servizio delle Antichità Egiziano 1881
Museo Egizio del Cairo – CG 61003

L’enorme sarcofago di Ahmes Nefertari fu rinvenuto nella tomba di Unhapy, consorte del sovrano Ahmes, che fu utilizzata nella XXI Dinastia come nascondiglio in cui porre al riparo dai saccheggi i sarcofagi di alcuni faraoni, membri della famiglia reale e alti sacerdoti.

Ahmad Pasha Kamal e l’enorme sarcofago della regina Ahmes-Nefertari,

Ahmes Nefertari, madre di Amenhotep I, fu la prima regina a ricoprire l’alta carica religiosa di Sposa Divina, diventando poi oggetto di culto nell’area tebana sino agli inizi del I millennio a. C..

Il suo sarcofago ligneo mummiforme era originariamente ricoperto di foglia d’oro, che fu asportato dai ladri già Nell’antichità e sostituita da una vernice color ocra nel corso del restauro effettuato al momento del trasferimento nel nascondiglio.

Il volto dai grandi occhi dipinti, è cinto da una massiccia parrucca sormontata da una corona svasata su cui svettano due alte piume.

La superficie della capigliatura è dell’elaborato copricapo è caratterizzata da alveoli incisi nel legno e campiti di stucco blu.

Un motivo analogo ricopre il busto della Defunta, che sembra cinto da uno stretto scialle scollato.

Le mani, incrociate sul petto, impugna o due grandi croci ankh, emblema di Vita, e i polsi sono cinto da alti bracciali strati, simili alla collana intorno al collo.

Sulla restante superficie del sarcofago sono rappresentate lunghe piume d’uccelo che evocano le ali della dea Iside, secondo una tradizione Tebans diffusa i nel Secondo Periodo Intermedio.

Una lunga colonna di geroglifici, incisa nella parte centrale del coperchio, contiene la consueta formula d’offerta hetep-di-nesut, con cui si invoca ano offerte per il ka di Ahmes Nefertari.

Fonte

I tesori dell’antico Egitto nella collezione del Museo Egizio del Cairo – Edizioni White Star

Gioielli, Mai cosa simile fu fatta, XVIII Dinastia

ORECCHINO dalla tomba di Horemheb

Di Grazia Musso

Oro e paste vitree, diametro cm. 3,9, peso 17,8 g
Saqqara, tomba di Horemheb
Scavi della spedizione anglo-olandese diretta da G. Martin 1977
Probabilmente regno di Akhenaton
Museo Egizio del Cairo – JE 97864

L’orecchino qui illustrato è stato trovato a Saqqara, nella tomba che il generale Horemheb si fece costruire prima di diventare faraone.

Il gioiello, d’oro massiccio, reca al centro un’immagine finemente cesellata di un sovrano sotto forma di sfinge con la corona azzurra ornata da ureo, la barba posticcia è un largo collare usekh.

Due bande circolari, decorate con un motivo a “V”, che alterna oro e pasta vitrea azzurra, conservata solo in parte, circondano la sfinge.

Sui bordi dell’orecchio sono applicati piccoli anelli granulati fra i quali originariamente erano inseriti elementi cilindrici in pasta vitrea ; probabilmente i cinque anelli inferiori sostenevano dei pendagli.

Sulla cima del gioiello è saldata una lamina d’oro a forma di collare-usekh.

L’orecchino veniva fissato facendo passare, attraverso il lobo forato, una piccola vite infilata in due anelli di cui uno solo si è conservato.

Il profilo della sfinge evoca l’effige di Akhenaton ed è probabile che il gioiello risalga al suo regno o ai primi anni del regno di Tutankhamon.

Fonte

I tesori dell’antico Egitto nella collezione del Museo Egizio del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star.

Mai cosa simile fu fatta, XVIII Dinastia

STELE E CAPPELLA DI MAIA

Di Grazia Musso

Nel 1906, appena intrapresi i lavori di scavo nella necropoli di Deir el-Medina, Schiaparelli portò alla luce un’importante monumento appartenuto a un pittore che visse all’interno del villaggio nella seconda metà della XVIII Dinastia.

Cappella: Pittura a Tempera su intonaco di gesso e fondo di paglia e fango. Misure interne: lunghezza 220 cm, larghezza 145 cm, altezza 181 cm.
S. 7886
Scavi di E. Schiaparelli a Deir el-Medina

Si tratta della cappella funeraria di Maia, il cui titolo completo era “scriba-disegnatore di Amon nella Sede della Verità”.

L’ambiente culturale, sormontato in origine da una piccola piramide di mattoni crudi, sorgeva sopra la tomba alla quale era collegato tramite un pozzo.

Le pareti della cappella sono realizzate in mattoni di fango fresco e paglia, successivamente coperte da Intonaco.

La pittura a Tempera è applicata a secco e i colori sono ottenuti da prodotti minerali e vegetali ( ocra per il rosso e il giallo, carbone per il nero, carbonato di calcio per il bianco, malachite per il blu e verde), mescolati con acqua ed un legante, la gomma d’acacia.

I dipinti di questa cappella, eccezionalmente conservati, anche se solo parzialmente, sono stati raccolti e trasportati in Italia dal restauratore Fabrizio Lucarini nel 1906

Egli riuscì a distaccare l’intonaco dipinto che copriva le pareti e la volta, usandola tecnica a “strappo”, che prevede l’incollaggio di tele sulla superficie dipinta per mantenerla insieme durante la rimozione.

Si usavano poi dei solventi per distaccare le tele dalla pittura.

Questo procedimento , anche se esige grande abilità, permette di non sezionare l’intonaco e di preservare al massimo il dipinto.

Le pareti, decorate con vivaci pitture, eseguite sulle pareti sono state eseguite, probabilmente, dallo stesso Maia.

La cappella di Maia e Tamit, presumibilmente contemporanei di Kha, è decorata da pitture articolate in tre registri, con il corteo funebre protetto da amuleti, il trasporto degli arredi funebri, il viaggio rituale.

Sulla parte in fondo della cappella si vedono i genitori di Maia; i riti funebri con l’incensi e le libagioni sono officiati da due dei figli di Maia.

Le scene si snodano su vari registri, che raffigurano Maia e la moglie, oltre a membri della loro famiglia, portatori di offerte, donne in lutto imbarcazioni rituali per il simbolico viaggio.

Le dimensioni della cappella sono simili a quelle della cappella di Kha.

Stele: Calcare stuccato è dipinto
Altezza cm. 67
C. 1579 – Co9 Dro3

La stele funeraria, che nel 1824 fu portata al Museo Egizio di Torino.

Nel registro superiore della stele la coppia è raffigurata con vesti bianche, nell’atto di lodare Osiride e Hathor, mentre nel registro inferiore i coniugi appaiono seduti davanti a una tavola per offerte mentre ricevono le vivande presentate dai loro nove figli, nominati uno per uno; il decimo figlio, più piccolo, è in puedi vicino alla sedia dei genitori.

Su di essa sono raffigurati Maia e la moglie mentre rendono omaggio agli dei Osiride e Hathor e mentre ricevono offerte da parte dei figli.

Fonte

Fotografie: Museo Egizio di Torino

Mai cosa simile fu fatta, XVIII Dinastia

STATUINA DI NEFERETMAU

Di Grazia Musso

Legno con tracce di doratura, Altezza cm. 20,5
Museo Egizio di Torino
Collezione Drovetti – C. 3107

L’arte Egizia ha prodotto una notevole quantità di opere raffiguranti i bambini, sia che essi fossero discendenti della casa reale, sia che appartenessero a semplici famiglie di artigiani.

I bambini sono stati effigiato in statue, rilievi e pitture dove mostrano spesso alcuni elementi stereotipati tipici dell’infanzia.

Una delle più raffinate immagini di questo tipo è costituita dalla statuina lignea di una bambina di nome Nefertmaau, proveniente dalla necropoli tebana.

La fanciulla accenna a un piccolo passo in avanti che sembra nascondere la timidezza e il pudore tipici della sua giovane età.

Il corpo, ben modellato nel legno, è impreziosito da alcune parti dorate e la piccola cintura intorno ai fianchi, che sottolinea il consueto ornamento delle bambine.

I corredi funerari femminili hanno restituito diversi esemplari di cinture, alcune delle quali provenienti da contesti principeschi e di raffinata fattura, usate per scopo puramente ornamentale.

Il modello indossato da Nefertmaau scende leggermente sulle natiche e doveva essere piuttosto semplice.

Una particolare attenzione è stata rivolta anche alla resa del volto e dell’acconciatura.

Gli occhi, dipinti di nero, conferiscono vivacità allo sguardo, mentre i capelli, parzialmente rasati sul retro, sono caratterizzati da una frangia a ciocche e dalla treccia laterale, tipico emblema dei bambini Egizi.

La statuina è fissata su una base su cui sono riportate due brevi trascrizioni contenenti il nome della madre e il nome di questa fanciulla ritratta da un anonimo artigiano che così l’ha resa immortale.

Fonte

I Grandi Musei – Il Museo Egizio di Torino -Electa

Foto: Museo Egizio di Torino

Mai cosa simile fu fatta, XVIII Dinastia

USHABTI DEL LUOGOTENENTE HAT

Di Grazia Musso

Calcare dipinto, altezza cm 20.2
Tuna el-Gebel, acquistato nel 1907
Museo Egizio del Cairo – JE 39590

Questo ushabti proviene da scavi clandestini effettuati nella necropoli di Tuna el- Gebel, sulla riva occidentale del Nilo, di fronte a Tell el-Amarna, dove probabilmente Hat, luogotenente delle truppe su carro, possedeva una tomba.

Il reperto è in calcare giallo e presenta segni di policromia; le labbra rosse, la parrucca che conserva tracce di blu, mentre gli occhi, le sopracciglia e gli angoli della bocca sono delineati in nero.

Le orecchie hanno i lobi forti, elemento tipico dell’iconografia amarniana.

La statuetta ha le braccia conserte e in ciascuna mano impugna una zappa, mentre un cesto pende oltre la spalla sinistra.

Gli ushabty con attrezzi agricoli come zappe, sacco, ceste appese alle estremità di un bilanciere compaiono proprio durante la XVIII Dinastia, ma nel periodo amarniano sono molto rari, soprattutto per i privati, poiché le pratiche e le credenze di ispirazione osiriana erano state abbandonate.

In alcuni casi, però, la religione tradizionale e quella atoniana convissero senza dicotomia, come dimostra la presenza, su questa statuetta, di un inno ad Aton accanto a brani del Capitolo 6 del Libro dei Morti, senza alcuna allusione però ai lavori nell’aldilà.

Sul corpo mummiforme di Hat sono iscritte 9 linee di testi contenenti una formula d’offerta ad Aton in favore del ka del defunto.

Fonte

I tesori dell’antico Egitto nella collezione del Museo del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star

Mai cosa simile fu fatta, XVIII Dinastia

USHABTI DI AMENHOTEP

Di Grazia Musso

Calcare dipinto, altezza cm 29
Tebe Ovest, Sheikh Abd El-Qurna
Scavi del Metropolitan Museum of Art 1936
Museo Egizio del Cairo – JE 66247

La statuina appartiene al defunto Amenhotep, come ricorda il geroglifico della colonna centrale.

Il testo della colonna di destra “da parte di suo fratello Senu, il quale fa vivere il suo nome” si ricollega al fatto che il culto funerario di Amenhotep era affidato alle mani del fratello, grazie al quale si sarebbe conservata la sua memoria dopo la morte.

L’ANALISI DELLE ISCRIZIONI A CURA DI LIVIO SECCO

Il corpo dell’ushabty, come simboleggia il colore bianco utilizzato, è completamente avvolto nelle bende di lino, da cui fuoriescono soltanto le mani incrociate sul petto.

La barba posticcia e la parrucca striata sono in azzurro, gli occhi, molto espressivi contornati sono di colore nero come le sopracciglia.

Fonte

I tesori dell’Antico Egitto nella collezione del Museo Egizio del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star