C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XVIII Dinastia

IL FARAONE AMENHOTEP  II  

Di Piero Cargnino

In realtà Amenhotep non avrebbe dovuto succedere al padre Thutmosi III in quanto era il figlio di una sposa minore, la principessa Merira Hatshepsut (da non confondere con la grande regina), il trono spettava di diritto al figlio della Grande Sposa Reale Satiah, Amenemhat, che però premorì al padre, così come la madre.

Suo educatore ed istruttore fu l’alto dignitario di nome Min, che tra i tanti riconoscimenti vantava anche il titolo di governatore di Tjeny (Thinis) e delle Oasi.

In un primo tempo Amenhotep ricoprì l’incarico di sovraintendente all’importazione del legname per i cantieri navali di Peru-Nefer. Venne in seguito associato in coreggenza dal padre rimanendovi per due anni e quattro mesi finché, alla morte di Thutmosi III, nel 1425 a.C., salì al trono come Amenhotep II.

Regnò per circa 26 anni attorniandosi di una corte sfarzosa e segnando un’epoca storica straordinariamente ricca grazie alle sue doti di buon amministratore del regno. Secondo le testimonianze che ci sono pervenute, Amenhotep II era pure un bell’uomo, ovunque la sua figura appare con maestosa imponenza, le fonti ci parlano di un faraone atletico, esperto arciere, il tiro con l’arco era importante per un sovrano che partecipava alla guerra (su questo esistono molte leggende), si racconta che Amenhotep II abbia dato molte  dimostrazioni pubbliche della sua abilità.

In un caso rappresentato in modo spettacolare, il faraone, guidando il suo carro alla massima velocità, avrebbe scagliato numerose frecce che colpirono quattro bersagli di rame distanti circa trentacinque piedi l’uno dall’altro attraversandoli completamente. Furono molte le altre dimostrazioni della sua abilità come arciere nell’intento di dimostrare al suo esercito la differenza tra un buon arco e un cattivo arco. L’iscrizione che riporta queste sue performance specifica che nessuno, tranne lui, era abbastanza forte da tirare il suo arco.

Fu anche un abile timoniere di battelli e guidatore di carri. Forse erano solo esagerazioni ma nessuno lo avrebbe contraddetto quando queste affermazioni fossero state incise nella pietra. Le sue imprese resero comunque portentoso anche il suo fisico tanto che la sua mummia sembra gigantesca se messa a confronto con le altre mummie reali.

In politica estera accentuò la spinta imperialistica del padre e lo volle dimostrare adottando lo stesso nome Horo, Ka-nekhet user pehet (Toro possente, grande nella forza). Cenni sulle imprese di  Amenhotep II si trovano nella “Stele della Sfinge” e su altre ad Amada, Karnak e Menfi.

Anch’egli grande guerriero, nei primi anni di regno intraprese alcune campagne militari in modo particolare in Asia nelle regioni della Siria e di Canaan; sedò pericolose rivolte interne portando l’Egitto a vivere un periodo di pace e benessere dal quale ne trassero profitto anche i suoi successori. Durante il suo terzo anno di regno si trovò a dover fronteggiare un attacco da parte dei Mitanni presso l’Oronte, in Siria. Fonti coeve riportano che la sua forza era tale per cui riuscì ad abbattere contemporaneamente sette nemici che poi fece esporre come trofei appesi alla prora della sua nave.

Agli inizi del suo settimo anno di regno dovette salire nuovamente in Siria, nello stato vassallo di Naharina, per sedare un’altra rivolta dei Mitanni, su di una stele ritrovata a Menfi viene riportata la sua vittoria senza però citare battaglie importanti. La stele riporta inoltre che il dominio egizio era riconosciuto dai re locali su quasi tutta la Siria e la Palestina. Fu ancora nel suo nono anno di regno che il faraone dovette tornare in Palestina per sedare una rivolta ma a quanto ci è dato a sapere non si spinse oltre il lago di Tiberiade. Come tutti i faraoni prima e dopo di lui Amenhotep II non lesinò nell’esagerare l’impresa, sarebbe tornato vittorioso con oltre 100.000 tra schiavi e prigionieri.

Nonostante queste affermazioni un po’ propagandistiche pare che l’Egitto e i Mitanni abbiano raggiunto una pace duratura. I testi antichi citano che da allora in Egitto  giunsero emissari dei re di Mitanni, degli Ittiti e di Babilonia portando tributi per il faraone. Va detto che dopo il nono anno di regno di Amenhotep II non si trovano più cenni su queste regioni, gli studiosi sono propensi a ritenere che il trionfalismo egizio, in questo caso, sia un po’ fuori luogo e che le guarnigioni poste da Thutmosi III nella zona di Naharina siano state ritirate.

Dopo alcune puntate a sud per ripristinare l’ordine anche a Napata e in Nubia, non si hanno più notizie di guerre ed a quanto pare l’Egitto visse in pace fino al regno di Akhenaton.

In questo periodo di pace Amenhotep II si concentrò sull’attività costruttiva dedicandosi al completamento dei templi iniziati dal padre oltre che a realizzarne di nuovi; fece costruire un porto a Peru-Nefer (Avaris) dove possedeva una residenza. Con Amenhotep II l’impero egizio raggiunse il più alto grado di prosperità, l’amministrazione dello stato era in abili mani e questo favorì anche i rapporti e gli scambi commerciali con i paesi confinanti, cosa che agevolava non poco la circolazione di persone, beni ed innovazioni.

Non meno importante fu l’influenza che questo cambiamento ebbe sull’arte, particolarmente sulla statuaria che si è conservata fino ad oggi (circa un centinaio di statue) nelle quali è possibile notare delle novità stilistiche rispetto ai canoni precedenti. Le statue lo riproducono con espressioni più serene, occhi grandi ed una particolare attenzione viene posta ad evidenziare il suo fisico possente, spalle larghe e muscoli evidenziati che esaltano la sua prestanza fisica della quale ne doveva essere assai fiero.

Come abbiamo detto Amenhotep II regnò circa 26 anni e morì intorno all’età di 44 anni. Il nome della sua “Grande Sposa Reale” non ci è pervenuto come neppure di quelle minori, secondo gli studiosi Amenhotep II, memore dell’importanza assunta dalla “divina sposa di Amon”, la regina Hatshepsut, scelse di ridimensionare il ruolo delle donne nell’ambito dalla casa reale, non solo ma, se come si ritiene, fu lui a rivestire il ruolo di fautore della “damnatio memoriae” della regina, se ne capiscono le ragioni. Si conosce solo il nome di una sua sposa secondaria, Tiaa, che fu la madre del suo successore, Thutmosi IV.

Alla sua morte, Amenhotep II, venne sepolto nella tomba (KV35) che Victor Loret scoprirà nel marzo 1898  nella Valle dei Re. Come già fatto in precedenza per la tomba di Thutmosi III (KV34), correttamente Loret documentò meticolosamente ogni ritrovamento nel suo diario di scavo.

La tomba rispecchia la classica architettura delle tombe della XVIII dinastia. (Seguite la cartina nella figura sopra), l’ingresso avviene tramite una scala (a) che porta ad un corridoio in pendenza (b), segue una seconda scala (c) ed un nuovo corridoio (d) attraverso il quale si raggiunge un pozzo verticale (e), in fondo al pozzo si trova una camera (e1), al suo interno si trovava un corpo femminile forse quello della regina Meryet-Ra Hatshepsut.

Non è chiara la funzione del pozzo, che peraltro lo si trova in molte altre tombe, alcuni egittologi suggeriscono che questi pozzi svolgessero una doppia funzione, la prima, pratica, era quella di raccogliere l’acqua delle piogge evitando così che allagasse la camera del sarcofago, la seconda avrebbe avuto una funzione rituale evocando il mondo sotterraneo e la tomba di Osiride.

In un vano adiacente al pozzo Victor Loret rinvenne due crani e resti di ossa che, in relazione alla primitiva destinazione della tomba ritenne di attribuire alla madre di Amenhotep II, la regina Meryet-Ra Hatshepsut moglie di Thutmose III, e a Ubensenu, figlio dello stesso Amenhotep II. Oltre il pozzo si entra nell’anticamera, una sala con due pilastri centrali del tutto priva di decorazioni (f), sul fondo della stanza, sopra una barca poggiata contro la parete si trovava un corpo con il petto squarciato e un grande foro sul cranio. In seguito Loret appurò che il corpo apparteneva al faraone Sethnakht ed il suo sarcofago si trovava in quella che egli chiamò la n. 4.

Da qui si scende una scala e dopo un breve corridoio (g) si entra nella camera funeraria (h) rettangolare sostenuta da sei pilastri, la camera si presenta su due livelli; il soffitto della camera è colorato di blu con stelle a cinque punte di colore giallo a simboleggiare la volta celeste. Ai lati della camera si trovano quattro locali (che vedremo più sotto).

All’interno della camera sepolcrale, nel livello inferiore si trova il sarcofago di Amenhotep II in quarzite gialla dipinta di rosso che conteneva ancora la mummia del faraone intatta con attorno al collo una ghirlanda di mimosa (fu il primo re egizio scoperto all’interno della sua tomba). Si è potuto accertare con sicurezza che si trattava realmente della mummia di Amenhotep II grazie ad una semplice annotazione con il suo nome iscritta sul sarcofago in cartonnage che la conteneva.

Victor Loret decise di lasciare la mummia dove l’aveva trovata ma la sua umana pietà non fu ricompensata. Nel 1902 la tomba venne trovata dalla famiglia di Abd el-Rasoul, tombaroli di professione, che la violarono depredando tutto ciò che gli riuscì prima di essere scoperti, purtroppo con l’intento di rubare gioielli e amuleti nascosti tra le bende, causarono parecchi danni ai bendaggi della mummia, in modo particolare alle gambe dove, in seguito Gaston Maspero, Direttore del Service des Antiquites, trovò l’impronta dei gioielli e amuleti rubati sulla resina che ricopriva il corpo. Venne quindi deciso di trasferire la mummia al Museo del Cairo.

Il sarcofago si presenta come quello di Thutmosi III, alle due estremità sono raffigurate le dee Iside e Nefti mentre sui lati compaiono due occhi udjat con Anubi in forma umana e testa di sciacallo, ed i quattro figli di Horo, che garantivano la protezione del defunto, sul coperchio è rappresentata la dea del cielo Nut.

I sei pilastri della camera funeraria sono decorati con fregi kheker che incorniciano il faraone mentre compie riti davanti a vari dei tra i quali Osiride, Anubi e Horus. Le pareti della camera funeraria, che non presenta più la forma di un cartiglio, sono decorate non in rilievo ma solo dipinte con alcuni testi dell’Amduat in ieratico, le scritte sono in verticale e le illustrazioni sono in forma stilizzata.

All’interno dell’anticamera vennero rinvenuti numerosi oggetti del corredo funerario di cui la maggior parte era rotta o spezzata a causa del vandalismo dei ladri, numerose erano le statue di legno di cui una, che raffigurava il sovrano, presentava un piccolo scomparto contenente un papiro con testi del Libro delle Caverne. Tra le varie cose vi era un contenitore di ushabty ed i resti di un letto funerario del tutto simile a quelli che verranno rinvenuti parecchi anni dopo nella tomba di Tutankhamon. Loret rinvenne anche alcuni modelli di barche di legno che avrebbero permesso al faraone il suo viaggio nell’Aldilà, trovò inoltre numerosi frammenti di mobilio funerario, modelli di barche e navi, vasi in faience e vetro, altri vasi a forma di ankh ed alcuni vasetti porta cosmetici. Ancorché ripetutamente depredata fin dall’antichità, vennero trovati, sparsi per tutta la tomba, oltre 2000 oggetti o parti di essi.

Come abbiamo detto sopra, ai lati della camera funeraria si trovavano quattro locali, due su ciascuna delle pareti più lunghe (h1, h2. h3. h4), uno di essi si presentava parzialmente murato e sul muro era stata incisa una data, “anno tredicesimo” riferito ad un probabile sovrano sepolto in seguito, secondo alcuni si tratterebbe del faraone Smendes della XXI dinastia. Furono proprio questi locali che fecero della KV35 una delle più importanti della Valle dei Re. Ciò che apparve al di la del muro che chiudeva il locale h2 lasciò esterefatti Loret ed i suoi collaboratori. Apparve subito evidente che la KV35 era stata utilizzata come deposito per le mummie reali per salvarle dai profanatori ladri di tombe, stessa cosa come per la cachette di Deir el-Bahari (DB320).

All’interno del deposito h2 erano state sistemate le mummie reali di otto faraoni e di una regina. Contenuti in sarcofagi di fortuna, molto danneggiati, si trovavano i corpi accuratamente ribendati di: Thutmosi IV, Amenhotep III, Sethy II, Merenptah, Siptah, Ramses IV, Ramses V, Ramses VI oltre ad un corpo di donna che venne identificato come appartenente alla regina Tausert.

L’identificazione delle mummie con i suddetti sovrani è un po’ arbitraria a causa della poca affidabilità delle etichette in legno appese ad alcune mummie ed al fatto che, nonostante sui sarcofagi molto malridotti comparissero dei nomi, manca la certezza che sarcofago e mummia coincidano, un esempio, quella che è stata catalogata come la mummia di Amenhotep III si trovava nel sarcofago intestato a Ramses III ma il coperchio era quello di Sethy II. Va inoltre considerato che le mummie sono state accuratamente ribendate ma utilizzando bende di recupero che recavano intestazioni di personaggi diversi.

Nel locale h1 si trovavano tre corpi sbendati, uno di un bambino di circa 9-11 anni con il capo raso e la classica treccia di capelli neri che pendeva sulla tempia destra, il secondo era un corpo femminile, parzialmente coperto da uno spesso velo e con lunghi capelli neri,  gli venne assegnato il nome di Elder Lady per distinguerla dal terzo corpo che fu chiamato Younger Lady in quanto apparteneva ad una donna più giovane il cui volto era completamente sfigurato. Tutti e tre i corpi presentavano un foro sul cranio ed il petto sfondato. Infine nel locale h3 si trovavano i resti molto malridotti di un corpo femminile ed uno maschile  completamente sbendati.

Fonti e bibliografia:

  • Mauro Reali, “Amenofi II, chi era costui? Un grande!”, La Ricerca, Loescher Editore, 2017
  • Christian Jacq, “La Valle dei Re”, trad. di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
  • Alberto Sillotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
  • Erik Hornung, “La Valle dei Re”, trad. di Umberto Gandinidi, Torino, Einaudi, 2004
  • Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
  • Edda Bresciani, “L’Antico Egitto”, De Agostini, Novara 2000
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Christian Jacq, “L’Egitto dei grandi faraoni”, Arnoldo Mondadori, Milano 1999
  • Mario Tosi, “Dizionario Enciclopedico delle Divinità dell’Antico Egitto” – Vol. II, Ananke, 2005
  • Nicolas Grimal, Storia dell’Antico Egitto, Laterza, Bari 2007 Tiziana Giuliani, “Amenhotep II: una scoperta straordinaria”, Mediterraneo Antico, 2018

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