Di Piero Cargnino

Menkheperura Thutmosi IV, era il figlio di una sposa secondaria, o concubina, di Amenhotep II, Tiaa. Alla sua ascesa al trono, forse per sottolinearne maggiormente il diritto (anche se non era il caso), onorerà la propria madre assegnandogli il titolo di “Grande Sposa Reale” e “Sposa del Dio”.

Si pensa che abbia regnato per una decina di anni, Manetone, questa volta degno di fede, gli assegna nove anni e 8 mesi di regno. Al contrario del padre Amenhotep II, le sue vicende coniugali ci sono note, ebbe due “Grandi Spose Reali”, Nefertari e la propria sorella Iaret. Sarà il destino ma anche il suo successore, Amenhotep III fu figlio di una sposa inizialmente secondaria, Mutemuia, principessa Mitanni figlia del re Artatama I, assurta poi a grandi onori quando suo figlio, Amenhotep III “Il Magnifico” divenne faraone, sarà quindi la nonna di Akhenaton e (forse) bisnonna di Tutankhamon (?). Il suo nome significa “Mut è nella barca divina”.

Per quanto riguarda le imprese militari di Thutmosi IV sappiamo solo di alcune spedizioni atte a sedare le continue insurrezioni in Siria alimentate dagli irrequieti Ittiti che premevano sempre più su quel fronte. Pare che il suo regno sia stato abbastanza tranquillo anche perché scarseggiano le notizie storiche degne di nota, sappiamo di una breve campagna di Thutmosi IV, nel suo ottavo anno di regno, per sedare una rivolta in Nubia.

Questo periodo di relativa pace favorì lo sviluppo di un’intensa attività di costruzione ed abbellimento delle tombe da parte delle figure più eminenti della corte, le cui tombe, dette “Tombe dei Nobili”, abbondano di splendide pitture. Non va dimenticato che si usa comprendere nella categoria dei “Nobili” anche le tombe delle necropoli degli operai, in particolare quella di Deir el-Medina, dove le maestranze che realizzavano le sepolture reali, non peccavano certo di modestia nel costruirsi le loro tombe.

Uno di questi era Kenamun, allattato dalla stessa balia che aveva nutrito il faraone Amenofi II, da lui nominato amministratore del cantiere navale di Peru-nufe, era un personaggio molto influente a corte, anche se poi cadde probabilmente in disgrazia, come dimostra l’avvenuta distruzione nella sua tomba, del suo nome e della sua figura. Mi scuso per la breve divagazione su questo personaggio ma penso sia interessante seguirne la storia. Nella sua tomba, ricca di decorazioni sono rappresentati i beni più belli, prodotti nel suo laboratorio, che offriva ogni anno al faraone, statue, vasi, scudi, cocchi e mobili disegnati con grande raffinatezza. Nelle iscrizioni si parla del “cocchio che Sua Maestà gli diede come segno del suo favore”, Kenamun lo volle portare con se nella vita eterna.

La spedizione di Champollion e Ippolito Rossellini, giovane professore pisano, del 1828, che oltre a riportare in patria disegni e riproduzioni di testi geroglifici, portò anche un “bottino” di settentasei casse di reperti tra i quali si trovava, smontato il cocchio di Kenamun che oggi è possibile ammirare nelle sale del Museo Egizio di Firenze. Anche la storia della mummia di Kenamun è piena di fascino e mistero, giunta in Toscana nel 1829 sparì e non venne più ritrovata finché nel 2013, inspiegabilmente ed in modo del tutto casuale venne rinvenuta nel Museo di Storia Naturale di Calci, (piccolo comune in provincia di Pisa) sotto le spoglie di uno scheletro.

In quanto anche Thutmosi IV era figlio di una sposa secondaria, come fu poi consuetudine per i faraoni del Nuovo Regno, ritenne che fosse necessario legittimare la sua successione al padre ed a tal fine fece in modo che a confermarne la successione fossero addirittura gli dei. Fece scolpire un grande stele dove è riportato un suo sogno che avrebbe fatto da ragazzo. Si tratta della famosa “Stele del Sogno” risalente al suo primo anno di regno, una stele alta 114 cm., alta 40 cm e spessa 70 cm. che ancora oggi troneggia tra le zampe della Sfinge.

Nella scena riportata nella lunetta superiore è rappresentato il faraone intento a portare offerte alla Grande Sfinge. E qui, a mio parere si trova un enigma affrontato da pochi studiosi (ho fatto fatica a trovare fonti spesso giudicate fasulle), nella scena il faraone si trova di fronte alla Sfinge che volge la schiena ad un’altra Sfinge di fronte alla quale è rappresentato un altro (o lui stesso) sempre officiante. Perché le sfingi sono due? Forse alle spalle della Grande Sfinge ce n’era una seconda oggi distrutta o ancora sepolta?

Non voglio attirarmi le ire degli egittologi quindi proseguiamo con la stele. Su di essa Thutmosi IV racconta che quando era ancora giovinetto si trovava a caccia nei pressi della Grande Sfinge, ad un certo punto, preso dal sonno si coricò sotto la testa della Sfinge per fare un sonnellino ristoratore. Va precisato che in quel periodo la Sfinge si trovava quasi interamente sommersa dalla sabbia fino al collo. In sogno gli apparve Harmachis, il dio solare impersonante la sovranità, il dio della Sfinge il quale promise a Thutmosi il trono delle Due Terre se avesse fatto liberare il corpo della statua dalle sabbie che la ricoprivano. Nel testo della stele il dio “Harmachis-Khepri-Ra- Atum” afferma:
<<…….Guardami figlio mio, Tuthmosi; sono io tuo padre Harmakis-Khepri-Ra-Atum. Io ti assegnerò la mia regalità sulla terra dei viventi: tu porterai la Corona bianca e la Corona rossa sul trono di Geb……….>>.
Sicuramente Thutmosi IV fece liberare la Sfinge dalla sabbia e, guarda caso, si ritrovò faraone.
LA TOMBA KV43
Ma Thutmosi IV non si limitò a dissotterrare la Sfinge dalla sabbia, volle dimostrare che proprio ad Harmachis (la Sfinge) doveva il suo diritto a regnare, fece inoltre costruire un muro perimetrale per difenderla dall’insabbiamento che l’aveva frequentemente colpita, così da ridurne gli effetti.

Tra le notevoli opere edilizie di questo faraone ricordiamo il grande obelisco, di Thutmosi III, che giaceva incompiuto da quarantadue anni, lo fece innalzare a Karnak, con i suoi 32,18 metri di altezza era l’obelisco monolitico più alto del mondo (anticipo subito gli oppositori, il più alto sarebbe stato quello incompiuto che si trova ancora ad Assuan fatto costruire dalla regina Hatshepsut o dallo stesso Thutmosi III). Oggi l’obelisco non è più in Egitto, i romani, come molti altri obelischi se lo portarono a Roma per volere dell’imperatore Costanzo II nel 357 d.C., dove venne eretto nell’area del Circo Massimo, oggi fa bella mostra di se in Piazza San Giovanni in Laterano dove fu fatto innalzare nel 1588 per volere del Papa Sisto V.

Dicevamo che l’attività edilizia di Thutmosi IV sia stata assai notevole, molti sono i monumenti da esso fatti costruire, tre di questi risalgono al suo primo anno di regno, uno al quarto, forse uno al quinto, uno al sesto, due al settimo e uno all’ottavo. Per altri due monumenti, da alcuni datati al diciannovesimo e ventesimo anno di regno, non è stata accettata tale datazione. La ragione è che secondo una più corretta lettura dei nomi riportati si evince che si riferiscano a Menkheperre (Thutmosi III) e non a Menkheperure (Thutmosi IV).
Sempre a Karnak Thutmosi IV fece costruire una cappella di alabastro con sala peristilio destinata alle persone “che non avevano diritto di accesso al tempio principale di Karnak”, era il “Luogo dell’orecchio” per il dio Amon, dove il dio poteva ascoltare le preghiere del popolo. La cappella, ricostruita dalla missione francese Centre Franco-Egyptien D’etude des Temple de Karnak è oggi inserita nel Museo all’aperto di Karnak.


E’ importante tenere in considerazione, per quando parleremo dei successivi faraoni Amenhotep III e. soprattutto Amenhotep IV (Akhenaton), il fatto che già con Thutmosi IV prendono corpo idee e proposte religiose dal contenuto spirituale e sociale profondamente innovativo che si ripercuotono anche sul piano estetico la cui realizzazione si verificherà sotto il regno del faraone Akhenaton.
Aton, ovvero il “disco solare”, quasi sicuramente una speculazione teologica dei sacerdoti di Eliopoli che rivaleggiavano con quelli di Tebe, adoratori principalmente del dio Amon, era considerato come una manifestazione visibile del dio Ra-Horakhti (Ra che è Horus dei due Orizzonti). Il suo culto entrò nell’uso comune già durante il regno di Thutmosi IV (nonno di Akhenaton) condizionato in ciò dalla presunta visione in sogno di Ra-Horemakhet (Harmakis) che gli chiese di dissotterrare la Sfinge dalla sabbia. Forse il faraone rimase colpito dal fatto che proprio Harmakis gli si fosse presentato, o forse per contrastare il grande potere che aveva assunto il clero di Amon, nella famiglia reale si iniziò a dedicare maggiore attenzione al culto del dio Aton.

Su di uno scarabeo, risalente al regno di Thutmose IV, Aton viene rappresentato come divinità distinta mentre conduce il faraone alla vittoria in battaglia. Il culto di Aton si affermerà poi in seguito con il faraone Amenhotep IV (Akenhaton).
Thutmosi IV non visse a lungo, l’anatomista Grafton Elliot Smith, che per primo esaminò il corpo, dedusse che il sovrano morì intorno ai 25-28 anni; il corpo si presentava lungo un metro e 64 centimetri ma l’evidenza che i piedi furono rotti post mortem, fa ovviamente pensare che il sovrano fosse in realtà più alto. Le analisi effettuate hanno permesso di stabilire che il faraone non godeva di ottima salute inoltre presentava un logoramento fisico che si dovette manifestare nei mesi precedenti la sua morte.

La mummia si presentava con gli avanbracci incrociati sul petto, destro sopra sinistro, portava i capelli di colore bruno scuro lunghi circa 16 cm ed aveva i lobi delle orecchie forati. Elliot Smith rilevò un particolare curioso, la testa di Thutmosi IV si presentava con una leggera connotazione femminile ed una forte somiglianza con Amenhotep II. Recenti studi comparativi, eseguiti da un chirurgo dell’Imperial College di Londra, hanno permesso di stabilire che Thutmose IV, e come lui altri faraoni della XVIII dinastia morti prematuramente, soffrivano con molta probabilità di un tipo di epilessia del lobo temporale in via ereditaria presente nella famiglia reale.
Alla sua morte fu sepolto nella Valle dei Re nella tomba KV43, ma come per molti altri faraoni, la sua mummia venne in seguito traslata nella tomba di Amenhotep II KV35 durante la XXI dinastia perché ritenuta più sicura dalle predazioni, qui venne rinvenuta da Victor Loret nel 1898. La tomba KV43, scoperta da Howard Carter nel 1903 presenta la struttura tipica delle tombe della XVIII dinastia. (seguire la planimetria della tomba).

L’ingresso presenta una scalinata (A) molto ripida che immette in un corridoio (B), anch’esso ripido in fondo al quale seguono una seconda scala (C) ed un secondo corridoio (D), parimenti inclinati. Il corridoio termina in un pozzo verticale (E) profondo più di 5 metri, dal fondo del pozzo si accede ad una camera (Ea) che sconfina in parte al di sotto di una camera (F) con due pilastri.
Stranamente le pareti del pozzo sono decorate con scene dove alcune divinità porgono al faraone l’ankh, il segno della vita mentre il soffitto è blu ricoperto di stelle. L’accesso alla camera successiva era murato con decorazioni. Alcuni studiosi pensano che il tutto starebbe ad indicare la volontà di ingannare i profanatori, cosa che però si rivelò priva di effetto. Dall’interno della camera con due pilastri (F) una scala conduce ad un corridoio (G) al termine del quale una seconda scala (H) conduce ad una piccola anticamera (I) e, dopo un breve corridoio, si entra nella camera funeraria (J) sostenuta da sei pilastri. Anche questa è conformata su due livelli, dopo gli ultimi due pilastri una breve scaletta porta al livello inferiore dove si trova il magnifico sarcofago in granito rosso di Thutmose IV.

Anche qui si aprono sui due lati più lunghi quattro annessi per il corredo funerario, due erano chiusi con porte di legno che furono asportate con gran parte degli oggetti di valore. La camera non presenta alcuna decorazione salvo un fregio Khekeru, due piccole nicchie fanno supporre che avrebbero dovuto contenere i “mattoni magici” necessari alla protezione del defunto. Un testo in ieratico sulla parete dell’anticamera cita l’entità dei furti subiti e le operazioni di ripristino. La tomba fu più volte restaurata finché non si decise di traslare la mummia del sovrano.
In uno degli annessi venne rinvenuta la mummia di un bambino sconosciuto, secondo Haward Carter la tomba doveva contenere almeno tre persone, il figlio del re, Amenhemet, il cui corpo ribendato è stato rinvenuto nella cachette di Deir el-Bahari (DB320), forse la figlia, Tentamun ed il bambino citato sopra.
Fonti e bibliografia:
- Marilina Betrò, “Kenamun, l’undicesima mummia”, Edizioni ETS, 2014
- Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, traduzione di Ginetta Pignolo, Milano, Einaudi, 1989
- Wilson, John A., “Egitto, I Propilei”, volume I, Arnoldo Mondadori, Milano 1967
- Nicolas Grimal, “A History of Ancient Egypt”, Blackwell Books, 1992
- Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Torino, Ananke, 2005
- Alberto Sillotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
- Cesare D’Onofrio, “Gli obelischi di Roma”, Bulzoni, 1967
- Betsy Bryan, “Il regno di Thutmasi IV”, Baltimora: The Johns Hopkins University Press. 1991
- Sergio Donadoni, “Tebe”, Milano, Electa, 1999)
- Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, Roma, Aracne, 2005