C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XVIII Dinastia

IL FARAONE AMENHOTEP III  “IL MAGNIFICO”

Di Piero Cargnino

Alla morte di Thutmosi IV sale al trono delle Due Terre suo figlio, Amenhotep III, figlio di  Mutemuia, concubina o sposa secondaria di Thutmosi IV. In una iscrizione conservata al British Museum, Mutemuia viene citata come:

ossia come colei che ha dato alla luce il principe già incoronato faraone.

Secondo l’egittologa inglese Christine el-Mahdy, poiché in iscrizioni precedenti non viene citata come “Madre del Dio”, in quanto concubina non poteva neppure essere la “Grande sposa Reale” di Thutmosi IV per cui pare legittimo pensare che i suoi titoli di prestigio “Grande sposa reale“, “Madre del re” e “Sposa del re” gli furono assegnati solo quando il figlio salì al potere, come infatti compare su di un’altra iscrizione successiva:

Per quanto riguarda Amenhotep III non aspettiamoci di vedere un nuovo faraone guerriero, non si hanno notizie di azioni militari di rilievo durante tutto il suo regno, regno che fu un periodo di prosperità e splendore artistico senza precedenti.

Con Amenhotep III finalmente l’Egitto raggiunse l’apogeo del potere, il prestigio internazionale è riconosciuto da tutti i paesi confinanti, il popolo gode di una relativa ricchezza e l’arte esprime tutta la sua raffinatezza; si può tranquillamente dire che questo fu uno dei periodi più sereni e fecondi dell’intera storia egizia.

Come già fece la regina Hatshepsut, anche Amenhotep III volle sfoggiare una sua origine divina, nella stanza detta “Camera della nascita” del tempio di Luxor fece rappresentare il mito della sua nascita divina, la “ierogamia”, il rapporto sessuale tra una divinità, Amon, e una mortale, la propria madre, Mutemuia, rapporto dal quale (ovviamente) nasce lui.

Con la Grande sposa Reale, Tiye, ebbe sei figli, quattro femmine e due maschi: Thutmosi, principe ereditario ma premorto, Amenhotep IV (Akhenaton), e le principesse Baketaton, Sitamon, Henuttaneb, Iside e Nebetah.

La regina Tiye rivestì una notevole influenza a corte e partecipò alla gestione del potere sia come sposa di Amenhotep III, del quale fu importante consigliera e confidente, che durante il regno del figlio Akhenaton cosa che la fece ricordare come una regina saggia, intelligente e forte. La sua importanza nella gestione del potere era riconosciuta da tutti i dignitari, anche quelli stranieri, al punto che persino i re di altri paesi erano disposti a trattare con lei o tramite lei.

È la prima Grande Sposa Reale il cui nome compare su atti ufficiali, l’egittologo australiano David O’Connor scrive in merito: “……nessuna regina precedente apparve mai in posizione tanto prominente nella vita del marito…..”.

Nella statuaria compare sempre accanto al marito, sia nelle tombe che nei rilievi che sulle stele. Come abbiamo detto alla morte di Amenhotep III continuò a svolgere lo stesso ruolo con il figlio Akhenaton, lo evidenziano alcune Lettere di Amarna, in modo particolare nella lettera EA26, dove il re Mitanni rimembra direttamente con lei le buone relazioni che lo legavano al defunto Amenhotep III ed esprime il desiderio che la cosa continui con il nuovo faraone Akhenaton.

Oltre alla Grande sposa Reale, Tiye, Amenhotep III ebbe numerose mogli straniere, fra queste: Gilukhipa, figlia del re Mitanni Shuttarna, Tadukhipa, figlia del re Tushratta anch’egli Mitanni, oltre alle figlie di due re di Babilonia, una figlia del re di Arzawa ed una del governante di Ammia (Siria).

Alcuni studiosi sostengono che  Amenhotep III potrebbe aver avuto, tra gli altri, un terzo figlio maschio da una sposa secondaria, Smenkhara che succederà al fratello Amenhotep IV (Akhenaton), secondo altre interpretazioni Smenkhara sarebbe invece figlio dello stesso Akhenaton.

Una curiosità di questo periodo è l’affermarsi di un’usanza particolare, per celebrare gli avvenimenti degni di nota si iniziò ad inciderli in geroglifico sul retro di scarabei dove compaiono sempre i nomi del re e della regina oltre a quelli dei loro famigliari. Uno di questi parla dell’uccisione, da parte del sovrano, di 102 feroci leoni in dieci anni; su di un altro della costruzione di un lago artificiale per lo svago della regina, vengono citate la misure del lago che fanno supporre trattarsi del lago Birket Habu, a sud di Medinet Habu.

Degno di nota è uno scarabeo che ci fornisce, quasi involontariamente notizie circa i confini dell’Egitto all’epoca, si tratta dello “Scarabeo del Matrimonio” (nome forse non del tutto appropriato) nel quale è citata la regina Tiye ed i suoi genitori seguiti dalle parole:

Forse Karoy si trovava oltre Napata e quindi apparteneva alla giurisdizione del vicerè, in quanto a Nahrin, (territorio dei Mitanni) forse era più un’aspirazione del re che non la realtà. Comunque l’amicizia tra Amenhotep III ed il principe Mitanni è confermata su un altro scarabeo che riporta l’anno 10 è riportato:

Per quanto riguarda le imprese militari di Amenhotep III sappiamo che nel quinto anno di regno scoppiò una rivolta in Nubia, nel distretto di Ibhe, dove si trovava una cava di pietre utilizzate per la piramide del re Merenre della VI dinastia. La rivolta venne sedata dall’esercito egiziano al comando del vicerè Mermose e si risolse con la cattura di un migliaio di prigionieri. La campagna è descritta in tre roboanti iscrizioni rupestri sulle rocce della prima cateratta nelle quali si parla che

Si nutrono forti dubbi che il sovrano vi abbia partecipato direttamente, su di una stele conservata al British Museum l’avvenimento viene raccontato con maggiore sobrietà. Comunque nella provincia nubiana Amenhotep III dette sfoggio della sua grandezza con la costruzione di templi imponenti, a Sedeinga fece costruire un tempio in nome della moglie Tiye dove essa divenne oggetto di culto, il tempio si chiamava Hat-Tiye  (La casa di Tiye).

Un secondo tempio venne fatto costruire a Soleb, a nord della terza cateratta, è il monumento faraonico più importante dell’attuale Sudan. Era dedicato al dio Amon-Ra di Karnak e all’”immagine vivente” di Amenhotep III, Nebmaatra, signore della Nubia, identificato con il dio lunare Khonsu Neferhotep, pare che l’architetto fosse Amenhotep figlio di Hapu.

Questo tempio ha fatto impazzire numerosi studiosi in quanto, su una colonna del tempio, compare un’iscrizione molto particolare, l’iscrizione farebbe riferimento al dio degli ebrei dove il nome compare in geroglifico come

Inutile dire che su questo fatto ci sono due correnti di pensiero, secondo alcuni gli Shasu sarebbero una tribù nomade che nulla ha a che vedere con Israele, altri affermano che fossero si una tribù nomade ma che da essa ebbero origine gli ebrei, per quanto ci riguarda lasciamoli dibattere. Piuttosto va notato che la costruzione di questo tempio a Soleb mette in risalto il desidero del faraone di rendere “solare” il culto della religione corrente, identificando la sua persona con l’aspetto creatore del dio solare viene messo in risalto l’intento di favorire la fertilità e quindi l’ordine universale. Questo nuovo programma teologico sfocerà poi nella religione voluta da Akhenaton che vede il dio Ra-Harakhti nel disco solare Aton.

Abbiamo accennato ad un personaggio che merita una maggiore attenzione, si tratta di  Amenhotep figlio di Hapu, di umili origini, i genitori erano contadini nella città di Atribi, odierna Benha sul Delta del Nilo. Divenne sacerdote del culto di Thot e scriba reale per gli affari militari, forse fu anche un comandante dell’esercito, ragione che lo portò ad essere notato dallo stesso Amenhotep III che lo nominò intendente al fianco di sua figlia Satamon.

La sua fu una carriera molto brillante, oltre a rivestire il ruolo di scriba reale divenne anche capo delle reclute e in seguito “capo di tutti i lavori del Re”. Come capo architetto fu anche supervisore alla costruzione del grande “Tempio di milioni di anni” di Amenhotep III, nella necropoli di Tebe di fronte all’odierna Luxor, sulla riva occidentale del Nilo.

Qui si incontrano due enormi statue di pietra, dall’aspetto abbastanza inquietante, che si ergono isolate nella pianura circostante osservando, dall’alto dei loro 18 metri, da millenni il lento scorrere del Grande Fiume. Sono le statue gemelle di Amenhotep III che facevano parte del Complesso Funerario. Il faraone è rappresentato assiso con le mani sulle ginocchia e lo sguardo rivolto ad est, verso il sole nascente, sulla parte anteriore del trono, a fianco delle sue gambe, due statue più piccole, che rappresentano la moglie Tiye e la madre Mutemuia, sono scolpite su un lato del trono a fianco delle sue gambe. Sui pannelli laterali è rappresentato il dio Nilo Hapy.

Sono i famosi “Colossi di Memmone” il cui nome gli fu assegnato dai greci che le associarono all’eroe mitologico Memmone, un re etiope, figlio di Eos dea dell’aurora, che corse in aiuto di Troia, in guerra con gli Achei, e morì per mano di Achille. I colossi svolgevano la funzione di guardiani dell’entrata del “Tempio di milioni di anni” di Amenhotep III che al suo tempo era il più grande ed opulento nell’intero Egitto, persino il tempio di Karnak, all’epoca di Amenhotep III, era più piccolo. Della sua imponenza oggi rimane ben poco oltre ai due colossi, costruito sul bordo della pianura alluvionale, non ha resistito all’erosione che ne ha minato le fondamenta.

Ma queste statue hanno una particolarità che le rese famose fin dall’antichità. Nel 27 a.C. un terremoto causò la parziale distruzione di uno dei Colossi: la parte superiore crollò, mentre quella inferiore riportò delle crepe. Un’antica leggenda racconta che dopo la rottura, ogni mattina all’alba, dalla metà inferiore della statua spezzata, proveniva uno strano suono. Si pensa che il fenomeno fosse causato dall’aumento della temperatura che, facendo evaporare la rugiada, produceva un suono simile ad un canto o una musica.

Il primo riferimento alla statua che cantava ci giunge dallo storico e geografo greco Strabone, che affermò di avere udito la musica durante un viaggio effettuato nel 20 a.C.. Altri viaggiatori, come il greco Pausania e i romani Tacito e Giovenale, descrissero il fenomeno, tanto che alla statua furono attribuiti poteri oracolari. La fama della statua che canta si sparse rapidamente ed arrivarono migliaia di visitatori tra cui diversi imperatori romani. Sulle statue sono inoltre leggibili oltre 90 graffiti di persone che avevano sentito cantare la statua. Lucio Flavio Filostrato nella sua opera, “Vita di Apollonio di Tiana” cita il canto della statua come il saluto dell’eroe Memmone alla madre Eos, dea dell’aurora. Tra i graffiti di persone importanti ce n’è uno di Giulia Balbilla, poetessa greca antica che si era recata in Egitto con la corte dell’imperatore Adriano e di sua moglie Vibia Sabina.

Intorno al 199 d.C. l’imperatore romano Settimio Severo, per ingraziarsi l’oracolo, ordinò il restauro delle statue. Da allora le statue non emisero più alcun suono.

Tornando agli affari interni del regno non va trascurato il fatto che l’apparente periodo di pace nella regione medio orientale portò l’Egitto ad una certa rilassatezza nel controllo del territorio ed in realtà ad una progressiva riduzione dell’influenza egiziana a vantaggio degli imperi orientali in particolare di quello Ittita. Sul fronte orientale si riscontra però un’intensa attività diplomatica di Amenhotep III nei confronti dei sovrani Assiri, Mitanni, Ittiti e di Babilonia documentata nelle “Lettere di Amarna”.

In una di queste lettere si evince che, mentre in Egitto giungevano spesso figlie di re stranieri date in spose al faraone, la cosa non era ricambiata, nella Lettera di Amarna EA 4 il re di Babilonia lamenta che:

Forse la ragione stava nel fatto che, secondo la tradizione egizia, chi avesse sposato una figlia del faraone avrebbe acquisito il diritto alla successione al trono d’Egitto, o forse si trattava semplicemente di affermare la superiorità dell’Egitto sugli altri regni. Abbiamo accennato più volte alle “Lettere di Amarna” vediamo di che si tratta.

Nel 1887 una contadina egiziana mentre stava raccogliendo del sabakh, una sorta di concime, tra le rovine di el-Amarna rinvenne per caso un gran numero di tavolette di creta che recavano incisioni incomprensibili apparentemente prive di alcun valore. Queste furono vendute per un’inezia sul mercato clandestino dove vennero acquistate da istituzioni museali mondiali e mercanti d’arte, ma in seguito più nessuno ne parlò e delle tavolette e del luogo di ritrovamento se ne persero le tracce. Delle tavolette si tornò a parlare in occasione della comparsa sui mercati clandestini di analoghi reperti, esaminate meglio si scoprì dunque il loro valore, si scatenò quindi una corsa alla loro ricerca, numerose campagne di scavo vennero organizzate da varie istituzioni, tra queste la campagna più importante venne condotta, nel 1891-1892, dagli egittologi inglesi William Mattheuw Flinder Petrie e John Pendlebury.

Le Lettere di Amarna costituiscono oggi un insieme di 380 reperti (oltre alle centinaia andate perdute o distrutte) oggi purtroppo sono sparse in diversi musei nel mondo ma soprattutto al British Museum di Londra, al Museo Egizio del Cairo ed al Museo dell’Asia Anteriore di Berlino. Le Lettere sono redatte in in lingua accadica, la più antica lingua semitica mai attestata, di origine semitica orientale parlata principalmente in Mesopotamia dagli Assiri e Babilonesi, il nome deriva dalla città di Akkad, ancora oggi non rintracciata con certezza e utilizza i caratteri cuneiformi. Tutte le tavolette (lettere) facevano parte dell’archivio di stato del faraone Akhenaton quando questi spostò la capitale da Tebe ad Akhetaton (Amarna).

Tratteremo ancora l’argomento quando parleremo del faraone “eretico”. A proposito di lui, non è certo che suo padre lo abbia nominato coreggente; su una Lettera di Amarna (EA 27) il re dei Mitanni Tushratta esprime rammarico per  per il fatto che Akhenaton non gli avrebbe inviato le statue d’oro promesse dal padre in dote al momento del matrimonio di  Amenhotep  III con sua figlia Tadukhipa. Ora, poiché la lettera è datata all’anno 2 del regno di Akhenaton, si deduce che, se coreggenza c’è stata, non sarebbe durata più di un anno o due.

Sul terzo pilone del Complesso templare di Karnak, quello di Amenhotep III, in un rilievo molto danneggiato a causa della “damnatio memoriae” cui fu sottoposto Akhenaton, compaiono padre e figlio su una barca sacra, per quanto possibile si legge:

Secondo la notizia diffusa dal Ministero Egiziano delle Antichità i recenti ritrovamenti nella tomba del visir Amenhotep-Huy, dove compaiono i cartigli di  Amenhotep  III e di Akhenaton incisi uno accanto all’altro, confermerebbero che ci sia stata una coreggenza di almeno otto anni. L’egittologo Peter Dorman ha respinto ogni ipotesi di coreggenza fra i due faraoni, basandosi sui rinvenimenti della tomba di Kheruef. Altra disputa che lasciamo agli egittologi.

Come è naturale che sia anche i faraoni invecchiano e si ammalano, proprio in alcune scene dalla tomba tebana di Kheruef,  Maggiordomo della “Grande sposa reale” Tiye, il sovrano viene rappresentato “indebolito e visibilmente sofferente”, cosa analoga è riscontrabile in una statuetta in serpentite, conservata al Metropolitan Museum of Art di New York, dove Amenhotep  III è riprodotto con abiti voluminosi e un ventre prominente.

L’esame della mummia del faraone rivelerà poi che questi era obeso e soffriva di artrite senza trascurare la pessima dentatura profondamente cariata. Ma dopo 38 o 39 anni di regno giunse per lui il momento di incamminarsi verso i “Campi di Iaru” e, forse secondo l’antica credenza, unirsi agli dei diventando una stella imperitura.

Amenhotep III fu un buon sovrano, forse anche amato ma certamente stimato tanto dai sudditi quanto dai sovrani stranieri che espressero il loro rammarico per la sua morte. Il re Tushratta scrisse:

Alla sua dipartita l’Egitto era una grande potenza, la sua influenza raggiungeva quasi l’intero oriente allora conosciuto così come nella Nubia a sud, rispettato e temuto da tutte le nazioni confinanti. Il guaio allora (come oggi) non era tanto la politica ma la religione, il clero di Amon con la sua influenza e le sterminate proprietà che gli garantivano una potenza era in grado di condizionare le decisioni dei regnanti, cosa che causerà la rivoluzione di  Akhenaton.

Amenhotep III il “Magnifico”, uno dei più grandi sovrani del Nuovo Regno, venne sepolto nella tomba che si era fatto costruire in una valle attigua alla Valle dei Re, la “Valle dell’Ovest” (in arabo “Biban el-Gurud” porta delle scimmie) e denominata WV22 (West Valley22) ma viene anche chiamata KV22 (King Valley22). Nel seguito vedremo che anche la sua mummia venne pietosamente trasportata nella tomba KV35 di Amenhotep II per preservarla dai saccheggi.

La tomba, aperta ed accessibile, era già nota perché visitata dall’esploratore inglese William George Browne ma venne ufficialmente “scoperta” dagli studiosi francesi R. E. Devilliers du Terrage e J. B. Prosper Jollois, che si erano recati in Egitto al seguito di Napoleone e, nel 1799 avevano seguito il generale Dasaix fino a Tebe. Delillers e  Jollois eseguirono rilievi epigrafici e ne tracciarono la mappatura, ulteriori rilievi vennero eseguiti nel 1828 da Ippolito Rossellini e nel 1844 da Richard Lepsius, nel 1898 si interessò alla tomba anche Victor Loret e nel 1915 Haward Carter che rinvenne cinque depositi di fondazione.

Nel 1959 Hornung e Piankoff eseguirono una rilevazione fotografica, dal 1989 gli studi sulla KV22 sono stati affidati in concessione alla Waseda University giapponese. Champollion visitò la tomba nel 1829 rilevando che alcune pareti erano ricoperte da pitture di straordinaria finezza, sono pitture e geroglifici stilizzati che ricordano lo ieratico.

Vediamo ora come si presenta la tomba seguendo sulla planimetria. La grande tomba si insinua nella roccia per 86 metri  seguendo un percorso che presenta due cambiamenti di direzione ad angolo retto. L’ingresso si apre su di una scala (a) che immette in un corridoio in pendenza (b) in fondo al quale si trova un’altra scala (c) ed un altro corridoio (d) che termina in un pozzo verticale (e), profondo quasi 5 metri, sul fondo del pozzo si apre un piccolo locale (e1).

Superato il pozzo si accede ad una camera con due pilastri (f), sul lato sinistro della parete di fondo tramite una scala si accede ad un breve corridoio (g) e tramite un’altra scala (h) si accede all’anticamera (i), le cui pareti, come quelle del pozzo presentano “scene reali”, figure di divinità quali Osiride, Anubi, Hathor, Nut e Amentit insieme al sovrano ed al suo ka.

Proseguendo si apre la grande camera funeraria a sei pilastri (j) che si presenta su due livelli nella quale si trova il sarcofago di Amenhotep III.

Le pareti della camera funeraria sono interamente ricoperte dai testi del “Libro dell’Amduat”, mentre sui sei pilastri è rappresentato il re in presenza di alcune divinità. Tutte le decorazioni sono pesantemente danneggiate e difficilmente leggibili. Anche qui intorno alla camera funeraria si trovano diversi annessi di cui i due più grandi, con il soffitto sorretto da un pilastro, si suppone che avessero la funzione di ulteriori camere funerarie, forse una di esse era per la regina Sanamon e l’altra per la regina Tiye.

Purtroppo oltre ai danni arrecati dal tempo si aggiungono i danni provocati dai visitatori che agli inizi del novecento rubarono e asportarono alcune parti delle pitture parietali, la cosa è particolarmente visibile nella parete sud del pozzo dove è raffigurata la dea Nut che riceve il re seguito da un personaggio che porta sul capo il segno del ka, com’è chiaramente visibile, il capo del faraone è stato completamente asportato.

Terrage e Jollois che visitarono la tomba nel 1799 riuscirono a percorrere solo un breve tratto a causa dei detriti che ostruivano il passaggio, in seguito la tomba venne visitata da molte persone al punto che al suo interno non venne più rinvenuto nessun reperto originale salvo alcuni frammenti di scarsa importanza rinvenuti durante gli scavi di Carter.

I resti della mummia di Amenhotep III vennero rimossi in passato e, dopo un precario restauro, furono trasferiti nella tomba di Amenhotep II, la KV35; quando venne rinvenuta da Loret nel 1898 si trovava in pessime condizioni, dall’etichetta che la contraddistingueva si poté risalire all’epoca del restauro corrispondente all’anno dodicesimo del faraone Smendes della XXI dinastia

Fonti e bibliografia:

  • Enrichetta Leospo e Mario Tosi “ll potere del re il predominio del dio”, Ananke, 2005
  • Cimmino, Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Ala Gardiner, “La civiltà egizia”, Einaudi, Torino 1997
  • John Wilson, “Egitto, I Propilei” volume I, Arnoldo Mondadori, Milano, 1967
  • Agnès Cabrol, “Amenhotep III le magnifique”, ed. Le Rocher, 2000
  • Cyril Aldred, “Akhenaton il faraone del sole”, Grandi tascabili economici Newton, 1996
  • A. Piankoff e E. Hornung, “Das Grab Amenophis’ III im Westtal der Könige”, 1961
  • G. W. Bowersock, “The Miracle of Memnon”, American Society of Papyrologists, 1984 André e Étienne Bernand, “Les Inscriptions grecques et latines du colosse de Memnon”, Parigi, Bibliothèque d’étude de l’Institut français d’archéologie orientale, 31, diffusion Picard, 1969

Lascia un commento