Di Piero Cargnino

Nel rispetto della correttezza storica dobbiamo dire che il vero erede al trono, alla morte di Amenhotep III, era il figlio primogenito del sovrano e della Grande Sposa Reale Tiye, Thutmosi, successore designato dallo stesso faraone. quel poco che si sa di lui è che morì giovane in circostanze piuttosto oscure intorno al trentesimo anno di regno del padre.
Amenhotep IV sale dunque al trono nei primi giorni di “tybi”, primo mese della stagione di “peret”. Nonostante sia stato oggetto di una “damnatio memoriae” che non ha eguali a causa della sua rivoluzione che toccò non solo la religione ma ogni espressione artistica e culturale che si protraeva da oltre un millennio e mezzo, rompendo con l’ormai tradizionale stile di vita del popolo egizio, di lui conosciamo parecchio. La sua figura così originale e rivoluzionaria ha suscitato grande interesse negli studiosi e non solo perché fu faraone d’Egitto ma per il ruolo che ha avuto sia nella società del suo tempo che nella religione, e non parlo solo della religione dell’antico Egitto, le implicazioni del suo pseudo monoteismo precorrono i tempi delle attuali religioni monoteistiche. Freud vide in lui il mentore di Mosè e l’ispiratore del monoteismo ebraico. Secondo alcuni, che non condivido, è visto come la vittima dell’Esodo, per altri come un oppressore o un fanatico. Non condivido alcuna di queste opinioni, solo un soggetto eccezionale poteva dare origine ad una visione così diversa ed in un certo senso persino moderna del mondo che ci circonda.

In lui non c’è più nulla del sovrano guerriero, conquistatore e massacratore dei suoi nemici, dell’essere superiore e divino che si rivolge alle divinità come ai propri simili. Ora il sovrano è innanzitutto un uomo, un poeta che scrive inni che anticipano i salmi di Davide, un uomo che si fa rappresentare come un comune mortale, seppur grottesco, come un marito e padre affettuoso che sorregge tra le braccia i propri figli. Certo che un personaggio simile, oggetto della peggiore damnatio memoriae, ignorato da tutte liste reali, sparì completamente dalla storia egizia finché non fu scoperto, nel XIX secolo il sito archeologico di Amarna dove Amenhotep IV, che cambiò il suo nome in quello di Akhenaton (colui che compie il volere di Aton) , aveva fondato la sua nuova capitale Akhetaton (Orizzonte di Aton).

La sua stessa moglie, Nefertiti è famosa al pari di lui, noi la conosciamo per la bellezza che traspare dal suo busto, oggi conservato al Neues Museum di Berlino, che si pensa la rappresenti. La regina appare sempre con la sua elegante figura al fianco del marito in scene domestiche mentre gioca con le figliolette o mentre, col marito sfila con grande eleganza sul cocchio reale. Molte sono le scene che raffigurano la famiglia reale nell’intimità quotidiana con la fedele moglie che riempie di vino il boccale del sovrano.

Le scene che rappresentano Akhenaton e Nefertiti ci sorprendono per il loro realismo come una fedele rappresentazione di felicità coniugale. Certo che i faraoni ebbero più mogli ma quello che distingue la Grande Sposa Reale di Akhenaton è l’amore che il sovrano prova per lei.
Su di una grande stele confinaria della nuova città di Akhetaton così il re descrive sua moglie:
<<…….amabile nel volto, gioiosa con la Doppia Piuma, signora della felicità, favotita dalla benevolenza, nell’udire la sua voce si prova la felicità, signora della grazia, grande di amore, la cui indole conforta il Signore delle Due Terre……..>>.

Innegabile l’amore per le figlie, che nell’Egitto faraonico non si riscontrano eguali, sempre in compagnia dei genitori. Le scene che si presentano ai nostri occhi e che ci parlano della vita di questo faraone compaiono su vari monumenti al punto che parecchi scrittori e studiosi contemporanei lo considerano il più moderno ed il più comprensibile di tutti quegli antichi faraoni-dei che lo hanno preceduto.
Una simile figura non può non piacere, nonostante l’abisso di tempo che ci separa, Akhenaton ha entusiasmato generazioni di egittologi, James Henry Breasted ebbe a scrivere:
<<…Con lui morì uno spirito quale il mondo non aveva mai veduto prima……..che si discosta da una lunga serie di faraoni convenzionali e incolori per disseminare idee troppo al di là e al di sopra della possibilità di comprensione del tempo in cui visse…>>.

Un tale entusiasmo espresso da un’autorità così eminente non può che coinvolgere altri nel giudizio. Arthur Weigall, egittologo inglese ne condivise le opinioni:
<<………Per una volta noi possiamo scrutare dritto nella mente di un sovrano dell’Egitto e vedervi qualcosa di quello che vi si agita……..tutto è degno di ammirazione……..>>.
In tempi più moderni si è affermata la tendenza a ridimensionare la figura di Akhenaton riducendone la fisionomia in modo meno attraente conformandola al solo aspetto religioso. Senz’altro è questo l’aspetto che più ispira la sua figura ma non sempre, e non da tutti, considerata nel modo corretto.

Si parla di Akhenaton come di colui che ha ispirato il monoteismo, niente di più errato. Per monoteismo, dal greco “monos” unico, solo e “theos” dio, si intende che esista un solo dio universale, che sta al di sopra di tutto, lui solo è da adorare. Quello di Akhenaton è invece una forma ibrida che lo storico delle religioni Friedrich Maximilian Müller ha coniato per definire coloro che adorano una divinità, invocandola e celebrandola come unica senza per questo avere una vera e propria concezione monoteistica. Si tratta di una finezza concettuale che parrebbe non trovare conferma nella rivoluzione religiosa intrappresa dal “faraone eretico” che sradicò il culto degli altri dei imponendo il culto di Aton, ma vedremo che non è così.

Aton non è il dio stesso ma l’iconografia del disco solare, la rappresentazione del dio sole Ra e veniva adorato come creatore di tutte le cose, come colui che provvedeva ai bisogni di tutte le creature con i suoi raggi benefici che davano vita alla sola famiglia reale, era poi compito del suo intermediario in terra, il faraone, trasmettere i benefici a tutto il popolo che si sottometteva al dio Aton. Le manifestazioni dell’Aton avvenivano di giorno quando esso splendeva in cielo, allora gli umani potevano aspirare al successo o alla perfezione, la notte, priva dello splendore dell’Aton era da temere.

Amenhotep IV sale al trono che fu del padre, le notizie più autorevoli che possediamo al riguardo ci provengono dalla corrispondenza minutamente documentata nell’archivio di Amarna dove si custodivano le famose tavolette, ovvero la corrispondenza tenuta dai sovrani egizi a partire da Amenhotep III fino al primo anno di regno di Tutankhamon.
In un primo tempo Amenhotep IV adorava ancora Amon-Ra, sappiamo che fino al suo quarto anno di regno il primo profeta di Amon era ancora nel pieno delle sue funzioni. Nelle cave di arenaria di Gebel Silsila, su di una stele il faraone compare in atto di adorare Amon-Ra e l’iscrizione che accompagna la sua figura ci rivela che il re, appare ancora sotto la tutela di Amon, nel testo il re si definisce come “il primo Hem-netjer” della divinità, ossia come il:
<< Primo profeta di Ra-Horakhti che esalta all’orizzonte nel suo nome la luce solare [Shu] che è Aton >>.
Dall’iscrizione si può dedurre che in questo periodo non vi fosse ancora una completa rigidità nell’utilizzo del nome Aton. L’immagine del sovrano è rivolta ad Amon e su di essa compare la scritta:
<<Il re dell’Alto e del Basso Egitto, [Neferkheperu]ra [Uaenra], il figlio di Ra, del suo corpo, Amenhotep, la cui durata di vita è grande >>, mentre sull’immagine del dio è scritto: << Parole da recitare da parte di Amon-Ra, il re degli dei: [io ti ho dato] vita, stabilità e dominio>>.

Da notare che nella stele di Gebel Silsila non è rappresentato Ra-Horakhty bensì lo stesso Amon e che Amenhotep IV si definisca come suo “amato”, questo ci porta a concludere che, almeno all’inizio del suo regno, il faraone ammettesse la coesistenza pacifica del nuovo culto con quello del dio di Tebe.
Non ci è dato a sapere come il clero di Amon accettasse l’insolita assunzione da parte del re del titolo di sommo sacerdote ma sicuramente non bene. Quando Amenhotep IV salì al trono l’impero egizio, costruito dai grandi faraoni guerrieri precedenti, si trovava in una difficile situazione. I fedeli alleati Mitanni erano continuamente sottoposti alle scorribande dei loro vicini di Hatti che fomentavano rivolte anche presso gli stati vassalli della Siria. Tanto per completare il quadro i predoni Hapiru scorrazzavano per la Siria creando disordini ovunque.
Quindi era il caso che in Egitto tornasse un faraone forte come i precedenti, che marciasse con il suo esercito, spingendosi fin dentro l’Asia, per domare le insurrezioni e riportare l’ordine precedente. Purtroppo quel faraone non era Amenhotep IV, i suoi consiglieri erano sua madre Tiye e sua moglie Nefertiti che non condividevano idee di guerra. Il sovrano, incurante delle questioni belliche, si immergeva sempre più nella sua teologia filosofeggiante.
La sua visione era quella di un regno permeato dalla fede in un dio universale che doveva troneggiare su tutta la terra e non solo sull’Egitto, il Sole, l’Aton. Amenhotep IV si dedicò ad elaborare una serie di progetti architettonici, fece decorare l’ingresso meridionale del recinto del tempio di Amon-Ra dove vennero rappresentate scene di adorazione del dio solare Ra-Horakhty.
Ordinò la costruzione di un grande complesso nella zona orientale di Karnak dedicato all’Aton che chiamò “Gempaaton” (Aton è stato trovato). Il complesso sii componeva di una serie di costruzioni tra cui un palazzo ed un edificio chiamato “Hwt Benben” (Palazzo della Pietra Benben) che dedico alla moglie Nefertiti. La sua smania architettonica si affermò anche nella costruzione di altri due edifici presso il Nono pilone del tempio di Karnak, edifici che vennero chiamati “Rud-menu” e “Teni-menu”.
Con il nome di Amenhotep IV il sovrano compare ancora in alcune tombe di nobili a Tebe, la TT192 di Kheruef, la TT188 di Parennefer dove Amenhotep IV e Nefertiti compaiono assisi in trono con il disco dell’Aton sulle loro teste, nella TT55 di Ramose lo troviamo sulla parete occidentale rappresentato secondo lo stile tradizionale, assiso in trono mentre al suo cospetto compare Ramose. Sulla parete di fronte è rappresentata la coppia reale, Amenhotep IV e Nefertiti, affacciati alla finestra delle apparizioni, sulle loro figure spicca l’Aton nella sua forma di disco solare.

Le ultime volte che troviamo il faraone con il nome di Amenhotep IV è su due lettere, scoperte a Gurob, che il funzionario Apy (o Ipy) scrive al sovrano nel quinto anno del suo regno. Terzo mese di peret, diciannovesimo giorno. Dalle lettere di Amarna si evince che quel periodo fu denso di acute tensioni sociali ed economiche, la causa principale è da attribuire ad un decadimento nell’economia dei contadini che progressivamente si indebitavano. Come abbiamo già descritto in precedenza, questa situazione causava la fuga dei debitori verso altri stati, questi però avevano raggiunto una specie di estradizione per cui ai fuggiaschi non rimaneva che darsi alla macchia verso zone inospitali dove si mescolavano ai predoni Hapiru.
Incurante degli avvenimenti che lo circondavano il giovane faraone era intriso dal suo culto che andava elaborando e, non pago di aver innalzato a Karnak il tempio all’Aton, mutò anche il nome della capitale Tebe (la città di Amon) che da allora fece chiamare “la città dello splendore di Aton”.
Ovviamente questo inasprì le tensioni con il clero di Amon che durante la XVIII dinastia si era arricchito a dismisura acquisendo un notevole potere. Certo che il clero avrebbe potuto urlare al sacrilegio ed in qualche modo sostituire il faraone, ma Amenhotep IV era dotato di una grande forza di carettere e per di più proveniva da una progenie di sovrani troppo illustre per poter essere messo da parte dalla casta sacerdotale seppur così potente. Il conflitto che ne nacque diventò così aspro per il sovrano che la sua permanenza a Tebe non era più tollerabile. Amenhotep IV decise dunque di allontanarsi, anche fisicamente, da Tebe e dall’invadenza dei sacerdoti di Amon, nell’anno V del suo regno decise di costruire una nuova capitale dopo aver scelto personalmente il sito. Questo si trovava nel XV nomo dell’Alto Egitto a circa 400 chilometri a nord di Tebe e circa 320 a sud di Menfi.

La nuova capitale venne chiamata Akhetaton, “L’orizzonte di Aton”. La scelta del territorio era condizionata dalle sue convinzioni, il luogo doveva essere vergine sia sotto il profilo politico che, e specialmente, religioso, nel contempo si trovava in una posizione all’incirca equidistante dalle due capitali precedenti permettendo il normale svolgimento dei due ruoli, amministrativo e religioso. Si trattava di una città fondata a nuovo nel senso che tutto era nuovo, i suoi abitanti, che dovevano professare la fede ad Aton, i suoi palazzi come le abitazioni civili ed i templi, tutti dedicati all’Aton. I confini della città vennero delimitati da 15 “Stele di confine” sulle quali era dichiarata l’appartenenza del territorio ad Aton. I sacerdoti erano pochi in quanto il compito di presentare le offerte all’Aton era riservato al faraone ed alla sua famiglia, queste consistevano nel bruciare incenso e cantare gli inni al dio accompagnati da nenie apposite.
Dopo 5 anni, 8 mesi e 13 giorni di regno, il faraone con la sua famiglia si insediò nella nuova città di Akhetaton, un mese prima aveva cambiato il proprio nome con quello di Akhenaton “Aton è soddisfatto” mantenendo però il suo praenomen, o nome del trono, Neferkheperura.

Si è dibattuto a lungo, e si dibatte tutt’ora su quali siano state le azioni intraprese da Akhenaton per trascinare il popolo verso le sue idee religiose. Indubbiamente iniziò col limitare i riferimenti agli altri dei adottando, ed imponendo, un linguaggio religioso sempre più consono all’Aton, sicuramente però dovette prendere atto che la cosa non era sufficiente pertanto adottò una soluzione più drastica, ordinò che venissero cancellati tutti i riferimenti alle divinità tradizionali, in modo particolare quello di Amon anche quando questo era parte di nomi propri, Akhenaton fece persino scalpellare il nome del proprio padre Amenhotep III perché conteneva il nome di Amon. Stessa cosa fece per il nome “madre” il cui suono era simile a quello della dea Mut, sposa di Amon, fece cancellare il geroglifico rappresentante un avvoltoio, simbolo della dea Mut e della dea Nekhbet.

Al nome del dio Ra-Horakhti venne eliminato il geroglifico del falco rendendo praticamente illeggibile il nome. Solo il nome di Ra rimase invariato perché rappresentava il Sole. Stessa cosa dovette fare il resto del popolo quando il loro nome conteneva un riferimento ad una divinità.
Pare però che per i nomi propri non ci fosse l’obbligo di modificarli, ad Amarna sono stati rinvenuti personaggi come Ahmose, (tomba TA3), e Thutmosi, capo-scultore al quale viene attribuito il famoso busto di Nefertiti. Nelle tombe dei nobili ad Amarna sono stati inoltre trovati numerosi amuleti in faience che gli abitanti indossavano liberamente sui quali erano rappresentati gli dei Bes, Tueret o l’occhio di Horus. Questo dimostra che, nonostante la sua infatuazione per l’Aton, in fondo la sua politica fu relativamente tollerante.

Nel suo “enoteismo” rivoluzionario, il sovrano non è più la rappresentazione del dio, egli è “utile a Dio, che è utile a lui”, su di una stele a Karnak, nel tempio di Ptah si legge:
<<………Dio ha fatto sì che le vittorie della mia maestà fossero più grandi [di quelle] di ogni altro re. La mia Maestà ha ordinato che il Suo altare sia fornito di ogni bene……..>>.
Con queste premesse il faraone del Sole si installò ad Akhetaton che subito abbellì di palazzi e templi per se e per la regina Nefertiti così come per tutta la famiglia reale, un grande tempio venne eretto per il “Disco solare”, centro della nuova religione.

Ugualmente consone alla grandezza della nuova città furono le dimore dei cortigiani che non avevano eguali nel resto del regno, così come le loro tombe per le quali venne predisposta una necropoli ai piedi delle colline a sud, cappelle decorate con simboli e rilievi in lode all’Aton.
Oggi possiamo ancora ammirare in una di queste tombe, quella del sacerdote Ay, dove si trova un inno, considerato opera dello stesso Akhenaton, nell’inno egli vagheggia nella sua religione universale, esalta l’universalismo dell’impero egizio in sostituzione del nazionalismo che per venti secoli aveva imperato nelle Due Terre. Il suo dio non fa differenza tra gli uomini, non importa la razza o la nazionalità, è il signore universale, Creatore di tutta la natura. Chiama Aton:
<<……padre e madre di tutti coloro che egli ha creato…….>>.


Nella sua filosofia religiosa spicca su tutto la Maat (la verità), mai prima d’ora così insistentemente citata, il suo nome appare sempre accostato ad essa “vivente nella verità”. Akhenaton appare ovunque con la sua famiglia, gode dei rapporti famigliari e loro con lui mentre partecipano ai riti religiosi. Lui “E'”, tutto ciò che avviene intorno avviene per mezzo di lui, è ciò che lui vuole, Il suo scultore Bek afferma che quello che lui fa gli è giunto dagli insegnamenti del sovrano il quale istruì gli artisti della sua corte ad esprimere ciò che realmente vedevano dimenticando i vecchi canoni che erano usati in passato.
Così ammiriamo gli atteggiamenti istantanei e reali della vita animale, il cane in corsa, la preda che fugge, il toro che salta tra i papiri, questo perché è la verità, quella in cui viveva Akhenaton, il suo nuovo mondo. Nulla di più appariscente di questa verità troviamo anche nelle rappresentazioni del sovrano stesso, espressione di quella nuova arte che si doveva rappresentare.

Gli artisti lo rappresentavano non come in passato erano rappresentati idealisticamente i faraoni, belli, sempre giovani, ma come essi stessi lo vedevano, con tutte le sue deformità corporee.

Immerso nei suoi sogni religiosi e occupato ad abbellire la città dell’Aton, ovviamente trascurò gli affari di stato e le condizioni dell’impero, nonostante le sollecitazioni dei suoi stessi generali e dei sovrani dei paesi alleati. Quando, ad un certo punto, messo di fronte alla tragica realtà in cui si trovava l’impero capì, ma ormai era tardi. A nord gli Ittiti avevano minato l’influenza egizia in Siria mentre in Palestina la situazione era se non peggiore almeno simile, in Asia l’impero egizio praticamente non esisteva più. In una scena riferita all’anno dodicesimo di regno assistiamo ancora all’arrivo di tributi dall’Asia e da Kush ricevuti dal sovrano e dalla regina Nefertiti ma oltre non sono documentati altri arrivi.

Pare che fu proprio in quegli anni che la regina madre Tiye abbia fatto visita ad Akhenaton per metterlo al corrente delle disastrose condizioni in cui versava l’Egitto fuori dal suo piccolo mondo di Akhetaton, dove gli affari interni ed esterni risentivano della mancanza di una politica attiva, non bastava sognare, ora si doveva anche agire ed in fretta. Il popolo era fortemente risentito per la soppressione delle antiche divinità ed i sacerdoti avevano costituito un potente partito di opposizione, più o meno segreto tramando per riportare il paese agli antichi culti religiosi.

Le conseguenze della politica di Akhenaton non tardarono a farsi sentire. Il faraone cominciò a rendersi conto di non essere più in grado di gestire la situazione che si era venuta a creare, sia all’interno che all’esterno dell’Egitto. Istigato dai sacerdoti di Amon il popolo non era più disposto a rinnegare i suoi dei, secoli di storia stavano alle loro spalle e non era sufficiente un colpo di spugna dato da un tiranno per cancellarli. Dal canto loro i generali dell’esercito, abituati ad una condotta ferrea nella gestione dei rapporti con gli alleati ed ancor di più verso le quotidiane rivolte che avvenivano qual e la in Asia come al sud, entro quelli che erano i confini tracciati dai precedenti re guerrieri, mal sopportavano la condotta pacifista del sovrano.
L’ascesa dell’impero ittita si faceva sentire pesantemente, l’Egitto aveva ormai perso il controllo su gran parte degli stati assoggettati col risultato che erano sempre meno i tributi che arrivavano minando la ricchezza del paese. Dalle notizie che apprendiamo dalle “Lettere di Amarna” si legge che gli stati vassalli ancora fecdeli reclamavano un consistente aiuto da parte dell’esercito egizio per far fronte alle razzie ed ai disordini creati dalle bande di Hapiru. Pressanti erano le richieste di aiuti da parte di Tushratta, re di Mitanni, sono molte le lettere inviate dal sovrano per ottenere appoggio dal faraone, ma a fronte di queste richieste nessuna notizia ci è giunta di campagne militari in quell’area. Unica azione militare di cui ci è giunta notizia è una breve campagna in Nubia contro una piccola tribù, gli Akayta. Solo quando la crisi si fece più profonda, minacciando di sprofondare in una tragedia, allora Akhenaton iniziò ad agire.

Venne combinato il matrimonio tra la figlia maggiore del sovrano Meryt-Aton, che era stata associata al trono dal padre, ed il principe Smenkhara, forse fratello dello stesso Akhenaton. Non risulta però che dopo il matrimonio Smenkhara sia stato nominato coreggente. Smenkhara venne subito inviato a Tebe con il compito di sedare i tafferugli generati dai sacerdoti di Amon.

Oltre ai vari problemi generatisi con la rivoluzione di Akhenaton, durante la seconda metà del suo regno scoppiò una grave epidemia di peste bubbonica o di qualche tipo di influenza che coinvolse l’intero Medio Oriente mietendo numerose vittime, pare che anche il re Ittita Suppiluliuma ne sia rimasto vittima. Secondo Zahi Hawass, in base a ritrovamenti scoperti nel sito di Amarna, si sarebbe trattato di peste nera. La stessa famiglia reale venne colpita, tra il dodicesimo ed il diciassettesimo anno di regno vennero a mancare la regina madre Tiye oltre alle principesse Maketaton, Setepenra e Neferneferura, alcuni sostengono che anche la regina Nefertiti sarebbe morta per la stessa ragione, nulla però lo conferma.

Le ultime notizie della famiglia reale le troviamo sulle pareti della tomba di un cortigiano, Merira, nel secondo mese del dodicesimo anno di regno di Akhenaton, dopodiché non si trovano più fonti dalle quali sia possibile trarre informazioni certe. Pare che la “damnatio memoriae” alla quale fu sottoposto Akhenaton sia stata assai meticolosa da far sparire tutto quello che lo identificava. Nel dicembre 2012, in una cava di calcare a Deir el-Bersha, venne rinvenuta un’iscrizione che si riferiva esplicitamente al sovrano ed alla moglie Nefertiti risalente al sedicesimo anno, terzo mese di akhet, quindicesimo giorno. Alla luce di questo ritrovamento si può pensare che Akhenaton abbia regnato per circa diciassette anni e con lui Nefertiti.
Sono state formulate numerose ipotesi, più o meno valide ma nessuna certa, secondo alcuni Nefertiti sarebbe sopravvissuta al marito ed avrebbe continuato a regnare travestita da uomo con il nome di “Neferneferuaton Ankheperura” o addirittura che abbia regnato lei con il nome di “Smenkhara”. In assenza di evidenze si può dire tutto ed il contrario di tutto, la fantasia non ha limiti. Per quanto riguarda Akhenaton non esiste nulla che parli della sua morte, possiamo affermare che dalla metà del suo regno fino a Tutankhamon ci troviamo nel più oscuro periodo della storia egizia.
Alcuni studiosi che hanno esaminato reperti funerari consistenti in un sarcofago di granito, un cofano per i vasi canopi, e varie statuette funerarie (ushabti) riguardanti il faraone Akhenaton, ritengono che, almeno in un primo momento il faraone sia stato sepolto nella necropoli reale di Amarna. Il sarcofago, profanato e sfregiato, è stato restaurato e si trova in esposto al Museo Egizio del Cairo.
L’egittologo Zahi Hawass afferma che la mummia di Akhenaton venne traslata a Tebe quando, Tutankhaton (che aveva cambiato il suo nome in Tutankhamon), rinnegando la rivoluzione del padre, ripotò definitivamente la corte. Con la morte di Akhenaton ha termine la parentesi “eretica” del faraone del Sole, Di lui si parlerà solo in modo dispregiativo, nella “Iscrizione di Mes”, documento di epoca ramesside Akhenaton è citato come:
<<……..al tempo del Nemico di Akhetaton […] Akhetaton [dove] il faraone [fu]……..>>.
Non penserete mica che con la morte di Akhenaton la sua “rivoluzione religiosa” finisca così. Forse la “sua” rivoluzione è finita, ma potrebbe averne generata una successiva molto più grande e duratura, chissà……..!

Pare che sul finire del suo regno l’enfasi religiosa di Akhenaton di affermare ad ogni costo il culto dell’Aton iniziasse a vacillare, non nella fede ma nella possibilità di rendere il suo dio universale. La regina Nefertiti, per qualche ragione sconosciuta, forse cominciò a dissentire dai ripensamenti del marito e sembra che abbia deciso di ritirarsi in un palazzo nella zona settentrionale di Akhetaton portando con se il figlio Tutankhaton.
Secondo alcuni studiosi, Akhenaton morì l’anno successivo, il diciassettesimo di regno. Come abbiamo detto in precedenza nulla ci è dato a sapere da questo momento in poi. Si pensa che Tutankhaton avesse 8 o 9 anni quando sposò la sorella Ankhesepaaton, figlia maggiore di Akhenaton (forse fu anche sua sposa) che doveva avere circa 13 anni, fu più o meno in quel periodo che, salito al trono dopo la breve parentesi di Smenkhara (meno di un anno), la capitale venne trasferita a Tebe, sicuramente su consiglio del sacerdote Ay e della stessa Nefertiti ed il nuovo sovrano e sua moglie furono costretti a sostituire la parte teofora dei nomi che divennero Tutankhamon (Immagine vivente di Amon) e Ankhesenamon.
Fu così che la “Capitale del Sole” Akhetaton venne abbandonata ed in breve cadde in rovina. Si pensa che quando il giovane faraone fece riportare la capitale a Tebe, la mummia di Akhenaton sia stata traslata nella tomba KV55 nella necropoli tebana. Esplorando la tomba nel 1907, Edward Ayrton rinvenne uno scheletro malridotto che recenti test genetici assegnerebbero al faraone eretico.

Il ritrovamento di quattro mattoni magici, recanti il cartiglio di Akhenaton, confermerebbero che quella è veramente la sua sepoltura, secondo Alan Gardiner, coloro che pietosamente provvidero alla sistemazione della tomba erano certamente suoi seguaci ed erano certi di seppellire proprio il loro signore.

Quello che resta della mummia trovata nella tomba KV55 venne sottoposta nel 2010 ad ulteriori accertamenti dai quali pare sia emerso che la mummia sarebbe appartenuta al padre genetico di Tutankhamon ed in quanto tale venne assegnata ad Akhenaton. Successive analisi effettuate sul DNA dei due feti rinvenuti nella tomba di Tutankhamon avrebbero rivelato che la mummia della KV55 non poteva appartenere al nonno delle bimbe come invece ci si aspettava essendo Akhenaton (forse) il padre di Tutankhamon e dell’unica sua moglie, Ankhesenamon. Si pensò dunque che la mummia fosse quella di Smenkhara e che fosse lui il padre di Tutankhamon, la cosa però sarebbe smentita dall’esame ortopedico eseguito sulla colonna vertebrale che assegnerebbe alla mummia un’età di non oltre 30 anni, incompatibile con quella probabile di Smenkhara.

Nel 2011 l’Università del Cairo conferma che il corpo di KV55 sia effettivamente quello di Akhenaton, a tutt’oggi però non esistono ancora pubblicazioni al riguardo.
<< Le moderne tecniche di analisi permettono di misurare il grado di somiglianza di due DNA, che si esprime in “centimorgans” (cM). Senza addentrarci nel significato di tale unità di misura, diciamo solo che il numero scende rapidamente con la distanza di parentela: tra padre e figlio è circa 3500 cM, mentre tra cugini di primo grado scende a 874 cM. Dunque i valori ammissibili sono compresi tra un minimo ed un massimo, con una media più probabile >>.
Perché ho detto questo? Perché in ogni caso esiste sempre una, seppur piccola, possibilità che l’esame del DNA non sia in grado di stabilire esattamente il grado di parentela. Questo a titolo di cronaca, cosa che ci permette di sollevare un minimo dubbio sul fatto che la mummia trovata nella KV55 non sia appartenuta al faraone Akhenaton.

Esaminiamo ora alcune ipotesi, e sottolineo Ipotesi che non trovano alcun riscontro nella storia ne nell’archeologia ma che a mio parere non è opportuno trascurare.
Poniamo che Akhenaton in realtà non sia morto come si crede, o forse sì, ma la sua eresia enoteista morì con lui? Non aveva convertito l’intero Egitto ma di seguaci che credevano in lui ce ne saranno stati, e parecchi se avevano popolato un’intera città come Akhetaton. Dove finirono coloro che abitavano la città e seguivano il faraone nella sua eresia, partecipando attivamente con lui ed officiando riti all’Aton? Abbandonati dalla regina Nefertiti e dal nuovo faraone Tutankhamon, si trovarono a dover affrontare la rivolta del popolo istigato dai sacerdoti di Amon. Cosa gli rimaneva da fare? Raccogliere tutti i seguaci, che non erano pochi, e fuggire cercando un altro luogo dove poter continuare a professare la loro religione. E quì mi torna in mente l’Esodo, ne abbiamo parlato a proposito della cacciata degli Hyksos all’epoca di Ahmose analizzando tutte le variabili possibili che ci hanno portato ad ipotizzare che l’Esodo si fosse verificato proprio in quell’occasione.

Privi però di ogni riscontro storico o archeologico, proviamo a pensare che le cose non siano andate così. Dunque non ci rimane che verificare un’altra possibilità, sempre ammesso che ci sia stato effettivamente un episodio che si possa configurare come “Esodo”. Cito le parole del Prof. Francesco Lamendola, filosofo e storico, di cui ho già parlato in altra occasione, il quale circa i fatti relativi all’Esodo scrive:
<<……..Non è che ignoriamo il momento preciso: ignoriamo tutto; ignoriamo i nomi dei faraoni che vi sarebbero stati coinvolti; ignoriamo il secolo in cui si sarebbero svolti; ignoriamo perfino se davvero vi era un popolo ebreo in Egitto……..>>.
Fonti e bibliografia:
- Enrichetta Leospo e Mario Tosi “l potere del re il predominio del dio”, Ananke, 2005
- Cimmino, Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
- Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Einaudi, Torino 1997
- Sergio Donadoni, “Tebe”, Milano, Electa, 1999
- Nicolas Reeves, “Akhenaten: Egypt’s False Prophet”, Londra, Thames & Hudson, 2000
- Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Torino, Ananke, 2005
- Cyril Aldred, “Akhenaton il faraone del sole”, Grandi tascabili economici Newton, 1996
- John Wilson, “Egitto, I Propilei” volume I, Arnoldo Mondadori, Milano, 1967
- Agnès Cabrol, “Amenhotep III le magnifique”, ed. Le Rocher, 2000
- A. Piankoff e E. Hornung, “Das Grab Amenophis’ III im Westtal der Könige”, 1961
- William L. Moran, “Le lettere di Amarna”, Johns Hopkins University Press, 1992