C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XVIII Dinastia

IL FARAONE HOREMHEB

Di Piero Cargnino

Il faraone Djeserkheperura Setepenra Horemheb Meriamon, generalissimo, già comandante in capo dell’esercito durante i regni di Akhenaton prima e di Tutankhamon poi, proveniva da Eracleopoli ed era probabilmente il figlio di un funzionario qualsiasi. In seguito al ritrovamento di una tomba dei nobili ad Amarna dove fu sepolto il generale Paatonenhab, il cui nome significa “Festosa presenza di Aton”, alcuni studiosi suppongono che il defunto sia lo stesso Horemheb, Nicolas Grimal lo esclude in quanto nessuna prova oggettiva supporta  tale identificazione.

Alla morte di Tutankhamon sicuramente avrà cercato di far valere i suoi diritti a succedere al trono in quanto poteva vantare il titolo di “Idnw” (Rappresentante del Signore delle Due Terre), che non era certo un titolo trascurabile, inoltre pare che Tutankhamon lo avesse già designato come “Iry-pat” (principe ereditario).

Proprio in base a ciò, Horemheb sicuramente era nelle condizioni di esercitare sul giovane sovrano un forte ascendente come si può rilevare da un’iscrizione sul pilastro posteriore di una sua statua, conservata al Museo Egizio di Torino, che rappresenta un faraone in piedi con il gonnellino shendit, a fianco del dio Amon di dimensioni maggiori perché è più importante del faraone. Nell’iscrizione viene precisato che era anche suo compito “…….calmare il faraone quando andava in collera…….”.

Secondo alcuni studiosi però la statua rappresenterebbe in realtà il faraone Tutankhamon e sarebbe stata usurpata da Horemheb. Purtroppo per lui l’astuto Ay decise di sposare la vedova di Tutankhamon, Ankhesenamon, assicurandosi un diritto ancora più importante. Alla morte di Ay caddero tutti gli ostacoli per cui la successione gli spettò di diritto.

Appena asceso al trono volle dimostrare la sua ferrea intenzione di tornare alle antiche tradizioni religiose, osteggiate durante il regno del faraone eretico. Dette subito l’avvio ad una profonda damnatio memoriae nei confronti di Akhenaton e dei suoi successori, tutto quello che era di Amarna venne destinato all’oblio, della città nessuno più si curò e questa cadde in rovina. Horemheb  è considerato come il restauratore della stabilità politica e religiosa dopo il caos creato da Akhenaton. Iniziò una serie di progetti costruttivi attingendo i materiali dalle demolizioni dei monumenti del faraone eretico e della moglie Nefertiti oltre ad usurpare parecchie opere di Tutankhamon e Ay sostituendo i loro nomi col proprio.

Sarà l’ultimo faraone della XVIII dinastia, anche se alcuni studiosi lo vorrebbero porre già nella XIX. La sua ascesa al potere, oltre ai diritti vantati che abbiamo citato sopra, la dovette in gran parte all’appoggio del clero di Amon di Tebe ed al fatto che sposò la sorella della regina Nefertiti, Mutnodjmet, forse figlia di Ay. Questo matrimonio gli servì solo per legittimare ancor più il suo diritto al trono, in precedenza Horemheb era già sposato con la nobildonna Amenia, morta prematuramente prima di diventare regina. Una magnifica statua dove è rappresentato con la sposa Amenia si trova oggi al British Museum di Londra (cat. EA36).

Non è chiaro per quanti anni governò le Due Terre, gli studiosi sono divisi nell’assegnare la durata, secondo alcuni regnò poco meno di quindici anni, secondo altri più si trenta, altri ancora gliene attribuiscono cinquantanove.  Dal punto di vista scientifico ci si rifà alle etichette di 168 giare di vino studiate dall’archeologo Geoffrey T. Martin nel 2006-2007 che si trovavano all’interno della tomba di Horemheb, la  KV57, otto di queste riportano il 14° anno di regno e nessun’altra riporta una data superiore. Da altre documentazioni si evidenzia che, mentre risultano documentati gli anni fino al 13°, altri riferimenti che citano una durata di 27, 33 e perfino 59 lasciano molto perplessi.

Viene spontaneo pensare che, dopo una damnatio memoriae così violenta nei confronti dei suoi predecessori, Horemheb si sia attribuito anche tutti i loro anni di regno. La cosa appare più evidente dalle iscrizioni e dalle statue così da far comparire che egli sia succeduto direttamente ad Amenhotep III, faraone ancora in un certo senso soggetto al clero di Amon.

Oggi la maggior parte degli studiosi propende per assegnargli tredici o quattordici anni di regno. Il suo regno vide la completa restaurazione del potere del clero di Amon, ogni riferimento all’eresia amarniana venne cancellato o distrutto, i nomi e le effigi vennero scalpellati. A parlarci di queste riforme sono la “Stele dell’incoronazione”, oggi al Museo Egizio di Torino, la stele del “Grande Editto” eretta ai piedi del decimo pilone a Karnak; oltre a queste stele, nella “Stele della Restaurazione”, usurpata da Horemheb a Tutankhamon, vengono resi noti tutti i provvedimenti presi per ripristinare il culto degli antichi dei dopo il periodo amarniano.

Horemheb avviò una rilevante attività edilizia che interessò il restauro e l’ampliamento dei templi di varie divinità, venne pure iniziata la costruzione della Grande Sala Ipostila a Karnak. Sempre a Karnak Horemheb fece edificare il IX ed il X pilone utilizzando gran parte del materiale recuperato dalle demolizioni di Akhetaton.

In politica estera cambiò poco tranne alcuni interventi per sedare rivolte in Nubia. Pare che Horemheb non abbia avuto figli; in realtà avrebbe forse potuto avere eredi ma la sorte gli fu avversa; quando venne ritrovata la mummia della sua Grande Sposa Reale Mutnodjemet nella prima tomba che si era fatto costruire a Saqqara prima di salire al trono, ceduta in seguito alla moglie, si scoprì che la mummia della regina conteneva i resti di un feto oltre a mostrare segni d’aver partorito varie volte, si può supporre che la regina Mutnodjemet sia morta di parto.

In quanto faraone Horemheb si fece costruire una nuova tomba nella Valle dei Re, la KV57. All’interno della tomba compare per la prima volta il “Libro delle Porte”, opera analoga al “Libro dell’Amduat”, si tratta del racconto del viaggio notturno della barca solare di Ra nella Duat. Il dio deve attraversare dodici porte fortificate e sorvegliate da serpenti giganteschi che sputano fuoco per poter rinascere all’alba. (per approfondire sul Libro delle Porte rimando a Mario Tosi, citato in fonte, pag. 187).

La tomba di Horemheb fu completamente spogliata intorno al quarto anno del governo di Herihor, primo profeta di Amon che dette origine ad una dinastia parallela che governò l’Alto Egitto durante il Terzo Periodo Intermedio (1066 a.C. circa).

Non si ha notizia della sua mummia. Senza eredi Horemheb decise di associarsi al trono il vecchio generale Pramesse, futuro Ramses I che designò quale suo successore. Questo gesto di Horemheb viene visto come una preparazione alla fortunata dinastia che seguirà in quanto Pramesse vantava una buona discendenza, fra questi il futuro faraone Seti I e, forse, anche del figlio Ramses II. Per questa sua rosea visione del futuro alcuni lo vorrebbero come iniziatore della XIX dinastia. 

Gebel el-Silsila, (Jabal al-silsila “Monte della catena), è una località situata 14 chilometri a sud di Edfu e 14 chilometri a nord di Kôm Ombo. Nell’antico Egitto il Nilo qui era conosciuto come Khennui e Gebel el-Silsila rivestiva una notevole importanza in quanto rappresentava il confine con la Nubia.  A tal proposito Arthur Weigall afferma che il nome Silsila sia una corruzione romana del nome originale egiziano Khol-Khol, che significa appunto barriera o frontiera.

Sulla riva occidentale c’è un’alta colonna di roccia che è stata soprannominata “The Capstan” a causa di una leggenda locale che afferma che esisteva una volta una catena (Silsila in arabo) che andava dalle Est alle West Banks. Li si trovavano importanti cave di pietra che vennero sfruttate dai costruttori egizi principalmente durante il Nuovo Regno e poi fino al periodo greco-romano.

Durante la XVIII dinastia, i viaggiatori presero l’abitudine di intagliare piccoli santuari nelle scogliere, dedicandoli a una varietà di divinità del Nilo e al fiume stesso. Tra la stele di Horemheb a nord e la stele Ramesside del Nilo a sud, sono state rinvenute trentadue cappelle scavate nella roccia, le cui pareti sono interamente ricoperte da graffiti ed iscrizioni. I proprietari dei santuari, per quanto si possa accertare, erano alti ufficiali della XVIII dinastia.

Lo Speos di Horemheb

Piccoli santuari furono tagliati da Tuthmose I, Hatshepsut e Tuthmose III, prima che Horemheb costruisse qui il suo tempio scavato nella roccia. Col tempo Gebel Silsila divenne un importante centro di culto e ogni anno all’inizio della stagione dell’inondazione venivano praticate offerte e sacrifici agli dei associati al Nilo per garantire il benessere del paese per il prossimo anno. Horemheb, ultimo re della dinastia XVIII si fece scolpire nella roccia una cappella molto più grande, o Speos, fuori dalla collina all’estremità settentrionale del sito.

La cappella era dedicata ad Amun-Re e ad altre divinità collegate al fiume Nilo. Il monumento consiste in una facciata di cinque porte separate da pilastri di diverse larghezze, all’interno si trova una lunga sala trasversale con tetto a volta e una camera più piccola oblunga sul retro, il santuario.

Tutte le pareti sono ricoperte di rilievi e iscrizioni, in alcuni punti  parecchio danneggiate, ma in altri ci sono alcuni rilievi di altissima qualità. Horemheb però non ha mai completato lo Speos, e la decorazione è stata successivamente completata da re e nobili che hanno scolpito le loro stele e iscrizioni sui muri.

Molti dei re della XIX dinastia lasciarono il segno in qualche modo. Le divinità raffigurate sulle pareti, oltre ad Amun-re, sono Sobek nella forma di un coccodrillo, il dio a testa di ariete Khnum della prima cataratta, Satet di Elefantina, Anuket, dea di Sehel, Tauret come un ippopotamo e Hapi, dio del Nilo. Oltre a quelli di Horemheb, nei rilievi appaiono i cartigli di Rameses II, Merenptah, Amenemesse, Seti II, Siptah e Rameses III.

Fonti e bibliografia: 

  • Alessandro Roccati, “L’area tebana, Quaderni di Egittologia”, n. 1, Roma, Aracne, 2005
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, vol. I, Torino, Ananke, 2004
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’Antico Egitto”, Melita edizioni, 1995
  • Alfred Heuss et al., “I Propilei. I, Verona, Mondadori, 1980
  • Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998 
  • Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
  • Elio Moschetti, “Horemheb. Talento, fortuna e saggezza di un re”, Torino, Ananke, 2001
  • Erik Hornung, “La Valle dei Re”, traduzione di Umberto Gandini, Torino, Einaudi, 2004

Lascia un commento